MASSIMO LORIGA, ALLA RICERCA DI UNA NUOVA TRADIZIONE MUSICALE

ph: Massimo Loriga

di ORNELLA DEMURU

Sguardo indagatore e curioso, voce roca e profonda, come quella degli uomini sardi di un secolo fa. Si presenta sul palco con un fare sacro, posato, abbigliato di nero, alla John Lennon in stile cowboy. Ai suoi concerti le suggestioni acustiche trasportano il pubblico verso mondi lontani e vicini allo stesso tempo. Ha la sicurezza dei professionisti e l’umiltà dei grandi. Massimo Loriga, frontman dei Nemos, è tra i più importanti protagonisti del panorama musicale sardo da più di trent’anni, scrive, compone, canta e suona musica: musica sarda che, tiene a precisarlo, non si inserisce in nessun genere predefinito.

Massimo perché la tua musica attuale, la musica dei Nemos non ha un genere? Perché attinge da vari generi, ma non è un genere. Tanti anni fa quando facevo parte dello storico gruppo dei Kenze neke – stiamo parlando dei primi anni ’90 – si partiva da un brano che poteva essere di genere skà, reggae o hardrock, e in questi si inserivano alcuni inserti di brani tradizionali come un canto a tenore o un ballo sardo. Nella musica dei Nemos facciamo esattamente l’opposto, ossia si parte da un ballo o canto tradizionale e si elabora quello. Oppure si crea di sana pianta, nel senso che studi gli elementi essenziali di cui è composta la musica sarda e la sviluppi.

Quale musica sarda intendi? La colonna sonora della nostra infanzia, quella che abbiamo vissuto nei nostri paesi, nelle piazze in festa, prendiamo quell’universo e lo suoniamo immergendolo in un contesto più moderno e più ampio che poi è quello che abbiamo ascoltato da adolescenti.

Da cosa dipende questa tua scelta, credi che il modo di rapportarsi con il tradizionale o il cosiddetto etnico sia cambiato negli ultimi decenni? Non è stata esattamente una scelta, a partire dalla metà degli anni ’90, quando ho iniziato l’esperienza con i Nur, c’è stata semplicemente la consapevolezza di utilizzare gli stilemi musicali della propria cultura tradizionale e fare nuova musica partendo da questa. Mentre con i Kenze neke partivamo dal presupposto che con quelle armonie tipiche, con la lingua sarda, avremo trasformato in qualche modo la Sardegna.

Trasformare la Sardegna in che senso? La musica per noi era un modo per portare avanti una sorta di rivoluzione, e non era una mera chimera, ci credevamo perché è possibile. La musica ha questa capacità di trasformazione sociale. Basta vedere cosa è accaduto a suo tempo con i Beatles a livello mondiale. Hanno influenzato e modificato i costumi e la società tutta.

Quell’esperienza, diciamo fondante, perché si è conclusa? Non si è propriamente conclusa, con i Nur e poi con i Nemos ho voluto semplicemente raffinare il discorso, rendendolo meno diretto, con dei testi sempre in sardo ma più metafisici, con concetti più complessi e più elevati. Meno temi esclusivi dei nostri contesti, e più temi filosofici. Nel contempo ho voluto ricercare testi particolari, poco noti, di origini remote come la preghiera di fertilità Maimone, o riprendere e rendere note poesie come quelle di Gavino Pes, Don Baingiu, che reputo tra i più validi rappresentanti della poesia sarda.

Quindi una musica che fa ricerca? Sì, sicuramente la nostra è una musica che fa ricerca, lo fa con criterio, con consapevolezza, ma soprattutto con il cuore, e sottolineo il cuore, così come hanno fatto in questi trenta-quaranta anni i Cordas et Cannas, i Tanit, i Calic e gli Argia.

Quanta di questa musica di questi gruppi gira per le piazze attuali della Sardegna? Praticamente nessuno. Il “frastuono” è oramai tanto e difficilmente si riesce a scindere ciò che è fatto in un certo modo rispetto ad un altro. Ma questo non è solo un problema della musica prodotta in Sardegna, in fondo lo è di tutta la musica al mondo.

E questo è un tuo cruccio? Sì decisamente. Penso agli Argia, un gruppo che non trovi da nessuna parte al mondo, così bravi, così belli, forse c’è qualcosa di simile solo in Francia, o ai Cordas et Cannas che per me dovrebbero essere sempre in viaggio in ogni parte del mondo per poter dire “Questa è la Sardegna!”. Invece non è andata così, non si è riusciti ad esportare la nostra musica. A parte i Tazenda in Italia non si è diffuso altro.

Hai rinunciato all’idea giovanile di una possibile “rivoluzione” sarda? No assolutamente. Ma forse per l’età, le tante esperienze le cose le vedi da un’altra prospettiva. Sono convinto che non solo niente sia perduto e che ci sia ancora tanto da fare, ma che ci saranno sempre nuove generazioni che continueranno su quella strada musicale da noi aperta e tracciata. Una musica che si rivolge alla società, che dialoga, che denuncia.
Parli con cognizione di causa. Effettivamente sì. Da un po’ di tempo porto avanti una preziosa collaborazione con un giovane di San Sperate Luca Marcia, in arte Malignis Cauponibus, in un progetto di ricerca musicale sperimentale che mi sta dando molte soddisfazioni. Io faccio la parte del grande vecchio e devo dire che mi sta bene, anche se così vecchio in fondo non lo sono. Forse per Luca ed altri sono un punto di riferimento, e questo nella musica come in altri ambiti è importante. È giusto dare ciò che si è imparato e appreso nel tempo.

E oggi i Nemos che progetti hanno? I progetti sono sempre tanti.Stiamo finendo di registrare un nuovo disco, e stiamo realizzando, oramai da alcuni anni, una serie di videoclip che vanno dalle atmosfere western-sarde a quelle più ironiche, nei quali tra l’altro ci divertiamo parecchio e che riscuotono grande successo in tutto il web.

Insomma, la musica in Sardegna forse è un po’ in crisi come in tutto il mondo, ma Massimo Loriga non ha intenzione di fermarsi. La musica è fondamentale per la società, oggi forse ancora più di ieri. Si fanno molto meno serate rispetto ad un tempo ma non dispero sul fatto che il nostro modo di intendere la musica sia un esempio e un pungolo a migliorare per chi ci ascolta e ci segue.

per gentile concessione della rivista #LACANAS

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Un commento

  1. Un barlume di speranza, una fiamma mai spenta, la consapevolezza che la Musica ci salverà tutti e ci restituirà il senso di identità che, per nostra natura fragile e terribilmente umana, siamo portati continuamente a ricercare. Viva NEMOS!

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