LA MOSTRA ALLA TRIENNALE DI MILANO DI IGOR TUVERI, DISEGNATORE DI FUMETTI


di Sergio Portas

 

Anna Politoskaja scriveva per la “Novaja Gazeta” per la precisione che esce due volte a settimana, il lunedì e il giovedì, e certo questo essere giornalista scomoda fu causa del suo assassinio, 7 ottobre del 2006. Essere giornalista nella patria di Putin non è la stessa cosa che esserlo nella patria del suo fraterno amico Berlusconi, lì se scrivi cose che danno molto fastidio ai potenti che governano semplicemente ti ammazzano come un cane. Alla Triennale di Milano vado a una mostra di un disegnatore di fumetti cagliaritano, Igor Tuveri, per il mondo dell’arte: Igort. Nasce nel 1958, come Anna (così continueremo a darle del tu, come fa Igort del resto) e poco più che ventenne se ne va a Bologna per iniziare una carriera di disegnatore che dura oramai, come lui dice, da cinquanta anni e sono trent’anni che pubblica libri ( graphic novel) tradotti oramai davvero in tutto il mondo. E premiati, la lista dei premi che Igort ha collezionato prende mezza pagina di Wikipedia, oramai la massima enciclopedia del pianeta. Di lui a casa conservo “Quaderni russi”, la guerra dimenticata del Caucaso, si apre con il disegno di una Makarov IZH col silenziatore ( tristemente nota anche da noi perché è con quella che “gli anarchici” hanno sparato al dirigente Ansaldo Roberto Adinolfi), e anche qui alla “Triennale” è inevitabile che le televisioni la scelgano a sfondo per una serie di domande all’autore che scrive nel suo libro: “Una pistola come questa ha ucciso Anna Politkovskaja nell’ascensore di casa sua, al numero 8 di Lesnaja Ulitsa, a Mosca. Così una luce importante per la coscienza russa si è spenta per sempre il 7 ottobre 2006. la brutalità di una democrazia travestita, per la quale i sovietologi hanno coniato il termine di DEMOCRATURA, ha parlato”. Per scrivere, e disegnare, questo libro, insieme a quello che oggi si presenta alla mostra a titolo “Pagine nomadi. Storie non ufficiali dell’ex Unione Sovietica” edito da “Coconino” la casa editrice che l’autore cagliaritano ha fondato nel 2000, e ad un altro ancora che titola “Quaderni ucraini” ( lo sterminio per fame di milioni di contadini ad opera delle politiche volute da Stalin) Igor Tuveri è stato in quei paesi quasi due anni. Per tentare di dare una risposta, per cercare di capire, per registrare. Cos’era stata l’Unione Sovietica? Come si era vissuta questa esperienza durata  oltre 70 anni? E sopratutto cosa aveva lasciato agli attoniti abitanti che incontrava per le strade innevate? “La Grande Madre Russia oggi regala un destino plumbeo a chi si occupa di diritti umani, a chi non si accontenta di verità preconfezionate”. Scrivere della dimenticata guerra in Cecenia è occuparsi di diritti umani universali. E’ con la guerra cecena che Il premier russo Vladimir Putin ha edificato la sua carriera politica, la sua fama di “uomo forte”, celebre la frase che rispondeva all’ennesimo attentato cosiddetto terrorista ceceno: “Li andremo a scovare anche sulla tazza del gabinetto”. Altra base portante dell’edificio di potere che lo regge è la riorganizzazione dell’esercito, che nel periodo di Boris Eltsin vedeva i generali vendersi i carri armati e i militari di truppa rubare le divise agli spazzini. Riorganizzare l’esercito significa, in estrema sintesi, che la nazione investe, spende i suoi soldi, specificatamente in armi e sistema d’armi tipo cacciabombardieri e sottomarini nucleari e missili a lunga gittata. Quindi in cannoni e non in rose o asili nido: è una scelta di politica economica che fanno altre nazioni, in modo esagerato ad esempio la Corea del Nord che, causa questa opzione, rischia di far morire di fame parte della sua popolazione. Anche in Nord Corea c’è un tipo di dittatura militare, in Russia la dittatura è elettiva: i candidati scomodi sono o all’estero o in Siberia. Che, come al tempo degli zar, resta il posto prescelto per seppellire sotto una coltre di ghiaccio i dissidenti politici. Igort racconta, disegna, scrive nei suoi libri questa realtà . Anna scriveva quello che andava vedendo sulla guerra cecena. Le atrocità compiute da un esercito regolare, quello russo, sugli strati più deboli della popolazione, vecchi donne e bambini: massacrati indistintamente con una ferocia degna dei mongoli di Gengis Khan. Quando poi uno dei “ribelli” capita vivo fra le grinfie dei militari l’uso della tortura è cosa talmente abituale da corrompere per la vita anche l’animo dei ragazzi di leva che hanno la sfortuna di compiere il servizio militare in questo periodo. Scrive Anna nel suo “La Russia di Putin” che Adelphi ha pubblicato da noi nel 2005: “ E’ curioso. Passano gli anni, il Partito comunista non c’è più da un pezzo, ma alcune peculiarità del passato restano immutate.  Come la patologica mancanza di rispetto per le persone in generale e, in particolare, per chi, nonostante tutto lavora con dedizione e sacrificio” (pag.210). E’ un libro terribile questo, che lascia sgomenti per la delirante crudeltà di situazioni che descrive, con una prosa scarna, condita di pochi aggettivi, da grande giornalista che era Anna. Libro terribile anche quello che Igort disegna nei suoi “Quaderni russi”, vediamo come un film dell’orrore quando ad Anna viene riservato il trattamento che subì anche Fedor Dostoevskij, una finta fucilazione per lui e una finta sepoltura da viva per Anna, traumi da cui non si esce più quelli di prima. Il mondo è pieno di guerre dimenticate, basta fare mente locale e mi vengono in mente il Sud Sudan, il Mali, la Somalia, ma anche la Palestina e il Sahara occidentale e il Congo. Ogni tanto i fari di un servizio giornalistico illuminano il campo di battaglia, poi la coscienza di tutti torna ad occuparsi delle cose di casa. Eppure di questa guerra cecena questi fari non si spegneranno tanto facilmente, che Anna Politowskaja, col sacrificio della vita ha fatto sì che ogniqualvolta venga posta nel mondo la problematica della libertà di stampa, il suo è uno dei nomi che viene spontaneamente a galla, sempre. E il suo nome è legato a doppia mandata alla guerra che Putin continua a combattere nell’altopiano caucasico. Con gli orrori che si tira dietro, il massacro della scuola di Beslam il più cruento e crudele, con tutti quei bimbi innocenti messi di mezzo a due opposti estremismi, ambedue terroristici nei loro effetti finali. Dice Igort che dovremmo fare riflessioni più approfondite del lascito dei 70 anni di assolutismo sovietico. In Ucraina dice di aver osservato comportamenti alimentari che riflettono ombre che non vogliono passare riferentesi al periodo in cui la Fame con la effe maiuscola imperava per il paese, e ha imperato per anni. Il suo viaggio nelle terre dell’Est somiglia a una di quelle matrioske di legno laccato che aprono continue scatole di senso.  La disfatta del comunismo reale ha segnato un’epoca che continua a vivere nella mente e nei comportamenti di milioni di persone. Dice che elemento principe dei suoi disegni, e se anche sei un somaro dopo cinquanta anni acquisisci per forza una tecnica, è la sincerità. Che il fumetto, erroneamente scambiato come rivolto sempre a menti “semplici”, è in grado di esprimere una forza di grande impatto emotivo. Le storie che disegna sono il retaggio di quelle che sentiva nella Cagliari della sua infanzia dalla nonna, che gli raccontava Cecov, dal babbo compositore. A Luca Raffaelli che su Repubblica dell’ 8 gennaio u.s. gli chiede quali pensieri alla fine di questa esperienza nei paesi dell’Est europeo risponde: “Si cresce. La vita che impregna le storie è questo, un suono strambo che porta tante cose, magari al principio non lo capisci neppure, poi ti rendi conto, che forse hai avuto fortuna, che hai incontrato qualcosa di vero e che questo, anche se non sai come, si è depositato sulle tue pagine. Allora sorridi”. Non ha perso del tutto il suo accento “casteddaio” Igor Tuveri, quando gli chiedo dove dimori normalmente la sua anima mi risponde che se ne sta tra Parigi e Cagliari e il suo mare, quella sabbia candida del Poetto che nei ricordi della nostra fanciullezza sfidava , allora, per candor
e, le distese nevose della taiga siberiana.

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