ENZO FAVATA RACCONTA IL SUCCESSO DEL FESTIVAL “MUSICA SULLE BOCCHE”: ORA E’ MODELLO PER L’EUROPA

FOTO di Ziga Koritnik


di Laura Fois

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Sono tanti gli appuntamenti imperdibili dell’estate sarda. Uno di questi è senza dubbio il festival di jazz Musica Sulle Bocche, in programma dal 31 agosto al 3 settembre a Santa Teresa di Gallura. Con un’anteprima il 17 agosto nel Teatro dei Colmi alla Maddalena. Ce lo presenta proprio Enzo Favata – direttore artistico del Festival e musicista di fama internazionale – accogliendoci nel suo studio ad Alghero, laddove “sono passati tutti” . E non solo. Qui si registra, si sperimenta e “si è provato perfino in 35 con l’orchestra”. Basta poco per dare il la ai ricordi di un artista che ha suonato in ogni parte del globo ma che continua a fare della Sardegna la sua casa e il suo luogo di produzione e contaminazione musicale. Quali sono le novità più rilevanti dell’edizione numero 16 di Musica sulle Bocche? Possiamo partire dall’immagine che accompagna quest’anno il Festival: l’opera originale di Igor Tuveri, in arte Igort. Una “Creole Blues Jazz Band” che ci riporta alle origini della musica afro-americana; a quello straordinario crocevia di culture e tradizioni musicali che, senza nascondere né dimenticare la sofferenza, ha dato vita ad una nuova forma di arte e bellezza. Per non parlare dell’anteprima, alla Maddalena, dove ha suonato per la prima volta il re delle percussioni indiane Trilok Gurtu insieme a Marcello Peghin, Salvatore Maiore e al sottoscritto. Un concerto di world jazz, che parte dalla Sardegna passando per India, Africa, Brasile e Mediterraneo. Dallo scorso anno stiamo cercando di decentrare e diffondere il festival dando beneficio e indotto all’intero territorio. Con una missione: valorizzare i passaggi e i territori. Portare la gente in luoghi che non conosce, o che non vede da bambino. Far assistere i turisti agli spettacoli in siti non convenzionali, come teatro o arena, ma in scenari naturali. All’alba e al tramonto. Le emozioni hanno un valore, e il criterio con cui si organizza tutto questo dal 2001 ha fatto sì che il festival diventasse un modello per la Sardegna. Adesso anche per l’Europa.

Fate parte dell’Europe Jazz Network… E siamo l’unico festival sardo ad avere questo riconoscimento. A luglio mia moglie Enedina ha presentato la rassegna e le sue iniziative per la sostenibilità in Danimarca, ad Aarhus. Scelta come capitale europea della cultura per il 2017. Dopo aver partecipato al progetto europeo “Take the Green Train” sulla sostenibilità a basso impatto ambientale e qualità della musica.“Musica sulle Bocche” è stata premiata per lo stretto legame tra musica e paesaggio naturale, confluendo le esigenze di una manifestazione internazionale nel rispetto del contesto naturale che la ospita. La celebre rivista “Condé Nast” segnala questo evento tra i più affascinanti d’Europa, come musica all’aperto. I feedback non mancano: l’anno scorso la pagina Facebook del Festival ha avuto 1 milione e mezzo di visualizzazioni. Questo è il riconoscimento del lavoro quotidiano che facciamo sulla progettualità e sulla musica.

Tutto è iniziato da Voyage en Sardaigne… Uscito nel 1998: una pietra miliare. Il titolo in francese è un omaggio al primo libro pubblicato sulla storia della Sardegna scritto da Alberto Della Marmora nel 1826, tra l’altro ancora attuale. Penso che la musica insegni anche a non smettere mai di studiare la storia.

Il disco richiama anche una costante della tua vita e della tua espressione artistica: i viaggi. Da poco hai visitato il Giappone e la Cina, che idea ti sei fatto? E come è vista la Sardegna all’estero? Il Giappone l’ho visitato tante volte ed è un posto spettacolare. La Cina mi ha profondamente sconvolto: venti marce in più rispetto a tutti. C’è il concetto della famiglia, del gruppo. I trasporti sono velocissimi, in quasi due ore fanno 400 km. Il loro mondo musicale è ancora molto semplice, ma il mercato si sta aprendo. Scenari interessanti in cui confrontarsi. La cosa più bella per un musicista.

All’estero ho capito che la Sardegna non la conosce nessuno e dobbiamo lavorare ancora tanto per rivendicare il nostro posto nel mondo.  Hai mai pensato di vivere all’estero? L’ho pensato tante volte, anche ultimamente, ma non vivrei nelle grandi città. Forse avrei dovuto fare questa scelta vent’anni fa. Ma la mia casa è la Sardegna. Questa terra è stato il punto di riferimento per la mia formazione musicale, e ovviamente umana. I sardi nel loro dna hanno il senso dell’ibrido, la stessa lingua sarda lo è. Non potevo non fare jazz, che è la musica più ibrida e istrionica dell’umanità; il collante di tutto ciò che c’è da incollare, tutto ciò che ha generato il pop, il rock, la musica di oggi.

Qual è ancora la forza del jazz? Lo vedo dal Festival sulle Bocche: la gente di tutte le età che è disposta a farsi mezz’ora di trekking all’alba pur di andare a sentire un concerto in un luogo selvaggio e incontaminato. È la gente che coi piedi scalzi sulla sabbia ascolta un musicista al pianoforte al tramonto e si stringe attorno ai suoi cari su un asciugamano. Poi vado nel nord Italia come nel nord Europa a suonare, e noto che il pubblico del jazz ha i capelli bianchi. Sarà una musica che finirà con loro? Può darsi. Ma voglio sperare che in Sardegna questa musica non si esaurisca mai, come le sue risorse e le sue bellezze da preservare. Anche a costo di lottare.

In cosa credi? Credo nella curiosità e nella grande voglia di conoscenza. La curiosità espande la consapevolezza, che nella musica amplia la capacità di suonare più cose e quella di proseguire nello studio. I musicisti che non si incuriosiscono ad altri generi musicali non sono musicisti. La musica vera è quella dei cantori di Castelsardo e di Cuglieri, nelle cui comunità, la competizione è impressionante. Credo nelle culture. Al festival porteremo anche il progetto Tangerine, che fonde la musica elettronica degli anni ’70 con quella africana. Ho suonato tanto in Africa con musicisti autoctoni e mi ha rapito l’idea dell’ipnosi, dello psichedelico e dello space rock. Che con Marcello Peghin e Salvatore Maiore, in un trio totalmente acustico e dalle sonorità cameristiche, porteremo anche in Sardegna.

Credi nella politica? Credo nella politica fatta di gente che conosce, il cui interesse va oltre. Credo debba indirizzare una generazione diversa dalla mia e forse anche da quella delle mie figlie. Una generazione nata col digitale, più sola, del “tutto subito” e davanti agli occhi. Ricordo quando ho cominciato a suonare, avevo i nastri e un registratore a quattro tracce. Sovrapponevo suoni da solo, in un angolo di casetta piccola piccola. Sbagliavo e ci azzeccavo. Continuavo a sbagliare e non smettevo mai di appassionarmi a quello che facevo.
E noi? Cosa stiamo insegnando ai giovani? Anche le interviste finiscono. Esco dallo studio di Favata come da un tempio, ammirando strumenti africani, fogli di spartiti, foto di concerti e paesaggi. Ci sono artisti che fanno della ricerca di sé un viaggio; una filosofia musicale all’interno di suoni che provengono dal Mediterraneo, dall’Africa, dall’Oriente e dalle Americhe. Il jazz avrà le chiavi di un certo destino dell’umanità? Di sicuro Favata ne ha una. E si trova in Sardegna.

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