LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI TRA VITA E POLITICA: “CORPO E ANIMA” CON LUIGI MANCONI, UN LEGAME INDISSOLUBILE A MILANO


di Sergio Portas

Erano più di vent’anni che non mi imbattevo in Luigi Manconi: nel ’94, abbastanza inopinatamente devo dire, era stato eletto portavoce dei Verdi (non aveva in tasca neppure la tessera) e io allora in Lombardia ero uno dei tre “garanti regionali” del movimento. Anche a me come a lui , e copio dal suo libro che oggi viene a presentare alla “Feltrinelli” di piazza Duomo, l’idea di un programma ecologista, capace cioè -lo dico in modo semplificato- di combinare insieme sostenibilità ambientale e diritti della persona, appariva irresistibile. E sembrava, sopratutto, il bandolo di una matassa capace di rifondare una nuova idea di sinistra, non più debitrice delle ideologie novecentesche…In altre parole, l’ecologia come punto di vista critico non solo del modello di sviluppo economico , ma delle stesse relazioni sociali conseguenti (pag. 105). Il libro: “Corpo e Anima “, se vi viene voglia di fare politica, a cura di Christian Raimo, è edito da minimum fax e in copertina mette stampigliato un incipit che mi piace riportare per intero: “Cosa può essere oggi la politica, in un mondo dove prevalgono le passioni tristi e le ideologie sarebbero morte e sepolte? Può essere la capacità di muovere dal dolore e dalla forza delle persone in carne ed ossa, e provare a tradurre tutto questo in mobilitazione collettiva. Per garantire i  diritti ancora negati, riconoscere quelli nuovi e contribuire a una cittadinanza più accogliente e matura”. Luigi ha due anni meno di me, è del ’48, nasce a Sassari che la mamma, come aveva fatto per le sue quattro sorelle maggiori, non  fidandosi delle “strutture sanitarie” dell’Asinara, dove pure il marito era medico del carcere,  a partorire tornava nell’isola più grande e meglio attrezzata di ospedali. Ai suoi cinque anni la famiglia torna definitivamente a Sassari, scuole sino alla maturità al liceo “Asuni”, quello di Togliatti e Elisabetta Canalis, dice Luigi facendo ridere tutti, e poi alla “Cattolica” a Milano. Erano gli anni del ’68 e Manconi li milita in “Lotta Continua”, diverrà addirittura responsabile nazionale del “servizio d’ordine”, per usare un eufemismo: quelli che in corteo erano disposti a darle e prenderle, le botte, coi poliziotti e anche con gli altri “servizi d’ordine”: Avanguardia Operaia, Potere Operaio, PDIUP e via dicendo. Nel mentre che si dedica anima e corpo alla rivoluzione, espulso per questo dall’università, a ventuno anni diventa padre, ora Davide lo ha reso nonno di due figli, verranno poi Giacomo e, a cinquant’anni suonati, Giulia: “Ciò che penso, in realtà, è che Giulia abbia contribuito, e molto, a ritardare il mio processo di invecchiamento: tanto più che gli anni della sua adolescenza coincidono con quelli della mia quasi cecità. Come faccio a non esserle grato? (pag.159). Della sua disabilità Luigi parla con molta ironia, lui abituato a comprarsi e scegliere cravatte rigorosamente in tinta con gli abiti che indossa, certo da “lettore onnivoro” che era, uno che sfogliava ogni mattina almeno sei quotidiani, ora i giornali deve farseli leggere, per le rassegne stampa ci sono fortunatamente quelle delle radio, in specie radio-radicale. Va peggio per i film, un’altra delle sue passioni, salva quella per la musica pop, lui che è stato per anni critico musicale per diverse riviste specializzate (si firmava Simone Dessì) e ha scritto un libro: “La musica è leggera” per il Saggiatore nel 2012, che ha avuto molta fortuna di lettori e di critica. Qui a Milano oggi sono con lui due “big” del giornalismo italiano: Massimo Recalcati, “firma” di “Repubblica”, psicoanalista e scrittore, grande divulgatore del pensiero di Lacan, e Ferruccio De Bortoli che fino a ieri dirigeva il più prestigioso quotidiano italiano: “IlCorriere della sera”, dimissionato, dicono le male lingue, perché non in sintonia col nuovo “leader” d’Italia, il giovane Matteo che sappiamo. Pare, “orribile dictu”, abbia addirittura espresso simpatie per il No al referendum d’autunno. C’è pure Laura Balbo che generosamente, ricordo, mi diede ventotto a un esame di sociologia, Milli Moratti che correrà per l’ennesima volta per il consiglio comunale milanese a inizio giugno. Il mondo ecologista.

De Bortoli si confessa lettore distratto e superficiale di Manconi, fino ad oggi, certo (e per quel che vale sono d’accordo) un po’ di sintesi non guasterebbe, il libro sono 225 pagine parecchio dense. C’è dentro ovviamente molta politica. I diritti che sono inseparabili dal corpo e dall’anima. In cui gli ultimi non sono degli scarti (P. Levi?). E seppure Luigi appaia come un difensore delle cause perse, è riuscito a spezzare muri di indifferenza. A mettere in primo piano che le prigioni non sono, non debbono essere, la pattumiera della società. Il cinismo non è una virtù.  E non è accettabile che chi si trova nella custodia dello stato possa essere maltrattato, fino a morirne. Anche perché sono più di tremila gli italiani che sono detenuti nelle carceri di paesi esteri. E forse ci sono stati degli altri “casi Regeni” di cui nulla sappiamo. Non nega le sue passioni in questo libro, vietato chiamarlo con un termine che aborre: sessantottino. E poi le questioni del fine-vita: l’eutanasia come libertà negativa, libertà dalla sofferenza. Massimo Recalcati dice di voler soggiacere al vizio professionale del mestiere suo: psicoanalista, va dunque cercando nel libro di Manconi il sintomo che lo stringe nella tensione tra la vita e la politica, che va ripensata capovolgendo Marx e Heghel e quindi non partendo da S come storia o I come idea, bensì dai corpi. Come diceva già Hanna Arendt l’idea cancella l’identità delle persone, essa deve essere al servizio della vita. Legge da pag.43: “Anche perché la mia linea politica è sempre partita da un nome, un cognome un volto per arrivare, quando è possibile, al principio generale. Non il contrario”. Indicazione di metodo essenziale. Che cosa è il nome? Il nome è il corpo ferito, prigioniero, cancellato.

Da dove viene questa vocazione? Da qualche parte verrà. C’è una pista: il padre, l’infanzia all’Asinara, il padre ufficiale medico. I prigionieri con cui c’era uno scambio molto umano. E il padre cura quei corpi. Altro episodio della giovinezza, Luigi è in carcere a Torino (era stato anche ferito dalla polizia) il padre viene a visitarlo portandosi appresso il suo piccolo figlio, prende una penna, disegna la spina dorsale: sei stato miracolato. L’importanza del corpo mortale, umanissimo, la fragilità della vita. Altro sintomo a pag.194/195 (poi l’interpretazione): é che io prima in modo sottile e poi dirompente, sono diventato preda di una sorta di ossessione per la parola che mi costringe spesso ad un autentico corpo a corpo  per modificare ciò che mi risulta stonato, in uno scritto, in un discorso. La parola deve essere precisissima, a maggior ragione adesso che le mie immagini sfocano. Una politica quindi tesa a governare il disordine che è irriducibile, l’esistenza tutta tesa a dare forma a questo disordine. “Sono state dette di me delle cose così affettuose che mi sento particolarmente emozionato” dice Manconi nella sua replica. “Con De Bortoli benchè sia stato con lui solo una volta ad Assisi, sono sempre stato sui suoi giornali, una volta il “Sole 24 ore” che lui dirigeva mi fece un contratto così vantaggioso per cui lui forse perse il posto. Conosco Recalcati solo per i suoi scritti. Perchè ho scritto il libro? Cerco di spiegarlo con un esempio, una settimana fa, miei amici, che ora non posso vedere, marito e moglie, mi chiedono della mia attività politica, dico loro di Giulio Regeni e di tutto il tributo di affetto, di solidarietà che sta suscitando il caso. La moglie: “Ma, politicamente, cosa stai facendo?”. Mi sono venute le lacrime agli occhi, la domanda era un’onta. Per me l’affare Regeni era il cuore della Politica.  E anche noi abbiamo un caso di morte in una prigione: Stefano Cucchi: la crisi dello Stato che non garantisce più la protezione, la incolumità dei cittadini posti sotto la sua custodia.  Sottoscrivo le  note psicoanalitiche incondizionatamente, il mio primo articolo su di un giornale, La Nuova Sardegna, diceva di un viaggio di un carcerato in manette dall’Asinara a Sassari. E poi il lungo conflitto che ho intrattenuto con mio padre, debbo dire che gliene ho fatto di tutti i colori. Ma, badate bene, io non mi immedesimo con gli immigrati, coi detenuti. Penso solo a fare sì che anche a loro siano riconosciuti certi diritti, i nostri. E la sciatteria della politica odierna viene anche dal rifiuto dell’analisi, della parola esatta, da qui il populismo imperante. Quando sento dire l’inquilino di palazzo Chigi, al posto del presidente del consiglio, soffro veramente, ho un malessere fisico.”

Debbo testimoniare che Luigi parla come un libro stampato, un accento tattarino che neanche il miglior Cossiga, certo impressiona quella sua vocazione per le canzonette, c’erano i segni già nel ’68, scrisse lui le parole per l’inno di “Lotta continua” (ovviamente c’è su You Tube): “Siamo operai/ compagni braccianti/ e genti dei quartieri/ Siamo studenti/pastori sardi/ divisi fino ad ieri. Lotta! Lotta di lunga durata,/ lotta di popolo armata:/ lotta continua sarà! Dei pastori sardi poteva venire in mente solo a lui.

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