LA VITA CONTINUA … SUPERARE LE VICISSITUDINI DELL’ESISTENZA E ACCORGERSI CHE NULLA PUO’TORNARE COME PRIMA


di Romina Fiore

E siccome io sono banale come un’anguria ad agosto, da oltre trent’anni vado sempre nella  stessa spiaggia.

Ho la fortuna di poter usufruire di una casetta al mare di proprietà dei miei genitori che, invece, loro usano a singhiozzo. E lasciarla lì inutilizzata, come un oggetto inservibile, per  pagare fior di soldi e trascorrere le ferie da un’altra parte mi sembra uno schiaffo alla  miseria.

Dicevo che vado sempre nella stessa spiaggia e per raggiungere il mio abituale spicchio di sabbia, devo oltrepassare una minuscola pineta che numerosi turisti si contendono durante l’ora di punta.

È da anni che, transitando lì, in quella piccola boscaglia, incontro volti diversi.
Talvolta quelli di villeggianti abituali, e ci si saluta con un timido sorriso scoprendoci senza dircelo vicendevolmente invecchiati ad ogni anno che passa, altre volte perfetti sconosciuti di passaggio per un giorno solo.

Ma la domenica no!

Di domenica quella fetta di frescura viene monopolizzata da una tribù composta da almeno quattro famiglie, forse parenti tra loro.
Il suolo si ricopre di tavolini, piccole sedie da regista, variopinte sdraio, borse-frigo stipate di viveri e bibite, termos di caffè.
Ma anche mazzi di carte da tirare fuori il pomeriggio per trascorrere i tempi morti, quando i più anziani sonnecchiano ed i bambini, all’ombra degli alberi, attendono impazienti che le due ore della digestione passino in fretta.

A me tutto ‘sto trambusto inizialmente faceva sorridere un po’ e in qualche occasione ho pensato che sarebbe stato più comodo portare due panini imbottiti, piuttosto che la teglia di lasagne, le cotolette impanate e la parmigiana di melanzane.
L’anguria, anche.
Spesso seguita da vassoi di ciambelline alla marmellata, di quelle fatte in casa.

Un saluto oggi, un sorriso la domenica successiva e:
– Le possiamo offrire un caffè? –
– Volentieri, grazie! –
E mi hanno liberato alla svelta una piccola seggiola, cacciando bruscamente uno dei bambini che la occupava.
Abbiamo chiacchierato per un po’, sorseggiando quel caffè buono e caldo di termos, davanti a contenitori di dolcini offerti ad una sconosciuta con sincera gentilezza.

– Ci alziamo alle 5.00 del mattino – ha detto soddisfatto il signore che, a occhio, sembrava il più anziano del gruppo.
– Io mi metto subito in macchina e alle 6.30 sono già qui per occupare lo spiazzo; gli altri mi raggiungono quando le nostre signore hanno finito di cucinare e preparare tutto. –
E guarda con orgoglio le donne della frotta, che ascoltano e sorridono.
– Restiamo a goderci il fresco fino al tramonto, poi ci rimettiamo in macchina e torniamo a casa. –

Ho ascoltato rapita e ammirata il resoconto della preparazione, l’organizzazione della spartizione di ruoli e incarichi, la descrizione delle ore che scorrono nella loro domenica limpida.

E allora l’ho capito il vero senso di quella pasta al forno che avrà fatto sollevare, con alterigia e altezzosità, più d’un sopracciglio.
Un sublime rituale di goliardia e amicizia, un sabato del villaggio, un senso di fratellanza e appartenenza cementato da strati di besciamella e ragù.
Un incantevole dito medio sollevato innanzi allo stitico tramezzino del baretto sulla spiaggia.

La domenica mattina quel caffè, sotto gli alberi, denso di chiacchiere con la tribù, era diventato per me una piacevole abitudine.

Poi quel clan è sparito, da una settimana all’altra.

– Avranno cambiato spiaggia – mi ero detta un po’ dispiaciuta.

Stamattina, dopo due anni dalla scomparsa, ho visto una coppia del gruppo.
Non erano sotto gli alberi e non erano con gli altri amici.
Oziavano al fresco di un ombrellone come qualsiasi bagnante della domenica. Ho anche notato una piccola borsa-frigo che non poteva contenere più di un recipiente e qualche bibita.

– Ehi, buongiorno! – ho detto avvicinandomi a loro tutta contenta.
Hanno salutato cordialmente, ma con meno slancio di quanto ricordassi.
– Da quanto tempo non vi vedevo, avete cambiato zona? – ho domandato curiosa.
 No, a dire il vero da quando Giovanni è morto non veniamo più, senza di lui non è la stessa cosa. –

Ho ascoltato il resoconto di una malattia, di una sofferenza e di una fine.
Un capolinea che non ha segnato solo la conclusione di una vita, ma che ha decretato un epilogo allargato sgangherando un sublime rituale di goliardia e amicizia.
Sfasciando bruscamente un sabato del villaggio.
Sconquassando un senso di fratellanza e appartenenza cementato da strati di besciamella e ragù.

Perché è vero che, nonostante la morte, la vita degli altri continua.
Però non è più la stessa!

* http://www.sardegnablogger.it/

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Un commento

  1. Troppo bello questo racconto. Ero lì…. giuro, ero lì anch’io. Anche se non vengo in sardegna da millenni. Ho visto la frotta di cui parli e ne ho sentito il calore. E mi è dispiaciuto per Giovanni. Grazie

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