A VELE SPIEGATE VERSO LA MODERNITA’. DALLE CITTA’ METROPOLITANE AI TRENI VELOCI: LA FANTASCIENZA NEL DIBATTITO SARDO


di Omar Onnis

In Sardegna siamo fortunati, perché non abbiamo problemi veramente drammatici e possiamo perciò dedicarci a discutere di amenità o di vere e proprie scempiaggini. Per esempio di città metropolitane e di treni veloci. Tutta roba fantastica, appartenente a una dimensione dell’immaginario che sconfina nella fantascienza.

Fantascienza apparentemente ottimista, utopica, ma in realtà foriera di una distopia di quelle brutte, post apocalittiche.

Uno sarebbe anche tentato di prendere sul serio i dibattiti di questi giorni su entrambe le faccende. Hanno le sembianze di questioni vere, di problemi reali alla cui risoluzione la nostra politica istituzionale si sta dedicando. Poi va a leggersi un po’ di documenti (previsioni normative, dati statistici, argomentazioni pro e contro, ecc.) e a quel punto gli viene da prendere in considerazione la guerriglia.

Quella della città metropolitana è una polpettona avvelenata della peggior specie. Una fanfaluca assurda su cui alcuni gruppi di interesse che dominano la scena in Sardegna si accapigliano, per stabilire come spartirsi la torta. Senza fare i conti con l’oste, naturalmente. Uno degli esiti più probabili è che la finiamo come con le meravigliose quattro province aggiuntive, prima imposte poi eliminate dallo stesso giro di figurati buoni per tutte le stagioni.

Ma questo sarebbe forse il meno, perché invece il sospetto è che i danni saranno ancora maggiori. Di suo l’istituzione delle città metropolitane è una pensata tutta interna all’establishment politico-affaristico italiano. Per buona che sia (ma non si sa, perché non è stata mai realizzata da nessuna parte), è tarata su dimensioni e su una scala proprie dell’Italia. La Sardegna non ci rientra, come dovremmo sapere. Non ci rientra per precise ragioni geografiche, geologiche, orografiche, socio-economiche, demografiche. Ragioni non contingenti.

Mettere la cosa sul piano della rivalità campanilistica tra Cagliari e Sassari, naturalmente, è del tutto patetico. Ci manca poco che comincino a dissotterrare cadaveri e spacciarli per i resti di qualche martire locale! E vorrei anche ricordare che l’ultima volta, nel XVII secolo, la diatriba venne risolta dalla peste (a danno di Sassari, in quel caso). Spero non ci voglia qualcosa del genere anche adesso, per farli smettere.

Naturalmente a nessuno, nella (ag)giunta dei professori, è venuto in mente di studiare un po’, prima di darsi a questi voli di fantasia. Se sapessero qualcosa della Sardegna probabilmente non dico che farebbero qualcosa di buono (non sono lì per quello), ma almeno cercherebbero di intortarci in modi più sofisticati. Non abbiamo nemmeno la soddisfazione di essere presi per i fondelli in modo serio!

Comunque la si metta, questa storia della città metropolitana è un insulto ai sardi, a tutti i sardi, compresi i cagliaritani e i sassaresi. Per risolvere i problemi – veri – del compendio urbanistico cagliaritano basterebbe razionalizzare infrastrutture, servizi, scelte strategiche. Se non lo si fa non è certo perché manca il riconoscimento di città mentropolitana, ma solo perché si pensa al piccolo cabotaggio clientelare, ai campanilismi, ai favori da fare e da ricevere, agli sgarbi reciproci tra gruppi di potere, a non disturbare i grandi manovratori.

La vergognosa recita a proposito dei treni fa il paio con quella sulla città metropolitana. Sono anni che di tanto in tanto, in presenza di qualche magagna che non si vuole affrontare, si estrae dal cilindro la favola del treno “veloce” che dovrebbe collegare “il Capo di sotto col Capo di sopra”. Ogni volta si annuncia la soluzione dei problemi intercorsi (evidentemente sempre imprevedibili) e l’imminente inaugurazione. Come se non si sapesse da sempre che la rete ferroviaria sarda è quella dell’Ottocento e che ci sono limiti di tipo geografico che non si colmano con ritocchi o con l’acquisto sconsiderato di treni che non potranno mai viaggiarci su. Sostenere che sarebbe un enorme progresso impiegare 150 minuti (ossia due ore e mezza) da Cagliari a Sassari sa troppo di furbata da piazzisti, per pensare che il presidente Pigliaru ci creda davvero.

Il Capo di sotto e il Capo di sopra manco esistono, per altro: sarebbe il caso di aggiornarsi. La Sardegna è un po’ più vasta e complicata di quella sua porzione minima e minoritaria che conoscono il presidente Pigliaru e i suoi assessori.

Il problema di fondo è che questa gente non sa nulla. Rappresenta alla perfezione la classe dominante proconsolare che imperversa in Sardegna da due secoli. Ignoranti e provinciali, privi di spessore culturale, ma presuntuosi; ossequiosi verso qualsiasi potente straniero (pensiamo alle imbarazzanti pantomime con gli emiri qatarioti), ma senza scrupoli verso i cittadini sardi. Dei diritti di questi ultimi, delle necessità concrete, dei problemi pratici delle tante comunità dell’isola non sanno e non vogliono sapere niente. In mancanza di pane, inviterebbero a mangiare brioches.

Così come non sanno nulla della nostra storia, della nostra cultura, della nostra economia. E d’altra parte non sono lì per quello. Sono lì per inventarsi diversivi, onde evitare di dover affrontare le questioni vere. E noi troppo spesso abbocchiamo.

Invece la risposta giusta da dare sarebbe il rifiuto di stare al gioco. Uscire dalle trappole retoriche generate ad arte e scompaginare le carte. Svelare la nullità che sta sotto gli effetti annuncio e le dichiarazioni pubbliche e far emergere chiaramente lo schifo che dovrebbero coprire. Resistere nei modi più fantasiosi e imprevedibili. Alimentare relazioni, confronti, scambi di idee, produrre cose, fatti, occasioni di incontro.

Siamo in un momento storico pessimo. Ci stanno guidando verso le magnifiche sorti e progressive della modernità: quella del XIX secolo. E pretendono anche he ne siamo contenti. Un ritorno al passato a vele spiegate che ci distruggerà presto.

È difficile, in presenza di queste vicende, mantenere l’aplomb e non ricorrere al turpiloquio più pesante. Ma non si può cedere alla frustrazione. Sarebbe comunque poco produttivo.

È la lucidità spietata, quella che ci serve oggi, è la visione chiara del nostro presente, nelle sue connessioni col passato e con il futuro. Costi quel che costi. Devono sapere che, per quanto facciano, c’è una massa di persone, di nodi relazionali, di capacità, di interessi che non è normalizzabile, che non si arrende all’illusione o alla rassegnazione. E ne devono sentire il fiato sul collo, senza avere tregua.

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