CONSEGNATO IL PASSAPORTO PER L’EUROPA A “SA LIMBA” CON IL “DITZIONARIU” DELLO STUDIOSO MARIO PUDDU

Mario Puddu


di Massimo Carta

Mario Puddu ha dato il passaporto per l’Europa alla lingua sarda. Lo ha fatto con la seconda edizione de “Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda” edito per i tipi dell’Editrice Condaghes. Con quasi tremila pagine “Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda” costituisce un’opera monumentale di enorme portata scientifico-letteraria, ancorchè filologica, dove la lingua sarda, in tutte le sue espressioni locali, riesce a mostrare l’autentica caratterizzazione di un popolo che affonda le sue radici storiche e letterarie in tante culture antiche che, ora da dominatori ora da sfruttatori ora da intermediari commerciali, hanno lasciato segni evidenti anche nel lessico. “Su Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda, scrive Bachisio Bandinu nella presentazione per conto della Fondazione Sardinia, “mustrat su manitzu de sa limba in totu sa richesa e identitate sua, sos faedhos s’imbenint apare pro contare s’esperienthia de sa vita e s’unitade de sa cultura”. Bandinu offre un dosato giudizio dell’opera: “Est unu donu mannu chi nos imparat a contare, a cosire e a tessere paraulas e arrejonos pro poter faedhare, con assentu e cumpetenthia, sa realitate de donzi die. E nos cufirmat chi sa limba non est povera e ruza comente carcunu narat, est imbetzes rica e dechita. Una richesa chi no est solu in sas chentu mitzas paraulas e prus, est mestamente in sos modos de narrare e in sas metaforas imbenteras. Custo ditzionariu est unu documentu de s’identitate sarda..”. Un dizionario, dunque, che vale come documento dell’identità glottologica della Sardegna. Nel lavoro di Mario Puddu, originario di Illorai e docente per lungo tempo nelle scuole pubbliche di San Giovanni Suergiu, sono compresi oltre 111 mila vocaboli sardi, di cui viene indicato: spiegazione e significato, le varianti nelle diverse parlate locali, applicazioni più ricorrenti, la pronuncia, i sinonimi, proverbi in cui il vocabolo (lemma) è presente e, per molti di essi, l’etimologia. Questa è la struttura dell’opera “Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda”, che per larga parte ricalca l’impostazione della prima fortunata edizione (2000). Nella seconda edizione, e qui sta proprio il carattere di passaporto per l’Europa de “sa limba sarda”, l’opera di Mario Puddu contiene la traduzione in “chimbe limbas (francesu, inglesu, ispagnolu, italianu e tedescu) de pagu prus de 22.100 lemmas in s’idea de rapresentare cantos prus significaos possibbile ma chentza furriare totu su possibbile, isceberandho is prus de importu prus che ateru po s’impreu comunu”. A collaborare in questa “internazionalizzazione” de sa limba, ci hanno pensato: Giuseppina Pistis e Pinella Lenzu (francese), Giuseppe Scano (inglese), Sonia Emanuela Campus (spagnolo), Anna Paola Matta e Marcello Frongia (tedesco). Mentre Luciano Melis ha collaborato per la nomenclatura scientifica e Giovannino Sedda con Alina Sabatini hanno impreziosito il lavoro con figure e dipinti originali. Vi è da dire, per approfondire l’argomento ed inquadrarlo storicamente, che finora, ad iniziare dal canonico Giovanni Spano e seguire con Pietro Casu, Antonio Rubattu, Leopold Wagner, Massimo Pittau tanto per citarne alcuni, tutte le edizioni pubblicate sulla lingua sarda hanno avuto il carattere di vocabolario: lingua sarda-campidanese; lingua sarda-logudorese ecc. Oppure studi etimologici, di grammatica, ma sempre confrontati con l’italiano. Un’opera corposa e del taglio di “Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda” non c’era mai stata, anche perché in essa, su ogni “lemma” vengono argomentati origine, pronuncia, significato, applicazione e riferimenti, tutto scrupolosamente in “limba sarda”, quasi che chi legge non conosca altra lingua. Un’opera, come quella di Mario Puddu, non può essere relegata, per la sua vasta e scientifica argomentazione, a far bella mostra nelle biblioteche o negli studi di studiosi della materia. Essa invece, sia per la ricchezza della trattazione che per la vastità degli elementi contenuti nel “Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda”, dovrebbe entrare nelle scuole, soprattutto quelle che hanno scelto lo studio de “sa limba” per la quale la stessa Regione Sardegna ha abbondato nel concedere contributi. Ciò, però, presuppone che gli insegnanti siano adeguatamente formati, magari attingendo proprio all’opera di Mario Puddu elementi di curiosità lessicale ed etimologica contenuti nel “Ditzionariu”. Tanto più che l’opera in argomento non privilegia alcuna parlata locale, ma si qualifica proprio per il suo equilibrato modo di rapportarsi unicamente a se stessa, esaltando, laddove vi siano particolari riferimenti, neologismi sardi che comunque una “lingua viva” non può non avere. Non di rado si coglie lo sforzo dell’autore nel proporre il lemma in maniera sinottico, giusto per far capire sfumature esistenti tra una parlata e l’altra. Altro particolare è il ricorso, spesso, a “sa mesania”, la forma mediata e parlata tra logudorese e campidanese. Per questa sua ricchezza bibliografica, “Ditzionariu de sa limba e de cultura sarda” non teme confronti con analoghe opere per la lingua italiana o di altre lingue straniere. Con quest’opera ci si può innamorare de “sa limba”, perché essa presenta un tale coinvolgente patrimonio storico scientifico che finora non aveva avuto eguali.

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