L’ENIGMA CONTINUA: LA SCOPERTA ARCHEOLOGICA DI BRUNK’E S’OMU NELLA MONTAGNA DI VILLA VERDE


di Vitale Scanu

Ancora alla scoperta archeologica di Brunk’e s’Omu nella montagna di Villa Verde, con lavori di scavo affidati alla direzione scientifica del prof. Riccardo Cicilloni, titolare della cattedra di Protostoria e Protostoria della Sardegna dell’Università di Cagliari. Da luglio ad agosto prossimi vi sarà un’altra puntata di scavi nella nostra località montana. Vivi complimenti all’Amministrazione comunale per queste scelte culturali. Si riconferma la relazione stretta che lega quel villaggio nuragico alla storia di Baini (Bannari-Villaverde). E giustamente. La scienza archeologica, a me pare, sta affondando le mani in qualcosa di molto importante per la storia della nostra piccola comunità, per la quale quel monumento preistorico rappresenta “l’anima e il cuore”, sia per il passato che per il futuro. Una cosa talmente importante e viva alla quale, dai tempi più remoti, i bannaresi hanno dato il nome, come a un proprio figlio; una  realtà che, a distanza di circa 4000 anni, ancora ci intriga scientificamente e addirittura dà occasione di lavoro a tante persone.

Brunk’e s’Omu è una delle tante “lettere” lasciataci dai nostri antenati preistorici, che a noi moderni tocca decriptare. In altre parole, se queste pietre sono la risposta, qual è la domanda, o le domande, da porre a quel popolo della montagna? Scavando questi monumenti, infatti, noi scopriamo persone umane: individui intelligenti e operosi, anche se primitivi, mani d’uomini che li hanno costruiti e abitati. Il Prof. Lilliu, quando riportò alla luce il monumentale nuraghe di Barumini, riesumò in definitiva e rivalutò la prestigiosa civiltà che lo edificò o lo fece vivere. Gli antenati del neolitico ci hanno inviato questa “lettera” in caratteri sconosciuti che bisogna decriptare perché non resti afona e insignificante.

Le radici dell’enigma di Brunk’e s’Omu, ci dicono gli archeologi, affondano nel buio di circa tremila anni fa, risalendo all’ultimo dei tre periodi della pietra, il neolitico, caratterizzato

dallo sfruttamento dei giacimenti di ossidiana del Monte Arci, dalla scoperta del bronzo, dalla coltivazione agricola e dall’addomesticamento degli  animali. Gli archeologi ci consegnano aridi e freddi numeri. Tocca agli antropologi la lettura e la loro interpretazione, ossia di farli parlare. Questi numeri sono la risposta; ma quali sono le domande che essi pongono? Eccole, in sintesi.

– Chi erano, da dove venivano quegli antenati nostri? Per quali motivi hanno scelto di stanziarsi in quel sito? Qual era la sua centralità e la sua importanza strategica? Esso infatti risulta un importante centro abitativo isolato, nel senso che nel raggio di circa trenta chilometri non si hanno altri nuclei abitativi consimili.

– Quale ipotesi possibile per una densità così notevole di nuraghi (con un relativo villaggio montano) nel territorio di Baini, quale non si nota nelle zone circostanti, fino ai villaggi di Barumini e al Puisteris di Mogoro? Questa maggiore densità di manufatti preistorici significa necessariamente una maggiore concentrazione demografica, tante persone in un ristretto comprensorio, una più intensa attività collettiva, con logici percorsi viari, forse anche per mezzi pesanti. Gli altri nuraghi viciniori sono forse in una relazione di dipendenza con Brunk’e s’Omu? Quindi era questo forse il “capoluogo” di un piccolo regno con un capo preminente che comandava su quel piccolo territorio? Forse aveva la collaborazione di una piccola assemblea consultiva (vedi la conformazione della “capanna delle riunioni”, n. 5) per prendere decisioni in comune, “democratiche” diremmo oggi?

– L’ultima campagna dell’archeologo prof. Cicilloni (2013) accredita a quegli uomini conoscenze nell’arte fittile (grossi contenitori ceramici), lapicida (lastre litiche lavorate con precisione da arnesi metallici nella capanna 16) e metallurgica (piccole asce di bronzo… Ma lo stagno per la lega col rame per ottenere il bronzo non esiste in Sardegna…). Da dove arrivavano quindi queste conoscenze, da dove provenivano questi prodotti? Ricordiamo che nella vicina Usellus sono stati scoperti notevoli segni della frequentazione con i fenici. I fenici hanno forse frequentato il villaggio di Brunk’e s’Omu? Sono essi i portatori di queste conoscenze, e anche delle novità sull’agricoltura?

– Quel popolo della montagna si estinse totalmente oppure ebbe un seguito? In questa seconda ipotesi, le nuove conoscenze sull’agricoltura ne mutarono lo status economico e sociale (da cacciatori e raccoglitori di frutti spontanei ad agricoltori), per cui esso venne sospinto verso terreni più agevoli e fruttuosi. Verso il fondo valle, come sembra, unica via praticabile da loro per fini agricoli? Una lettura del territorio rileva come tutta la conca, simile ad una immensa platea di teatro greco, sia stata modificata in relazione ad un uso agricolo. Ne è segno soprattutto il diradamento del manto vegetale, che lascia ampi spazi alle coltivazioni cerealicole. Questo fa ipotizzare come la scoperta dell’agricoltura abbia spinto verso valle, molto più fertile, la gente della montagna, determinandone anche l’economia stanziale.

– E’ sostenibile un’ipotesi su una continuazione biologica ed etnica di quel popolo della montagna nei bannaresi di oggi? Una parola ci fa fischiare le orecchie in tal senso: il cognome Scema. Esso é diffuso esclusivamente nella provincia di Oristano (con qualche diramazione migratoria a Genova) ed è concentrato essenzialmente nel paese di Villa Verde. E’ un cognome derivante da un radicale semitico (fenicio, ebraico): SHeMa, che significa “ascoltare”, vocabolo tante volte ricorrente nella Bibbia. E’ forse un fossile linguistico indicante un passaggio fenicio a Brunk’e s’Omu, in seguito diffusosi a valle come prosieguo di un’eredità genetica?
 – Viste in un contesto storico, le conoscenze attuali sul popolo di Brunk’e s’Omu ci fiondano fino al 2000 a.C. circa, periodo in cui si formavano gli scritti biblici. Gli scritti biblici parlano ripetutamente, con grande enfasi, dei “regni di Tarsis e delle Isole di là dal mare”, che per i popoli semitici erano agli estremi confini della terra. Gli studiosi collocano “Tarsis e le Isole” proprio dove ora abbiamo Tharros, il fiume Tirso, le Baleari e le coste occidentali del Mediterraneo. I popoli della Bibbia erano quindi a conoscenza dei nuragici e della loro possente civiltà? 

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