IL “PROGETTO EVEREST” PER L’ALPINISTA ORISTANESE MAX CARIA: "MI ALLENO VENTI ORE ALLA SETTIMANA, NELLE ALTRE SOGNO"

il versante nord dell'Everest


di Paolo Salvatore Orrù

I sogni devono poter vagare solitari e nottambuli nell’infinito, attraversare le galassie, volare come l’eterno Peter Pan, per poi, all’alba, occultarsi dietro i raggi del sole e della ragione. Per realizzare il suo sogno, arrampicarsi sulla vetta del mondo, Max Caria, l’alpinista di Oristano che ad agosto tenterà di scalare il Cho Oyu e ad aprile 2015 l’Everest, sa che è necessario mixare in giuste dosi fantasia e razionalità. E’ bello sognare, ma soprattutto occorre progettare. Nulla può essere lasciato al caso, nemmeno l’aspetto psicologico. Lui lo sa, lo ha sperimentato nelle sue ultime missioni nel deserto di Atacama, sul Monte Bianco, sul Pik Lenin e sul Monte Kenya. “Il successo è la somma di due fattori, il 51% è testa, l’altro 51% è legato alla preparazione fisica”, dice il sardo, conscio del fatto che per accarezzare la corona della regina dell’Himalaya, sarà necessario dare qualcosa in più. “L’allenamento ideo-motorio è veramente importante: perché se insieme al fisico “gira” anche la testa il più, è fatto”, dice l’alpinista. Un’asserzione che riecheggia molto da vicino a una delle frasi più celebri del fondatore dello scoutismo, Sir Robert Baden-Powell, “butta il cuore oltre l’ostacolo”. Max sa, lo intuisce come tutti gli uomini che hanno deciso di dare un significato ai sogni, che se si sta lì a lambiccarsi su quanto può essere pericoloso un gesto, quel gesto ucciderà tutte le fantasie, “il pericolo va affrontalo con decisione e ti accorgerai che non è poi così brutto come sembra” diceva ancora il grande scout. Certo, per supportare il pericolo è necessario essere anche in perfetta forma fisica, ma per Max questo non è un problema. Una volta che la testa è a posto, venti ore di allenamento la settimana per sei giorni fanno il resto. La domenica, come da prescrizione medica, riposo, “se non c’è qualche gara regionale di mountain bike. “E non dimenticarti di scrivere – dice – che il sabato mi alleno il doppio degli altri giorni”. Roba da stakanovisti. Per sopportare questi ritmi allenamento, l’alpinista ha bisogno di cinque pasti quotidiani che gli forniscono 3500 – 4000 calorie il giorno (faccio una colazione molto proteica, con carne, pesce, formaggio). Lo sforzo aerobico e la frequenza cardiaca delle corse in mountain bike sono molto simili a quelle che si possono riscontrare durante una scalata”. Pedalare non basta, però, “vado una volta alla settimana in palestra seguito come un’ombra dal mio personale trainer, non prendo integratori”. “Siate pronti”, consigliava Baden-Powell, per esserlo Max si allenerà sino a quando non si sarà assiso sugli “spinosi” sedili dell’aereo che lo accompagnerà ai piedi dell’Himalaya. Tre mesi prima di quel momento, comincerà la fase più dura della sua preparazione atletica. “Camminerò, mi arrampicherò sulle montagne della Sardegna, Gennargentu, Monte Arci, indossando cavigliere di quattro chili ciascuna e portando con me uno zaino di venti chili”: un allenamento da acquisitore di obiettivi della Folgore. Il tutto inframmezzato da un allenamento con ramponi e piccozza da compiere fra i ghiacci della Valle D’Aosta. Per Max, l’unico vero successo è la felicità che sa offrire la libertà. 

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