EMIGRATI, REGIONE SARDEGNA E QUOTE VERDI: UN "COORDINAMENTO GIOVANI" DA AFFIANCARE ALLA CONSULTA? NO, GRAZIE!

nella foto l'autore dell'articolo che vive a Montreal in Canada


di Alberto Mario DeLogu

Un mio intervento all’ultima Consulta dell’emigrazione ha dapprima ammutolito gli astanti, quindi ha dato la stura ad una serie di reazioni tra l’increduto e l’indignato. Tra queste, quella dell’Assessore.

Che cosa ho detto di tanto demenziale? Ebbene, ho semplicemente criticato la costituzione di un “Coordinamento giovani” da affiancare alla Consulta, ho censurato tutta la politica delle “quote verdi” che informa la nuova bozza di legge regionale sull’immigrazione, ed ho infine stroncato i criteri di “premialità” per le associazioni, legati alla quota di giovani nei consigli direttivi.

Che mi ha preso? Ho avuto un attacco di panico senile e mi è balenata dinanzi agli occhi l’immagine di me ottuagenario seduto a dar da mangiare ai piccioni sulla panchina accanto alla porta del Circolo? Gli acciacchi e la cattiva digestione hanno fatto di me un vecchierello meschino ed egoista, uno di quelli che invecchiano male?

Niente di tutto ciò: la mia è una posizione progressista e antidiscriminatoria. Perciò sostengo che le “quote” come meccanismo di correzione del mancato accesso di gruppi socio-demografici alle posizioni dirigenziali, in qualunque ambito, siano perverse e fallimentari.

L’Italia arriva buona ultima ad un dibattito che in altri Paesi industriali è cominciato alcuni decenni fa: negli USA il Civil Rights Act risale al 1964, e uno dei suoi principi-chiave è il rifiuto (meglio: la proibizione) delle quote di rappresentanza.

Il sistema dell'”Azione affermativa” che di fatto reintroduceva un sistema di quote, è stato sperimentato per un po’ negli anni ’80 e ’90, e poi presto accantonato. Perché? Molto semplice: perché rallenta il naturale progresso delle minoranze (etniche, d’età o di sesso), crea oasi di privilegio, esacerba le relazioni sociali e produce uno scadimento qualitativo generale (perché dannarmi l’anima a studiare, imparare, allenarmi, se la mia pelle/età/sesso mi garantiranno l’accesso?).

Dopo decenni di fallimenti e di riscritture, la politica antidiscriminatoria americana è giunta ora al più moderno concetto di “blindness”, cioè di cecità rispetto alla razza, all’età, all’apparenza, all’orientamento sessuale, allo stato civile ed in genere a tutti quegli elementi che sono suscettibili di creare discriminazione. È l’auspicio di Martin Luther King, che voleva che i suoi figli fossero “giudicati non in base al colore della pelle, ma in base al contenuto del loro carattere”.

In altre parole: la strada maestra è quella di “accecare” il potenziale discriminatore, sottraendogli il più possibile l’arbitrio di valutare un individuo in base ad elementi superficiali, macroscopici, e perciò discriminatori.

Come si acceca il discriminatore? Alcuni esempi: impedendo ad un datore di lavoro di chiedere (o di cercare di conoscere) la data di nascita di un candidato. Oppure impedendogli di porre domande sulla famiglia, l’origine etnica, la cittadinanza, gli orientamenti sessuali, persino il sesso nei casi in cui questo non sia evidente. Oppure non ponendo limiti d’età nelle assunzioni e nei concorsi pubblici e privati. Facendo insomma dell’età (o del sesso, o della razza) un elemento del tutto irrilevante.

In Consulta, l’Assessore mi ha risposto con un risolino: “Com’è possibile essere ciechi di fronte al fatto che un individuo sia una donna o un uomo?” Non c’era tempo per replicare. Ce ne fosse stato, gli avrei risposto così: è evidente che la cecità letterale non è possibile. Ma è senz’altro possibile la cecità virtuale. Ovvero il tentativo, lucido, sistematico e tenace, di astrarsi e di astenersi da qualunque elemento discriminatorio nella valutazione individuale. Giudicare dalle apparenze è nella natura umana. Ma anche cercare di affrancarsi dal pregiudizio con le armi della ragione lo è, e forse ancora di più.

Un’età al disotto dei trenta, o dei quaranta, non è segno d’inettitudine. Ma non è neanche garanzia di freschezza né di competenza. I capelli bianchi non sono sintomo d’oscurantismo, così come l’assenza di rughe non testimonia l’assenza di ruggine.

Così, caro TOTTUS IN PARI, anche il vostro recente commento sul “livello di testosterone elevatissimo” della Consulta, e sul caso di “allertare un pronto intervento geriatrico” mi pare un cedimento, nello spazio di una sola frase, a ben due radicati pregiudizi: uno sessistico e l’altro gerontofobo.  

Il giovanilismo è un preconcetto di segno opposto, ma non meno pernicioso del gerontocratismo. Il fatto che quest’ultimo produca più danni, soprattutto economici, è del tutto accidentale: i giovanocrati di oggi saranno gli arcigni gerontocrati di domani, ed altrettanto abbarbicati al potere.

L’età è solo una cifra, dicono coloro che non amano invecchiare. E non hanno tutti i torti: le cellule neuronali calano di numero, ma sono le uniche di tutto l’organismo umano a non invecchiare mai.

Che anche la Regione, in forza di legge, e nei suoi piani triennali e programmi annuali sull’emigrazione, si accinga a farlo diventare un elemento discriminatorio, è indizio di pessima politica: quella del genitore inetto, che corregge un torto introducendone un altro uguale e contrario.

Il che, soprattutto quando si ha a che fare con emigrati, cittadini di Paesi che hanno affrontato ed affrontano i medesimi problemi con soluzioni e risultati ben diversi, odora di arrogante provincialismo. Non solo nelle “tecnologie d’eccellenza” e nell'”alta formazione” vale la pena assorbire e richiamare talenti ed esperienze esterne: anche nella politica sociale l’orecchio teso è un obbligo intellettuale al quale non ci si deve mai sottrarre.

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7 commenti

  1. Adelasia Divona (Udine)

    Caro Alberto, il mio commento sul “livello di testosterone elevatissimo” della Consulta, e sul caso di “allertare un pronto intervento geriatrico” non è affatto un pregiudizio, ma una constatazione di un dato di fatto. Non sono per la rottamazione, ma è un fatto che intorno a quel tavolo non ci fosse, per stare larghi, un under 40. E questo non è sicuramente un bene. Poi, personalmente, non concordo col coordinamento giovani, ma per altre ragioni (vedi il fatto che non sia un organismo integrato, ma separato dalla consulta, e i costi ad esso collegati, soprattutto in un momento critico come questo…e bada che io parlo da giovane e da donna). Ciò detto: è mia opinione che in nord America il concetto di blindness funzioni perchè da un punto di vista di diritti di uguaglianza e di cittadinanza la società è più matura della nostra. Personalmente non esulto per le quote, questo dover pensare ad una riserva di panda col rischio che poi si tutelino le pandesse più scarse o i pandini incapaci di stare in piedi da soli…ma quella delle quote, almeno rispetto al genere, la ritengo una tappa obbligata. In Europa, a tal proposito, ci sono casi di scuola. E non è un caso che la Commissione Europea, che parla di parità dal 1957, abbia elaborato anche per il 2010-2015 una Strategia per la parità tra donne e uomini di cui la parità nei processi decisionali rappresenta uno dei capisaldi per il semplice fatto che l’uguaglianza di genere è fondamentale per la crescita economica e allo sviluppo sostenibile. Tutti questi obiettivi si ritrovano anche nella Strategia Europa 2020. Quindi perdonami, ma ribadisco il dato di fatto registrato in quell’articolo

  2. Alberto Mario DeLogu (Montreal)

    Cara Adelasia, dire che la stragrande maggioranza dei membri della Consulta è di sesso maschile è un dato di fatto. Dire che c’è un “elevatissimo tasso di testosterone” è pregiudizio sessista. Dire che l’età media è superiore ai 60 anni è un dato di fatto. Dire che occorre “allertare il pronto intervento geriatrico” è pregiudizio gerontofobo. Di più: è pessimo gusto. Una delle ragioni per le quali non ci sono infraquarantenni in Consulta è che a quell’età i giovani dei nostri circoli lavorano, e non possono mollare il lavoro e partire per 4-5 giorni, con un preavviso di sole 2 settimane. Giocoforza, quello del consultore è un “mestiere” da pensionati, o da liberi professionisti (come il sottoscritto). Che la Commissione europea conti di risolvere il problema delle pari opportunità di genere con un sistema di quote, mi sembra, oltre che improbabile, profondamente sbagliato. Checché provenga dai sancta sanctorum di Bruxelles.

  3. Angelo Curreli (New York)

    Bell’intervento Alberto. Pero’ l’affermative action in america non e’ stata abolita. L’ultima sentenza della corte suprema su un caso di affermative action credo risalga a quella di Sandra Day O’Connor (bellissima sentenza a mio parere). Affinche’ l’universita (o la societa’) usufruisca appieno dei benefici che derivano da un corpo studentesco multietnico, e’ possibile, tra le altre cose, utilizzare anche uno quota ‘razziale’. In questo caso l’universita’ era quella del Michigan. Il caso e’ Gutter v Bollinger. E’ possibile che la corte a maggioranza conservatrice che c’e’ ora, rovesci alcune sentenze precedenti (credo ci sia un caso pendente che ha a che fare con l’affermative action). Sandra O’Connor riconosce anche che la necessita’ della quota e’ dovuta alle condizioni attuali della societa’. Auspica che probabilemnte fra 25 anni (o meglio, 25 anni dopo la sentenza), certe quote non saranno piu’ necessarie (perche’ la societa’ e’ nel mentre evoluta). Per quanto riaguarda la Sardegna, e l’Italia in genere, credo che alcune quote aiutino a far si che ci sia maggiore diversita’ nelle organizzazioni politiche per esempio.

  4. Alberto Mario DeLogu

    Caro Angelo, è vero che l’affirmative action non è stata abolita, ma è anche vero che ormai è di fatto accantonata. Alla University of California si parlava di cestinarla già negli anni in cui frequtnavo io (’92-’96) Quanto all’Italia, con le assunzioni private ed i concorsi pubblici con età massima, è una vandea di discriminazione in base all’età. È evidente che credono ancora che introducendo una discriminazione uguale e contraria si sani il torto. Io qui ho lavorato per 3 anni in una grande azienda nella quale nessuno, a parte il responsabile del personale (e solo dopo l’assunzione) conosceva la mia età. E le aziende, come sai molto bene, nelle loro offerte di lavoro mettono sempre la nota in calce “we are an equal opportunity employer… etc etc”. Non pretendono, come fanno in Italia, che nel c.v. si indichi anche il colore delle mutande, e poi però si firmi l’ipocrita postilla sulla privacy.

  5. Angelo Curreli (New York)

    Le quote sono state abolite perché non costituzionali ma non affermative action, però come dici tu alcune università non le adottano. concordo pienamente con il fatto che la discriminazione in Italia in base all’eta’ ( ma anche in base al sesso, se aspetti un bambino o no, ecc. ec..) sia terribile.

  6. Alberto Mario DeLogu (Montreal)

    A UC le adottavano, prima di rendersi conto che creavano situazioni paradossali come ad es. un esagerato numero di asiatici, che sono notoriamente degli “overachievers” e quindi c’erano i bravi fuori quota, e poi anche gli scarsi in quota. Risultato: un 35 per cento di asiatici, tanto che girava la battuta che UCLA significava University of Caucasians Lost among Asians.

  7. Angelo Curreli (New York)

    capisco. difficile infatti considerare gli asiatici una minoranza qui in
    America (in particolare nella west coast ma anchi qui nella east coast) Il concetto comunque che articola la corte suprema e’ interessante. In sostanza la mette sul piano economico. Se riconosciamo che la diversita’
    e’ un ‘asset’, allora va bene introdurre regole che aumentano la diversita’ nella societa’. Riconosce tra l’altro che le universita’ hanno un ruolo speciale nella societa’ per cui va bene che la razza (o altre dimensioni
    sulla diversita’) venga utilizzata come uno dei fattori per accederci.
    L’opinione si riferiva ad un caso dell’universita’ del michigan.

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