INTERVISTA ALL'ATTRICE DEL "CROGIUOLO" RITA ATZERI: E' L'IDEATRICE DELLA RASSEGNA "LA ROSA BIANCA"

Rita Atzeri nella foto


di Claudia Sarritzu *

Come nasce l’idea di questa rassegna teatrale? E perché il nome “La rosa bianca”? Non è solo l’idea della rassegna teatrale di cui devo esplicitare la genesi, ma quella dell’intero progetto!La Rosa Bianca è infatti un progetto composito ideato da me, che fa capo all’organizzazione del Crogiuolo, che si articola in una rassegna cinematografica, una teatrale, una tavola rotonda e una mostra fotografica. Una complessità che abbiamo ritenuto necessaria per affrontare un tema tanto dibattuto quanto vischioso come quello della violenza di genere, nel senso che il rischio della retorica è in agguato, sempre! Ogni sezione è stata affidata a valide professionalità, così le scelte dei film sono state lasciate a Cineteca sarda e Senonoraquando, la cura della tavola rotonda “Le parole della violenza e il loro contrario” a Luisa Sassu, e la mostra fotografica, in forma di anteprima di un progetto a sua volta più ampio e Fiorella Sanna e Francesca Madrigali. L’idea nasce anni fa, in seno ad un laboratorio teatrale da me condotto con Susanna Mameli al Liceo Pedagogico Eleonora d’Arborea ed in linea con la vocazione all’intervento civile della nostra compagnia, tracciata fin dalla sua nascita dal nostro direttore artistico Mario Faticoni, vista la pressante attualità del tema, abbiamo ritenuto doveroso dare il nostro contributo. Contributo artistico ovviamente, in quanto ogni ambito espressivo dell’empatia ed emotività dell’arte si è avvalso appieno. Il nome La rosa bianca è stato scelto per il suo potere evocativo e la molteplicità di rimandi che contiene, da quelli legati alla resistenza ai più generali di purezza e spiritualità: per la donna si tratta ancora oggi di resistere e lottare in primo luogo per abbattere gli stereotipi che la circondano e che sono tra le cause della violenza.

Se la maggior parte del pubblico a teatro (ma in verità in tutte le manifestazioni culturali) è “donna”, non si corre il pericolo di arrivare ancora una volta “meno” al pubblico maschile? No. Questa non è una rassegna che si rivolge alle donne. Si parla della donna ma le problematiche che vengono affrontate non riguardano solo le donne, sono bensì espressione di un problema sociale più ampio, che riguarda gli individui, uomini o donne che siano. Il problema della partecipazione culturale è forse legato ai numeri, ma in genere il nostro pubblico è abbastanza variegato.

Aldilà delle leggi sul femminicidio quanto sarebbe importante portare la cultura del rispetto nelle scuole? Magari anche con dei laboratori teatrali? Di fondamentale importanza direi. Infatti è da un laboratorio che poi è germogliato il seme del progetto. La diffusione di questo tipo di interventi si scontra con i problemi della sempre maggiore esiguità di fondi, purtroppo.

Sicuramente la tua esperienza nel mondo dello spettacolo ti porta a essere esperta di comunicazione anche in riferimento ai messaggi che l’arte riesce a trasmettere nella società. Secondo te lo sport, e il calcio soprattutto, che parlano molto agli “uomini”, potrebbero promuovere campagne su nuovi modelli culturali positivi e in contrasto con la violenza di genere? Esperta di comunicazione direi di no. Sono ambiti così vasti e complessi, da necessitare di studi specifici che a me mancano. Posso risponderti solo in termini di auspicio, nel senso che sì, penso che lo sport possa fare molto, e mi auguro che arrivino idee e proposte anche in tal senso.

* cagliari.globalist.it

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