CAPO FRASCA 2019: CONTINUITA’ E SCELTE NELLA LOTTA POLITICA IN SARDEGNA

immagini di Mauro Mura
di OMAR ONNIS

Le migliaia di persone e le decine di sigle presenti sabato scorso a Capo Frasca sono state una testimonianza di sensibilità politica e civica significativa.

Le cornici impiegate per riferire della mobilitazione e dei suoi risultati, tuttavia, soffrono di alcuni limiti che rischiano di sminuirne il senso.

Alcune obiezioni di principio alla manifestazione non meritano nemmeno di essere commentate.

Per esempio tutte quelle che intendono delegittimare la manifestazione contro l’occupazione militare e le esercitazioni belliche in quanto tale.

Le obiezioni, al riguardo, sono di questo tenore:

a) le servitù militari creano un indotto prezioso per i territori che le ospitano: chiaramente è una sciocchezza dal sapore anche offensivo, di indole davvero subalterna, mortificante;

b) le servitù militari in fondo salvaguardano il territorio: anche qui siamo sul terreno delle argomentazioni banalmente false, e basterebbe informarsi tramite gli atti ufficiali disponibili (Commissione d’inchiesta parlamentare, processo ai “veleni di Quirra”, ecc.);

c) le servitù militari sono necessarie per la difesa nazionale ed è giusto che la Sardegna le ospiti; argomento apparentemente più complesso, ma ugualmente irricevibile, già solo per la sproporzione evidente tra la Sardegna e il resto del territorio statale italiano.

In generale si tratta di discorsi strumentali alla difesa di una condizione subalterna ormai insopportabile. Come tali privi di qualsiasi significato politico costruttivo.

Più di queste obiezioni vale però il silenzio. Il silenzio ingiustificato di attori decisivi nello scenario pubblico sardo.

Sulla politica istituzionale probabilmente non vale nemmeno più la pena di dire alcunché.

La vergognosa assenza delle istituzioni regionali e locali (con sporadiche eccezioni, a titolo sostanzialmente personale) si commenta da sé.

Il mondo sindacale, a parte una o due sigle di categoria, qualche sindacato di base e il residuale (numericamente parlando) sindacato sardo, è esplicitamente schierato a favore dell’asservimento militare dell’isola.

Spicca anche, come da tradizione, l’assenza della Chiesa. È un silenzio su cui spesso si sorvola. Non se ne parla. Non sembra significativo.

È un errore. La funzione di controllo, di garanzia dell’esistente e di attenuazione del conflitto sociale incarnata dalla Chiesa, in Sardegna, è un problema di non piccola portata.

Singolare che almeno sul tema della pace le gerarchie ecclesiastiche dell’isola non si sentano minimamente chiamate in causa.

Ma non è una novità nemmeno questa.

Noto un po’ di disorientamento anche intorno o addirittura all’interno del movimento anti-occupazione militare.

Certo, ci sono dei distinguo di partenza già nelle motivazioni delle varie sigle che hanno aderito alla mobilitazione. Ma questo è il meno.

È anzi molto positivo che esista su questo fronte un ricco pluralismo ideale.

Lungi dall’essere un limite della vertenza, ne è anzi una ricchezza. È ciò che rende questa mobilitazione fertile e promettente anche per altre sfide.

Spero di non vedere mai una manifestazione di migliaia di persone che marciano compatte tutte sotto una sola bandiera.

Non c’è bisogno di spiegare perché, spero.

Dobbiamo arrenderci al pluralismo e all’eterogeneità della società sarda attuale, alle sue tante anime, e farne una risorsa.

Laddove l’adesione alla mobilitazione contro l’asservimento militare della Sardegna susciti contraddizioni, queste vanno salutate con favore.

È vero che alcune sigle che hanno manifestato a Capo Frasca non affrontano con lo stesso interesse e la stessa partecipazione altre questioni strutturali che affliggono l’isola.

Ma proprio la constatazione di questa incoerenza deve diventare il fermento di una riflessione meno pavida e più aderente alla nostra realtà storica.

La polemica e l’innalzamento di steccati non servono a molto. Al contrario, il confronto sul terreno della lotta democratica può innescare evoluzioni, cambiamenti di posizione, maggiore condivisione.

Sono dunque da respingere come errori politici marchiani i distinguo stizziti sulla mobilitazione per il 12 ottobre, fatti da diverse parti, o perché troppo sbilanciata in termini indipendentisti o, sull’altro versante, perché troppo poco connotata in termini indipendentisti.

Non va nemmeno enfatizzata troppo l’aspettativa sul post-manifestazione.

Era già successo soprattutto dopo la grande adunata del 2014, sempre a Capo Frasca.

In realtà questo genere di eventi ha significato di per sé ed è indebito e non conseguente cercare di farli diventare ciò che non possono essere.

E ciò che sono non è poco.

Si tratta innanzi tutto di rituali collettivi, necessari, gratificanti in quanto tali.

La condivisione di uno spazio, di un evento collettivo, l’alleanza dei corpi, per dirla con Judith Butler.

Lo stesso tema – l’occupazione e l’asservimento militare – è ostico e complesso, nei suoi risvolti concreti.

Bisogna stare attenti a non caricarlo di aspettative indebite.

Non risolveremo il problema con le manifestazioni e nemmeno “prendendo il potere” nell’istituzione regionale.

Sappiamo che il comparto industrial-militare rappresenta un enorme giro d’affari internazionale, strategico per lo stato italiano.

Sappiamo anche che la Sardegna è inserita, sia pure passivamente, dentro un complicato sistema di relazioni geo-politiche, nel quale i diritti e i desideri dei sardi – di una consistente parte dei sardi – hanno poco o nessun peso.

Non facciamoci illusioni, in questo senso.

La questione dell’asservimento militare è però una questione molto politica, che può essere giocata con intelligenza su molti fronti e al contempo alimentare un consenso plurale ma stabile e coerente anche su altre lotte.

A patto di essere affrontata con lucidità e pragmatismo. E a patto di essere fatta diventare familiare, vicina, chiara alla grande maggioranza della popolazione dell’isola.

Come ci insegna la cronaca di questi stessi giorni – Rojava, Catalogna, ma anche Haiti, Ecuador e tanti altri punti caldi del conflitto sociale, ambientale e politico – ci troviamo in uno snodo storico particolarmente difficile.

La lucidità e la capacità analitica devono andare a braccetto con la volontà di ascolto e con l’accettazione della complessità. Cioè, anche e soprattutto, della diversità.

A patto di condividere pochi punti fondamentali e una nebulosa di valori di base irrinunciabili, si può marciare assieme, senza velleità di controllo o di egemonia da parte di nessuno.

Con la precisa coscienza di chi sia la controparte e anche della difficoltà della lotta.

Senza aver paura di scendere in piazza o di agire concretamente laddove sia intelligente e necessario farlo.

Nessuno ci regalerà la democrazia. Nessuno ci regalerà nulla. Va tutto conquistato. Insieme.

Se senza l’uso delle armi e senza la guerra, tanto meglio.

Farlo insieme, sotto tante bandiere, con una grande condivisione anche anagrafica, dagli anziani ai giovanissimi, è bello.

Questa è una delle lezioni di Capo Frasca 2019 ed è già preziosa di suo.

Non roviniamola cedendo alla superstizione che basti magicamente un solo evento, una sola lotta per modificare un’intera condizione storica.

Traiamone tutta la gratificazione del caso e usiamo questa energia per andare avanti e superare gli ostacoli e i momenti difficili che incontreremo.

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Un commento

  1. Sono d’accordo Omar, sono andato e ho visto chi non c’era. C’erano giovanissimi ad esempio di più sigle, i miei coetanei (60enni) sono rimasti a casa. Peccato.

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