10 GIUGNO 1917: A CENT'ANNI DALL'OPERAZIONE K DELLA BRIGATA SASSARI SUL MONTE ZEBIO


di Dario Dessì

Il Cimitero di Guerra della Brigata SASSARI di Casara Zebio si trova a 1800 metri d’altezza, sull’Altipiano dei Sette Comuni. Ben 212 croci ricordano il nome dei fanti sardi caduti nel corso dei combattimenti per la riconquista di  Monte Zebio; tra di loro coloro che perirono sotto il fuoco amico delle artiglierie italiane il 10 Giugno 1917, il giorno dell’ inizio dell’Operazione K.

Alla fine dela Grande Guerra, questo cimitero non era stato preso in considerazione in quanto le tombe dei poveri caduti erano state ripetutamente sconvolte e distrutte dal tiro delle artiglierie austriache, le quali dalle alture di Monte Zebio dominavano le postazioni italiane. Il recupero del sito, consegnato ufficialmente dai Comuni di Asiago e Foza ai Comuni della Sardegna il 17 Dicembre 2011, è avvenuto grazie all’azione congiunta dell’Associazione Nazionale Brigata Sassari, del Comune di Asiago, del Comando Brigata SASSARI, delle città di Tempio Pausania, di Sinnai, e di Armungia  e del Comitato dei Comuni della Sardegna, presieduto dal Sindaco di Armungia.

Operazione K

2 maggio del 1917  Monte Zebio.  Ed ecco per la prima volta  seimila sardi schierati tutti insieme in Val Ronchi; i due Reggimenti  rendono gli onori alle bandiere. Il 151° scende a Marostica, il 152° a Bassano.

Dopo venti giorni la Brigata è nuovamente su a Val di Piana per completare l’armamento e l’equipaggiamento della truppa. Fervevano i preparativi  per una  potente offensiva; 12 divisioni pronte ad attaccare dalle posizioni alle pendici del Monte Zebio, numerosi cannoni di grande medio e piccolo calibro e bombarde sistemate a poca distanza, alle spalle delle  postazioni italiane, centinaia di autocarri, carichi di munizioni e di svariato materiale bellico, mentre un  continuo andirivieni di autovetture con a bordo generali e ufficiali di alto grado infondeva nei cuori dei fanti un sentore di certezza e di sicurezza. Bisognava espugnare Monte Zebio; dal monte Ortigara, alla destra dello schieramento italiano, avrebbero attaccato  gli alpini  della 52° Divisione, alla sinistra i fanti della Brigata Sassari.

La stagione era favorevole e c’era in tutti una gran voglia di menare le mani. C’era l’entusiasmo che hanno sempre avuto i fanti della Sassari, quando erano convinti della necessità di un offensiva e riconoscevano adeguata la disponbilità dei mezzi.

Ecco, intanto, cosa succedeva a Valpiana, una gola deserta e brulla collegata ai dirupi della Val Frenzela.

La domenica che precedette la battaglia oltre seimila fanti della Sassari erano schierati lungo i tre lati di un quadrato.

Nel quarto lato padre TODDE, cappellano del 151°, era intento a celebrare la messa davanti a un altare improvvisato.

Ma poi, più tardi, nel pomeriggio, i soldati sardi iniziarono a cantare mentre tutto attorno c’erano i battaglioni, le compagnie e i soldati di altri reggimenti. Era in corso una gara poetica e gli ufficiali e lo stesso  Capellano Padre Michele Todde da Tonara versavano da bere agli improvvisati  cantori e  tutto quanto andò avanti fino a quando le prime stelle, comparse in un cielo sereno, indussero i cantori e gli spettatori a raggiungere le loro tende per il riposo.

Alle prime luci dell’alba del 10 giugno la quiete della notte fu improvvisamente interrotta dal   frastuono sgradevole delle artiglierie; dalle vette attorno ad Asiago centinaia di cannoni iniziarono a lanciare proiettili di vario calibro, quasi in competizione col rumore cupo delle bombarde.

Al bombardamento delle trincee nemiche per nove ore consecutive fino alle due del pomeriggio, avrebbe fatto seguito l’assalto delle fanterie.

I fanti, pronti a scattare dalle trincee, esultavano, impazienti di andare all’assalto, ma poi subito caddero in preda a una indicibile disperazione, non appena  si resero conto   di essere diventati bersaglio dei cannoni e delle bombarde italiane, al cui fuoco avevano risposto  immediatamente le artiglierie austriache. In poche parole la Brigata Sassari  era diventata il bersaglio di due fuochi contrapposti, con i suoi fanti impotenti,  frastornati e bersagliati  da  schegge di varie dimensioni, da enormi spezzoni di alberi secolari, da massi strappati alle pareti rocciose tutte attorno,  dagli stessi  sacchetti che proteggevano le loro trincee e  da tanto altro materiale scaraventato dalle continue esplosioni.

Per un certo periodo di tempo, sembrato lunghissimo ai poveri fanti, non era stato  possibile reagire a quegli  eventi, anche perchè le linee telefoniche erano state  completamente distrutte.

Alcune ore dopo il fuoco dele artiglierie italiane cessava d’intensità, anche perchè era necessario stabilire l’efficacia del fuoco sulle trincee nemiche.

E’ inutile dire che  l’obbiettivo di distruggere trincee, fortificazioni, riservette di

munizioni, e altre opere di difesa  era stato raggiunto.

L’impeto devastatore delle artiglierie era durato ben nove ore, un eternita per i fanti della Sassari  che avevano vissuto momenti di allucinanti esperienze.

Il giorno dopo una visione impressionante apparve agli occhi dei sopravissuti.

Il bosco e le trincee non esistevano più, per terra, dovunque, brandelli di carne umana frammisti a framenti di varia natura.

Tutto ciò che apparteneva a corpi umani fu raccolto nei teli da tenda e portato nei cimiteri di Monte Zebio.

I fanti  agivano, cercando di reprimere la rabbia e lo sdegno per tale  massacro. Erano stati sfiorati dalla morte, ma non riuscivano a sopportare il dover constatare che quel tragico evento era avvenuto senza aver avuto la possibilità di combattere e  di difendersi.

Era stato fatto  scempio delle truppe che, trovandosi  in gran parte all’aperto, erano state esposte, al fuoco delle artiglierie.

Granate  e bombe si erano abbattute anche sulle modeste tombe di un cimitero di guerra, dove erano sepolti i fanti della Sassari, caduti durante le azioni belliche precedenti; i brandelli di quelle povere salme erano andate, in gran parte,  a cementarsi sulle pareti rocciose, tutt’attorno.

I sopravvissuti, in gran parte feriti,  non ne volevano sapere di abbandonare le posizioni; aspettavano l’ordine di iniziare i combattimenti, mentre  alcuni di loro provvedevano a bendare le ferite con le proprie mani.

Per tutti quanti  niente sarebbe stato più desiderabile  dell’ ordine dell’assalto. Meglio morire sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche piuttosto che  aspettare inermi il colpo di grazia delle nostre artiglierie. Ma quando arrivò l’ordine la situazione era ormai critica; gli attacchi ripetuti delle agguerrite  schiere avversarie furono respinti a fatica.

Alla sera, fu sospesa qualsiasi azione. La Brigata, per fortuna, era riuscita a mantenere ancora la linea, mentre permanevano cocenti il dolore per le inutili perdite umane e la delusione e la rabbia per l’incoerente sviluppo iniziale dell’offensiva. La Sassari era stata fatta a pezzi; in un solo giorno di battaglia  il fuoco amico aveva causato un migliaio di perdite, un sesto degli effettivi. 

Podda Ferdinando e Pintus Giuseppe, già feriti due volte, entrambi decorati di M.O. Al V.M. furono  i grandi eroi di quella funesta giornata.

Sergente Maggiore  151° Fanteria Podda Ferdinando da Loceri.

“Comandante di un plotone zappatori formante parte della prima ondata d’assalto, si slanciò alla conquista di una trincea avversaria, penetrandovi per primo. Ferito alla testa, mentre con pochi uomini tentava di catturare un gruppo di nemici, continuò a combattere incitando con l’esempio e con la parola i suoi uomini alla lotta.

Ferito una seconda volta alla gamba, dopo essersi fatto medicare tornò al suo posto d’onore e col vigore che ancora gli restava cooperò a respingere gli attacchi avversari, finché, ferito nuovamente ed a morte, cadde alla testa del suo plotone.

Fulgido esempio delle più alte virtù militari”.                 Monte Zebio 10 giugno 1917.

Caporal  Maggiore 151° Reggimento Fanteria Pintus Giuseppe da Assemini.

“Costante e fulgido esempio d’ indomito coraggio, prese parte a tutti i combattimenti dall’inizio della guerra e benché varie volte leggermente ferito non volle mai abbandonare il suo posto.

Sotto il violento bombardamento nemico che arrecava alla sua compagnia perdite gravi, coadiuvò con fermezza i propri ufficiali nel tenere ordinata la truppa.

Si offrì poi a far parte della prima ondata d’assalto e incitando i suoi dipendenti sotto il tiro delle mitragliatrici avversarie, benché ferito gravemente ad un braccio, arrivò sull’obbiettivo e vi sostenne un intensa lotta corpo a corpo.

Una seconda volta ferito, continuò a combattere,  finché venne nuovamente mortalmente ferito”.                                                     Monte Zebio 10 giugno 1917.

Il giorno dopo i dintorni di Monte Zebio erano irriconoscibili: nelle trincee distrutte, nei camminamenti abbattuti, tra i cumuli di materiali distrutti e i compagni caduti,  i fanti attendevano la ripresa del combattimento. Ciò che emergeva dalla cronaca di quelle vicende era soprattutto lo stridente contrasto tra le carenze della macchina bellica italiana e – al contrario – il generoso e concreto eroismo dei fanti, costretti a rimediare con l’impeto dell’assalto alla baionetta a deficienze più generali.

Nel corso del mese si susseguono attacchi e contrattacchi senza alcuna sostanziale modifica delle posizioni.

L’ordine era immancabilmente sempre quello di andare avanti ad ogni costo e di attaccare  per conquistare le posizioni del Monte Zebio, che purtroppo  continuavano a rimanere in mano nemica. 

Il nove luglio la brigata ritornava decimata e demoralizzata in Val Piana. Nel frattempo anche la Brigata Piacenza, durante i ripetuti e  inutili  tentativi di assalire le trincee nemiche ancora intatte e difese da postazioni di mitragliatrici, terribilmente efficienti, era stata decimata.

Per 15 lunghi logoranti mesi  la brigata aveva resistito, attaccato, combattuto  sull’Altopiano senza la minima interruzione dal 5 giugno 1916  fino a tutto il 15 agosto 1917, quando era arrivato l’ordine del suo  trasferimento nel Carso per prendere parte  alla 11° Battaglia dell’Isonzo.

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4 commenti

  1. Poveri ragazzi e poveri i genitori è di una tristezza infinita passare in quei luoghi..

  2. mio zio capitano è deceduto a Monte Zebio il sei luglio… è sepolto là

  3. Sn la pronipote del sergente maggiore Ferdinando Podda di Loceri. É trascorso un secolo da quella terribile battaglia sull’ Ortigara, dove, tanti giovani hanno perso la vita. Proprio un questi giorni c é la loro commemorazione ad Asiago. Ogni volta che leggo le lettere che mio zio mandava dal fronte, alla sua famiglia. Non dimentichiamo i ns amati soldati e le loro vite prematuramente spezzate. Erano giovani ragazzi ai quali la guerra ha usurpato i loro sogni, amori, speranze, progetti. Non dimentichiamoci mai di loro affinché il loro sacrificio non sia stato completamente vano.

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