IO MI VOGLIO PASTORE! GIUSEPPE CUGUSI DI GAVOI E LA PERDITA DELLA CARTA D'IDENTITA'

il pastore Giuseppe Cugusi di Gavoi


di Michela Murgia

Un giorno Giuseppe Cugusi ha perso la carta di identità ed è andato nel comune di Gavoi a farsela rifare.

– Di professione cosa mettiamo?

– Pastore.

– Nel programma automatico “pastore” non c’è, mi dica un lavoro simile.

– Non esiste un lavoro simile: un pastore è un pastore.

– Vabbè, ma qui pastore non c’è. Mettiamo un’altra cosa…

– Non metta niente altro. Io mi voglio pastore.

Giuseppe Cugusi si voleva proprio pastore e per questo quando parla del suo lavoro si emoziona. Non immaginatevi però un animo naif immerso nello scenario arcadico dei più triti stereotipi agropastorali: Giuseppe è uno degli imprenditori più intelligenti che mi sia mai capitato di incontrare in Sardegna, uno di quegli innovatori che aprono strade laddove nessuno aveva mai pensato di passare. Innovare nella tecnologia non è difficile: è un campo dove le certezze cambiano tutti i giorni e le idee fresche ne sono il motore. Invece innovare in un mestiere che si fa da centinaia di anni nello stesso modo è molto più difficile, perchè la tradizione è anche una forma di inerzia. Come molti altri pastori, anche lui consegnava partite intere di forme al distributore senza mai riuscire a negoziare più di tanto il prezzo del suo Fiore Sardo, anche se è uno dei formaggi più nobili della Sardegna. Un giorno ha deciso di provare a fare qualcosa di diverso e si è messo ad aromatizzare il pecorino al mirto. Prima ci ha provato con le bacche, ma l’umidità dei piccoli frutti gli faceva ammuffire le forme. Alla fine ha trovato un sistema diverso ed è nato il formaggio “Foz’e murta”, un pecorino giovane la cui morbida pasta bianco panna è attraversata a metà da una striscia regolare dall’inconfondibile colore viola. Giuseppe ha cominciato a cercare un’altra clientela, ridotta ma più raffinata, ben disposta a spendere per la qualità. Per tre anni lui e sua moglie Laura hanno investito senza avere alcun ritorno, circondati dalla preoccupazione dei familiari che consigliavano loro di vendere o tornare dal distributore come tutti gli altri. Giuseppe e Laura però non hanno mollato ed è grazie alla loro determinazione se oggi il formaggio Foz’e murta lo si assaggia sia nelle migliori rivendite della Sardegna che da Pinchiorri e negli aperitivi all’Hilton. Alimenti di nicchia? Non proprio: la produzione della tenuta Sa Marchesa è di ottocento forme all’anno per il solo pecorino al mirto, un vero record per un formaggio di alta gamma. Giuseppe, che non ha comunque mai smesso di fare il fiore sardo, accanto al formaggio al mirto ha sperimentato anche il pecorino al timo della cui delicatezza lui e Laura sono particolarmente fieri, perché l’erba aromatica stempera il carattere del latte di pecora e alla fine il formaggio sembra quasi vaccino.

 

Giuseppe è un’eccezione? Se lo è, la sua eccezionalità è indotta dal fatto che in Sardegna non esiste un corso per formare tecnici caseari in grado di aiutare i pastori come lui a innovare la tradizione senza mettere a rischio ben tre anni di produzione per fare esperimenti. Siamo il primo produttore di latte ovino in Italia e il secondo in Europa, ma per imparare a fare il formaggio secondo le tecniche più moderne dobbiamo andare all’Istituto sperimentale lattiero-caseario di Lodi, ignorando da un lato il sapere centenario dei nostri pastori e dall’altro togliendo ai giovani interessati la possibilità di acquisire qui un’istruzione legata alle esigenze del territorio. Questa assenza formativa è una scelta politica ed è uno dei fattori più rilevanti di impedimento allo sviluppo di nuove frontiere in uno dei settori più importanti della nostra economia. Poi c’è la questione della comunicazione. Giuseppe Cugusi è arrivato a vendere il suo prodotto a Pinchiorri perchè è riuscito a trasmettere la percezione della sua raffinata specialità. Senza avere alcuna formazione specifica quest’uomo e sua moglie hanno capito che per acquisire un nuovo mercato il loro formaggio doveva aggiungere alla percezione di “genuino” anche quella di “prestigioso”, esattamente come anni fa accadde al vino. Chi ha permesso che il lavoro dei pastori fosse considerato cosa di poco valore? Chi li ha trattati come conferitori indifferenziati di un bene banale e di basso costo? In questi anni in molti hanno cercato di convincere i pastori che la loro fosse una storia da poco. La salvezza di Giuseppe è che a quelle storie lui non ci ha mai creduto.

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