ANGELO E ANTONIO MELE, GEMELLI DIVISI. PARTITI DA SOLARUSSA PER UN FUTURO MIGLIORE: PROFESSORE A BALTIMORA L’UNO, ECONOMISTA A LONDRA L’ALTRO

di ALESSANDRO PILLONI

Il mondo globalizzato ci spinge spesso a guardare fuori dai nostri confini nazionali, a cercare spazi vitali dove poterci realizzare, diventare individui produttivi in una società sempre più dinamica. In questo contesto molti nostri conterranei hanno raggiunto posti di prestigio in vari ambiti professionali, sono diventati persone autorevoli e hanno storie positive e belle da raccontare…

Una di queste è sicuramente quella di Angelo e Antonio Mele, due fratelli gemelli di 41 anni, due solarussesi che onorano, in giro per il mondo, la nostra terra.

Usciti dalla prestigiosa università milanese della Bocconi, sono diventati professionisti affermati in campo economico; Angelo è professore associato alla business school Johns Hopkins University, a Baltimora, Stati Uniti, dove si occupa di modelli di formazione di network che possono essere applicati a social network (amicizie, facebook, twitter) o a network tra imprese (alleanze, collaborazioni, joint ventures); Antonio alla Surrey University di Guildford, sud est di Londra studia gli aggregati monetari e il loro comportamento nell’economia dei paesi in via di sviluppo.

Abbiamo avuto la fortuna di sentirli e chiacchierare con loro sul perché si “fugge” dall’Italia per cercare la propria strada e su cosa significa fare ricerca oggi.

Antonio, fare ricerca in Italia è possibile? Se vuoi fare ricerca a livello internazionale i migliori dottorati di economia non sono in Italia, devi espatriare. Tutti quelli che vogliono fare ricerca economica ad alto livello aspirano ad andare negli Stati Uniti. Io sono stato nelle migliori scuole europee come Tolosa e Barcellona, la ragione è quella di avere la miglior formazione possibile che ti permetta di fare la ricerca migliore possibile. In Italia vengono a mancare i presupposti e gli spazi per creare ricerca e innovazione; prima si andava via per avere un miglior trattamento economico, oggi invece si esce per sentirsi valorizzati e poter esprimere il proprio reale potenziale. Hanno iniziato gli operai, poi i laureati ed ora gli imprenditori, questa secondo me è una vera tragedia.

Il lavoro e lavorare radicati sul territorio ha senso? Oggi questo discorso sta scomparendo piano piano, essere radicati nel territorio professionalmente: chi produce si sposta, non è importante dove si vive ma è importante dove si produce, il mondo è  la nostra casa. Il mondo in cui i nostri genitori sono cresciuti non esiste più e a me sembra che l’Italia continui a fossilizzarsi su questa “idea-mondo”. Le rivendicazioni locali stanno perdendo spazio, oggi siamo cittadini del sistema mondo. Questo movimento di popoli può solo crescere ed evolversi. Siamo noi, con le nostre peculiarità, ma in interazione reciproca con gli altri, senza barriere e divisioni.

Torneresti in Italia? Ci sono cose della società italiana che si son incancrenite, quando la guardi da fuori vedi che certi tratti che venivano caricaturati nei film di Alberto Sordi oggi son ancora presenti. Il peggioramento della società è generico a livello globale ma nel nostro paese questi meccanismi son venuti fuori prima. Sicuramente tornerei se cambiassero i presupposti sociali che ci sono adesso, non solo per via delle leggi ma della società stessa. Siamo tutti cittadini del mondo.

Angelo, perché sei andato all’estero a fare ricerca? Ho lasciato l`Italia per fare il dottorato negli Stati Uniti. Anche se in Italia ci sono molti ricercatori competenti, si scontrano con un sistema che non premia il merito, dà a tutti le stesse risorse indipendentemente dai risultati e dall`impatto delle ricerche, non valorizza i talenti. Dopo il mio dottorato alla University of Illinois, sono andato sul job market internazionale e, dopo alcuni colloqui e visite ai vari campus per presentare la mia ricerca, ho avuto varie offerte di lavoro. Johns Hopkins era l`università con l`offerta migliore sia in termini accademici che in termini monetari e di risorse per la ricerca.

Che differenze ci sono nell’accesso alla carriera universitaria rispetto all’Italia? Pochissimi dottorandi italiani vanno sul job market internazionale, ma restano a lavorare nella stessa università in cui hanno conseguito il dottorato, fino a che non si libera un posto o c`è un concorso. Negli Stati Uniti è impossibile che un dottorando sia assunto subito dopo il corso di studi dalla sua stessa università. Questo è un modo per evitare nepotismi, ma anche per far circolare la conoscenza. Un’altra differenza è come le università sono finanziate. Negli Stati Uniti le risorse arrivano da ricche donazioni, c`è una cultura del donare all`università in cui ti sei laureato. Il costo per gli studenti è altissimo, anche se molti ricevono financial aid. Un anno di università può costare da 20 a 50 mila dollari. Molti dei miei studenti lavorano part time per pagarsi gli studi. In Italia non ci sono grandi donazioni e le tasse universitarie sono insufficienti a garantire un servizio agli studenti di qualità in molte realtà.

Torneresti in Italia? Mai dire mai. Per il momento non ci penso, mi trovo benissimo nella mia università. Dovrebbero cambiare molte cose nel sistema italiano per convincermi a considerare un rientro in patria.

https://www.arborense.it/

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