L'IMPRESA BRILLANTE (MA NORMALE) "SA MARIGOSA": PAOLO MELE E LE DIFFICOLTA' NELL'ACCESSO AL CREDITO IN UN PERIODO DI CRISI

Paolo Mele


di Michela Murgia

La gente che lavora bene in Sardegna si conosce e si riconosce e le campagne in particolare sono posti aperti, dove le voci corrono in fretta. Sono in molti a sapere che sto cercando storie. Ammiro le vicende straordinarie, quelle legate principalmente ai carismi personali di chi le ha messe in piedi, ma non mi interessa raccontarle: cerco storie della Sardegna possibile, non di quella delle eccezioni. Vado quindi a caccia di imprese brillanti ma normali, e di idee acute ma replicabili. Quelle idee rappresentano l’intuizione delle soluzioni di cui quest’isola ha bisogno e alle quali, in assenza di politici che si preoccupino di cercarle, i sardi stanno già arrivando da soli. Per questo sono andata a cercare Paolo Mele: tutti quelli che incontravo continuavano a dirmi che la sua storia era una di quelle. Cos’ha di speciale la normalità di Sa Marigosa, l’azienda di cui è socio fondatore? La storia di questa azienda è un successo costruito con fatica e passione. Paolo ha aperto Sa Marigosa con altri tre soci nel 1984, accedendo a un finanziamento pubblico con un progetto di serre agricole e appena dodici ettari di terra da lavorare. Oggi gli ettari sono diventati centonovanta e nelle aziende collegate a Sa Marigosa lavorano settanta persone e una rete di ventiquattro produttori agricoli. All’inizio le coltivazioni erano diversificate, ma negli anni si sono concentrate per ragioni di economicità su quattro prodotti: carciofo spinoso e cavolfiore in inverno, angurie e meloni in estate. Gradualmente alle coltivazioni si è affiancata la distribuzione sul territorio sardo e poi su quello italiano, sostituendo il camioncino delle origini guidato da Paolo stesso con una piccola pattuglia di camion sulle cui fiancate troneggia colorato il logo dell’azienda. Infine è arrivato il laboratorio di trasformazione delle eccedenze e oggi Sa Marigosa, oltre a fornire di verdure i mercati con i suoi mezzi, sta portando sugli scaffali dei negozi anche una serie di sottolii di qualità prodotti in regime di agricoltura integrata e una scelta di creme alimentari spalmabili a base di ortaggi e verdure. Eppure Paolo Mele non è sereno come dovrebbe esserlo un imprenditore con in mano un fatturato di cinque milioni di euro l’anno. Il motivo è l’accesso al credito, che resta un fattore importante per la salute di ogni azienda, ma diventa determinante quando ci si trova in una situazione complessa come quella indotta da una crisi. Semplificando, la situazione di aziende come quella di Paolo è il punto mediano di una partita di tiro alla fune: da un lato hanno grossi clienti che domandano continuità di fornitura e standard di qualità, dall’altra hanno piccoli produttori senza margini che possono assicurare le coltivazioni solo a fronte di pagamenti in tempi brevi e certi. Basta un ritardo nell’onorare gli impegni dal lato forte della fune e l’altro lato molla la presa, perché non può reggere il gioco pesante del debito con le banche. Le aziende che stanno in mezzo, quelle sane e vitali come Sa Marigosa, si trovano quindi ad anticipare liquidità ai propri fornitori per non interrompere la catena della produzione, aumentando però la propria esposizione fino al limite sopportabile. Dovrebbe essere la politica pubblica a farsi carico di garantire il credito agevolato alle imprese fragili, ma i finanziamenti arrivano in ritardo a loro volta a causa della lentezza della burocrazia e se per un ufficio sette mesi di ritardo non sono nulla, per un’azienda determinano il confine tra lavorare o licenziare. Le aziende agricole sane in questo modo rinunciano a fare investimenti, perché stanno anticipano i propri margini per dare ossigeno ai contadini e poter continuare a lavorare: stanno cioè facendo il lavoro che toccherebbe agli istituti di credito. Paolo Mele per ora gli investimenti li sta facendo lo stesso, ma è molto preoccupato: sa che la sua capacità imprenditoriale è solo una delle variabili del mercato. Il resto si gioca sul tavolo della politica, l’unico soggetto che può sbloccare le pastoie della sua stessa macchina. La politica purtroppo sembra avere tutt’altra priorità.

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