PRATOBELLO 1969 – LA LOTTA DI UN POPOLO IN DIFESA DEL PROPRIO TERRITORIO: FRANCA MENNEAS, LA SCRITTRICE DI ORGOSOLO E IL LIBRO SUGLI EVENTI DI 50 ANNI FA

di FRANCO ARBA

Distratti dall’epica dei protagonisti, negativi e positivi, del nostro passato remoto, gli storici sardi hanno scordato di narrarci la contemporaneità. Su ciò che accadde cinquant’anni fa nelle campagne di Pratobello, a parte qualche documentario e i giornali dell’epoca, non si era mai scritto niente. A colmare il vuoto è arrivato il lavoro di Franca Menneas, Sa Lota ‘e Pratobello – lotta di un popolo in difesa del proprio territorio (Domus de Janas, 2019)

Franca Menneas fra Alberto Masala e Franco Arba

Franca, perché questo lavoro? L’intento di questo libro è quello di ricostruire gli avvenimenti di 50 anni fa, tentando di darne un quadro quanto più completo possibile, restituendo la cronaca di quel che è stato, andando oltre la retorica e il mito con il quale è stata spesso narrata la lotta di Pratobello. Da orgolese ho ritenuto necessario ricordare la lotta che i miei compaesani hanno combattuto nel 1969, perché la ritengo molto importante per la storia del paese che l’ha attuata, ma anche per tutta la Sardegna: a tutt’oggi rimane l’unica lotta popolare antimilitarista a essersi risolta favorevolmente per la popolazione civile. Ritengo inoltre un dovere tramandare l’insegnamento ai giovani orgolesi di oggi, ricordando loro che gli orgolesi di allora hanno combattuto per difendere i territori comunali e per scongiurare che venissero militarizzati. Infine, sono convinta che l’insegnamento della lotta di Pratobello sia vivo e valido ancora oggi, se solo si trovasse la forza e la coesione per raccoglierlo.

Cosa accadde nel giugno del 1969 a Orgosolo?  Tutto ha inizio il 27 maggio quando vengono affissi dei manifesti ai muri del paese nei quali si comunicava l’interdizione a tutti, popolazione e animali, nei territori comunali della località di Pratobello, per un periodo di due mesi a partire dal 19 giugno per esercitazioni militari da parte della Brigata Trieste di artiglieria da Campagna e della Compagnia di fanteria di Bologna. Se si considera che l’economia di Orgosolo si basava quasi completamente sul comparto agro-pastorale di tipo semi-nomade, ossia i pastori portavano le loro greggi a svernare nelle pianure delle Baronie, del Logudoro e del Campidano, stavano cioè lontani da casa e dalle loro famiglie interi mesi per rientrarvi in primavera e usufruire dei territori comunali per i loro pascoli, si capisce che proprio quei territori erano fondamentali per la sussistenza delle famiglie. Il ministero della Difesa aveva deciso, con un piano calato dall’alto senza consultare la popolazione che quella scelta avrebbe dovuto subire, di togliere quei pascoli ai pastori proprio nel momento di maggior bisogno, per scopi militari oltretutto. La popolazione subito si ribellò ed ebbe la meglio. La lotta di Pratobello è stata una lotta popolare pacifica, organizzata in modo democratico tramite assemblee pubbliche, una lotta partecipata, combattuta da tutta la popolazione, senza distinzioni di età, di genere o categoria professionale. La modalità di contestazione scelta è quella della resistenza passiva, ossia il distribuirsi entro i terreni del poligono, non permettendo così ai militari di sparare. Le foto di repertorio ci restituiscono la determinazione di quelle persone schierate di fronte ai militari, decise a far rispettare il loro diritto di godere del proprio territorio.

Nell’introduzione parli di alcune lotte simili, alcune ancora in essere come la Tav, la Tap e altre felicemente concluse come quella del comitato No Progetto Eleonora, per il quale siamo ancora in attesa di una cronistoria dettagliata da parte dei protagonisti. Perché accostare Pratobello a queste? Pratobello è stata al contempo una lotta antimilitarista, una forma di ribellismo contro l’Autorità, ma soprattutto una lotta per la difesa dei terreni comunali. La lotta per la difesa del proprio territorio è fondamentale per le comunità quando si vedono imporre dei progetti che contrastano con le esigenze locali. L’esproprio dei territori alle comunità è inevitabile quando si devono costruire opere e infrastrutture destinate a migliorare la vita delle persone, ma è l’utilità dell’opera a fare la differenza. Spesso gli interessi economici privati o partitici prevalgono su quelli pubblici e le ricadute positive a livello locale sono poche, con invece un impatto enorme in termini ambientali e sulla salute dei cittadini. È una storia che abbiamo visto ripetersi tante volte in tanti contesti, nazionali e internazionali. E questo era il caso dell’imposizione dei poligoni di tiro nei territori pubblici di Pratobello: sottraevano i pascoli ai pastori per fare esercitare i militari. La popolazione si è mobilitata e ha attuato una lotta dagli esiti incerti e dalle conseguenze imprevedibili dovendo affrontare, pacificamente, l’esercito italiano.

Sorte diversa capitò con il poligono del Salto di Quirra a Perdasdefogu, come illustrato nel breve documentario del 1961 di Giuseppe Ferrara. Ciò che ha focalizzato la mia attenzione è il discorso del sindaco di Tertenia, il quale, dal minuto 7.40, spiega la sua opzione (mai presa in considerazione dai comandi militari) di spostamento dei territori da coinvolgere nel poligono interforze nei comuni di Baunei e Dorgali. Un senso di comunità molto ristretto che diverge molto dal famigerato senso di appartenenza dei sardi. La stessa ristrettezza che racconti a pagina 48 quando parli dei “paesi di Mamoiada, Fonni e Oliena, appaiono manifesti inneggianti alla Brigata Trieste e alla ‘iniezione di civiltà’ che i 6000 soldati porteranno a quei paesi”. Il sindaco di Tertenia del documentario che tu citi mi sembra rassegnato al fatto che la Sardegna debba comunque subire l’occupazione militare e nel suo ragionamento pare cercare una soluzione che arrechi meno danni possibili (ossia installare le basi in un territorio spopolato), che solo alla sua ingenuità pare essere sembrata tale. Per quanto riguarda l’atteggiamento assunto dai paesi limitrofi a Orgosolo nel 1969 bisogna fare delle distinzioni. Non c’è dubbio che gli esercenti e le attività commerciali di questi paesi erano ben contenti di accogliere i soldati per l’indotto che si sarebbe venuto a creare, senza subire alcun danno in quanto le esercitazioni avvenivano comunque nel Comunale di Orgosolo. Così come le loro Amministrazioni comunali allineate nelle prese di posizione dei rispettivi partiti di appartenenza. Queste posizioni si sono rilevate essere dominanti in quanto amplificate dagli organi di stampa regionali che cito nel libro, tutti schierati nell’isolare la comunità orgolese e demonizzare la loro lotta. Altra cosa però sono le posizioni dei singoli cittadini, molti dei quali si sono dichiarati favorevoli alla sommossa attuata dai loro vicini e alcuni sono accorsi in loro supporto. Più in generale le singole comunità pensano prima ai propri interessi, pronte a combattere una guerra tra poveri se necessario per difenderli. Purtroppo è proprio l’unione dei sardi che spesso è venuta a mancare quando più necessario per opporsi ai numerosi progetti folli che hanno subito e continuano a subire.

Nel libro non tralasci un altro aspetto importante per delineare il contesto sociale del tempo: il ruolo delle donne orgolesi. Sì, il ruolo delle orgolesi è stato determinante nella riuscita della lotta, convinte della necessità di ribellarsi a un’imposizione ingiusta e che avrebbe arrecato grave danno all’economia locale. Tradizionalmente le donne avevano un ruolo molto importante nella società del paese, portatrici di valori condivisi e riconosciuti dall’intera comunità, quali la solidarietà, l’aiuto reciproco, uno spiccato senso di appartenenza. Ma il loro ruolo rimaneva pur sempre confinato nella sfera privata, in quanto quella pubblica era riservata esclusivamente agli uomini. I costumi e la mentalità stavano già cambiando a Orgosolo, ma è stata la lotta del ’69 che ha dato ancora più determinazione alle donne e che le ha portate a uscire dall’ambito in cui erano relegate. Per la prima volta anche le casalinghe prendono la parola nelle assemblee in piazza, le ragazze iniziano a indossare i pantaloni perché più comodi nella corsa per fuggire ai militari. Nella lotta di giugno sono coinvolte tutte le donne, di tutte le età, che si schierano in prima linea davanti ai militari, che prendono la parola nelle assemblee pubbliche, sempre più consce dell’importanza di quella battaglia per la difesa del territorio e che la loro lotta è valorosa quanto quella degli uomini.

Cosa rimane di Pratobello? L’eredità di Pratobello è sicuramente importante per il paese di Orgosolo: quella lotta segnò profondamente l’intera comunità, che ne uscì indubbiamente modificata. Innanzitutto per l’emancipazione femminile appena ricordata ma anche, più in generale, per la consapevolezza politica acquisita da tutti i cittadini. È stata determinante anche per aver ispirato il muralismo orgolese: attualmente ci sono più di 200 dipinti con significati politico-sociali ben precisi che caratterizzano il paese e attirano migliaia di visitatori all’anno, rendendolo uno dei centri più visitati dell’interno. Purtroppo la lotta è rimasta circoscritta al paese barbaricino e non ha assunto proporzioni regionali; avrebbe potuto avere un impatto molto maggiore, essere d’ispirazione per altre lotte in altre zone dell’isola ancora sottoposti a servitù militari.

Prima dicevi che l’insegnamento di quella lotta è ancora valido… Attualmente la Sardegna è la regione più militarizzata d’Europa ospitando circa il 60% del demanio militare nazionale. 35 000 ettari di superfice isolana, ai quali si devono aggiungere gli spazi aerei e marini interdetti, sono occupati da basi NATO, poligoni sperimentali e missilistici, aeroporti militari e basi aeree, depositi di munizioni, stazioni di telecomunicazioni e impianti radar. Si sperimentano l’80% di tutte le bombe che si fanno esplodere in Italia, appartenenti all’esercito italiano e ai suoi alleati, per esercitazioni terra-mare, aria-terra e mare-terra. Oltre all’evidente impatto ambientale questa occupazione ha provocato gravissimi danni sulla salute della popolazione e impoverito ulteriormente l’economia locale. Nel ’69 gli orgolesi si sono saputi unire e andare aldilà delle divisioni politiche, partitiche e ideologiche che pur esistevano tra i cittadini, andando a costituire un fronte comune per arginare una minaccia che avrebbe arrecato danno alla comunità. È questo a mio avviso l’insegnamento più importante della lotta di Pratobello che la politica regionale non ha mai raccolto, mai i vari schieramenti partititi si sono compattati per difendere l’interesse dei sardi. Sono sempre e solo i cittadini che hanno lottato e continuano a lottare, per questo mi sento vicina e solidale a tutte le associazioni che si battono per chiedere la smilitarizzazione, la bonifica e la riassegnazione d’uso di quei territori sottratti alla popolazione civile, così come è avvenuto il 12 ottobre scorso alla Manifestada a Capo Frasca. Un’altra Pratobello sarebbe necessaria e chissà anche possibile, sicuramente auspicabile.

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