LA SINDROME DI STOCCOLMA: GLI INTERESSI STRATEGICI IN SARDEGNA? DOVE I SARDI NON SONO CONTEMPLATI


di Omar Onnis

Mentre gli arrivi di esponenti politici italiani si accavallano con quelli di detenuti mafiosi, rendendo complicato fare distinzioni, veniamo a sapere che per lo stato italiano non è strategico investire negli aeroporti sardi. Nel frattempo, crolla in Borsa la Saipem (società controllata dall’ENI e quindi dal Tesoro italiano) e così va probabilmente a farsi benedire senza molti rimpianti il progetto GALSI (sul quale la Regione Sardegna, con la solita lungimiranza, ha investito soldi dei contribuenti sardi, tramite la SFIRS). In compenso, emergono i particolari del piano di investimento del fondo sovrano del Qatar in Gallura. Una cosetta come mezzo milione di metri cubi di cemento. Ritorno per il territorio? Non pervenuto. A meno che non prendiamo per buono lo scherzo del “campus universitario”, o non ci facciamo abbagliare dalla promessa di un circuito per go-cart ecologico (wow!). Aggiungiamoci i dati sul lavoro, sulla salute delle imprese, sul credito, sui trasporti, sull’inquinamento da industrie e da poligoni militari e il quadro è (quasi) completo. Il combinato disposto di questi elementi, apparentemente eterogenei, ci restituisce in modo piuttosto didascalico il senso della nostra condizione storica. La Sardegna è un mero oggetto dentro le strategie di centri decisionali che con noi non hanno nulla a che fare. Chi occupa i ruoli istituzionali e chi gestisce l’informazione sull’Isola è direttamente dipendente da tali centri decisionali, o suo complice. I sardi sono una variabile di cui tenere marginalmente conto e se possibile da eliminare. Il che, su scala storica, sta avvenendo con una certa rapidità. Non sarà un metodo sbrigativo come gli stermini di massa, ma probabilmente sarà più efficace sul lungo periodo e con meno conseguenze spiacevoli in termini di immagine (la lezione di Hitler è servita a qualcosa). A poco valgono le indignazioni pelose dei complici di questo disastro verso l’Italia matrigna. Fa abbastanza ridere sentire i lamenti di chi sguazza a proprio agio in questa palude mefitica riguardo un inaspettato rigurgito di sincerità da parte di un esponente governativo italiano. Dovremmo saperlo da soli che ciò che per noi è un interesse strategico non lo è per l’Italia. Non l’abbiamo mai vista la carta geografica? Gli unici interessi strategici (italiani e/o altrui) che vengono coltivati in Sardegna sono quelli dove i sardi non sono contemplati, se non come bassa manovalanza (ma di solito come elemento di disturbo). Lo scopriamo solo adesso? Così, nella situazione in cui ci troviamo, che non è di oggi ma data da duecento anni, con un salto di qualità negli ultimi centocinquanta, è del tutto lecito che la Sardegna sia usata: a) come risorsa da saccheggiare liberamente, b) come parco dei divertimenti e/o bordello del Mediterraneo, c) come accogliente terreno di sperimentazioni e esercitazioni belliche, d) come discarica di rifiuti di vario genere, compresi quelli umani. Perché mai l’Italia dovrebbe vederci diversamente? Perché siamo il 2,7% della sua popolazione? Dispiace essere brutali, certe volte, ma è meglio che lo sappiate: agli italiani dei sardi non interessa nulla e per lo più non sanno nemmeno che esistiamo. Noi non risultiamo, non siamo compresi dentro la visuale. La retorica da padroni coloniali che ci viene di tanto in tanto riservata (siete gente orgogliosa e ospitale, avete un mare meraviglioso, ecc. ecc.) dovrebbe riempirci di indignazione e spingerci magari a gesti inconsulti, altro che sorridere grati e accondiscendenti. Invece molti di noi sono contenti che il fondo sovrano del Qatar spenda soldi su quel che resta dei Monti di Mola, sono contenti dei poligoni militari, delle servitù industriali. E magari non si curano più che tanto delle infrastrutture inesistenti, dei trasporti inefficienti (basta una bestemmia ogni tanto contro la Tirrenia, quella volta che proprio ti tocca viaggiare), probabilmente auspicano in cuor loro che l’arrivo dei mafiosi apra nuove prospettive di lavoro, e alla fin fine sono sì sempre pronti a protestare e a chiedere, ma mai a darsi da fare in prima persona. Così tanti sardi credono ancora che siano importanti, decisive, fondamentali, le imminenti elezioni italiane. Avvinti nella bolla spaziotemporale televisiva italiana, pensano di aver diritto di partecipare alla messinscena in atto, credendo di contare qualcosa. Se eleggiamo qualche persona onesta in parlamento, potrà far valere i nostri diritti, sostengono i più sinceri e benintenzionati. Ovviamente è una banale allucinazione, un effetto tossico degli anestetici narrativi di cui siamo irrorati h24. Così, diamo il nostro contributo alla nostra stessa distruzione. Siamo in piena sindrome di Stoccolma, parteggiamo per il nostro carceriere, legittimiamo l’opera del nostro aguzzino, o del nostro boia. Magari sentendoci anche più intelligenti, più addentro le cose del mondo, guardando con spocchia chi, disintossicato, vede le cose come stanno e prova a scuotere le coscienze stordite degli altri. C’è persino chi si fa un vanto di rafforzare il nostro complesso di inadeguatezza e la nostra ignoranza di noi stessi, riproponendo cliché debilitanti e contrastando – spesso con i mezzi offerti da chi ci sta uccidendo – qualsiasi narrazione contro-egemonica, qualsiasi tentativo di riconquista della piena coscienza. Forse ci sarà una convenienza a svolgere questo ruolo da kapò, chissà. Evidentemente legittimarsi agli occhi del padrone, a discapito della salvezza dei propri simili, a qualcuno non procura alcun fastidio morale. In fondo non è un inedito, nella storia dell’umanità. Basterà? Non si può sapere. Ma la storia riserva sempre sorprese. Perché la nostra percezione storica è estremamente limitata e confondiamo sistematicamente quel che è successo e succede a noi, la nostra contingenza, con i veri e profondi processi della storia, con le sue meccaniche, la sua complessa articolazione nel tempo e nello spazio. Così, non è detto che le cose vadano come sono state pianificate da chi vuol mantenere la Sardegna nella condizione bassamente strumentale in cui è adesso. Non è scritto da nessuna parte che questo disegno genocida, cui molti di noi danno il loro attivo e partecipe contributo, trovi realizzazione. Niente è già scritto. E quel che sarà scritto l’avremo scritto in buona parte noi. Nel bene e nel male.

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