ANCORA NEGATIVI I NUMERI DELLE PRESENZE IN SARDEGNA: MA NELL'ISOLA SI PUO' E SI DEVE VIVERE NON SOLO DI TURISMO


di Omar Onnis

Si innalzano cori di sconforto per i dati della prima fase della stagione turistica estiva (l’unica, in Sardegna). Pare che rispetto al già povero 2011 le prime tre settimane di luglio 2012 abbiano fatto registrare una ulteriore flessione negli arrivi. Le prefiche al capezzale della Sardegna – privata anche della sua risorsa più vistosa e pubblicizzata – sono all’opera h24. Senza il turismo la Sardegna è morta, parrebbe, non ha speranze. Che il turismo sia una voce importante dell’economia sarda è vero, in termini relativi. L’intero comparto contribuisce a circa l’8-10% del PIL isolano. Una voce rilevante, dunque, ma certo non prevalente. La narrazione diffusa secondo cui la Sardegna dipenda dal turismo (estivo e balneare) è perciò infondata e del tutto ingannevole. Così come è ingannevole e pericoloso il luogo comune secondo cui la Sardegna potrebbe vivere di turismo. Una sciocchezza risibile, in termini economici ed anche sociali e culturali. Un altro luogo comune piuttosto praticato, quasi un corollario della narrazione dominante di cui sopra, è che bisognerebbe incentivare il turismo “interno” e destagionalizzato. Differenziare l’offerta e slegarla dalla stagione estiva non è una stupidaggine campata in aria, intendiamoci. Però, per come viene presentata, si tratta di un argomentazione totalmente retorica, di un modo di dire, senza che alla base ci sia un pensiero elaborato o la cognizione precisa dei termini effettivi della questione. Certo è che il turismo in Sardegna si sta rivelando una tremenda delusione. Ancora giovane, data la sua esistenza all’incirca cinquantennale (nel 1962 veniva fondata la Costa Smeralda, nei vecchi Monti di Mola), il turismo sardo (quello più elitario così come quello di massa) mostra già i segni della decrepitezza. A questo esito hanno contribuito fattori diversi: la mancanza di una cultura turistica di lungo corso, radicata nel territorio; la miopia economica e politica che ha regolato l’evoluzione dell’intero comparto (con capacità di promozione e marketing a un livello penoso); le voglie rapaci della speculazione cementifera; la rinuncia a gestire in proprio il settore, appaltandolo in gran parte a investitori forestieri poco attenti alle ricadute reali sull’Isola. Questi sono tutti elementi che hanno impedito al turismo sardo di diventare davvero una voce virtuosa e solida dell’economia nostrana. Ma c’è anche un altro fattore di cui non si tiene conto. Non nel discorso limitato al turismo balneare, né in quello in apparenza più serio e consapevole dedicato al turismo culturale, naturalistico e destagionalizzato. Tale fattore, legato a tutti gli altri, è la nostra mancanza di coscienza di noi stessi. I sardi sono totalmente inconsapevoli del valore della propria terra e della loro storia. Non hanno che un’idea molto vaga, folkloristica e tarata sulla narrazione dei mass media principali (italiani) delle risorse di senso e di bellezza che la nostra terra può offrire a un visitatore. A molti sardi viene da pensare alla Sardegna e ai motivi per cui meriterebbe un viaggio più o meno allo stesso modo di chi la Sardegna la conosce solo attraverso la TV. Noi stessi non abbiamo una idea definita di cosa ci sia di speciale nella nostra terra se non il bel mare o le “tradizioni” o “l’ospitalità”. Già consigliare la visita a un sito archeologico è un azzardo che pochi sardi si sentono di rischiare, se devono incoraggiare qualche straniero a visitare l’Isola. Questo perché noi prima di tutto non sappiamo quasi nulla di noi stessi e non sappiamo attribuire un valore a ciò che abbiamo. Essere deprivati della nostra storia e del legame mnemonico col nostro territorio, dello stesso valore di noi stessi, ha come conseguenza anche la nostra afonia, la mancanza di argomenti quando si tratta di presentarci agli altri. Così, benché la Sardegna offra bellezze naturalistiche e ricchezze culturali uniche (nel senso che certe cose le si trova solo da noi), non sapendole apprezzare noi stessi, non siamo poi in grado di farle apprezzare a nessuno. Il che è reso evidente dalla incuria e dal menefreghismo con cui (mal)trattiamo i nostri centri abitati, le vestigia della nostra storia, le nostre campagne, il nostro paesaggio. Duecento anni di chiudende e accaparramento rapace, di spoliazioni e speculazioni, di egoismo eretto a misura di tutte le cose, hanno fatto sì che per la maggior parte di noi niente di quello che la nostra terra può offrire abbia un valore in sé. Ciò comporta che per primi noi non siamo in grado di goderci la nostra terra e di conseguenza non riusciamo a narrarla e farla apprezzare, per quel che veramente offre e vale, agli altri. Sperare che basti il bel mare ad attirare i turisti, in un momento di generali ristrettezze, con i nostri trasporti in condizioni penose e pure estremamente costosi, con l’insipienza degli operatori turistici nostrani e l’usanza diffusa di tirare a fregare l’occasionale avventore, è una illusione a dir poco stupida, oltre che pericolosa. La Sardegna deve essere un luogo (un insieme di luoghi) bello e godibile prima di tutto per chi ci vive, se vuole diventare attrattiva per i forestieri. Devono essere belli i nostri paesi e le nostre città, devono essere conosciuti e rispettati da noi i nostri patrimoni naturalistici e storico-archeologici, la nostra ricchezza linguistica e culturale, la nostra produzione agroalimentare, la nostra arte e la nostra musica in tutte le loro molteplici espressioni. Solo a questa condizione sarà possibile che il turismo diventi una voce davvero importante della nostra economia e della nostra cultura e non una variabile socio-economica di second’ordine, legata alle bizze del mercato, alle disponibilità economiche dei soli italiani e alle voglie speculative di qualche marpione d’oltremare (che magari viene a spiegarci come vivere a casa nostra). Oggi come oggi, strapparsi i capelli al capezzale del turismo sardo o proporre alternative impraticabili è l’unica cosa che sappiamo fare. Non è molto e non dimostra un reale amore per la nostra terra. Da lì, dalla consapevolezza di chi siamo nel tempo e nello spazio, dal gusto per il bello e il buono e dal continuo confronto con l’altro da noi, senza penose sindromi provinciali, potremo trarre gli spunti e le energie per rendere merito alla Sardegna e condividerne con il mondo la sua vera e durevole bellezza.

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Un commento

  1. Giuseppe Pani (Cesano Boscone)

    c’è un’intera classe politica che lavora per far fallire
    la nostra principale risorsa,ed è un trend che và avanti
    da un sacco di anni,salvo poi lavorare per distruggere le coste!!!

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