"MI CHIEDO PERCHE'". LA LETTERA DEL SINDACO DI PERFUGAS AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO

nell'immagine il sindaco di Perfugas


di Mario Satta

Mi chiamo Mario Satta, sono il sindaco di Perfugas, un comune del nord Sardegna, nella regione dell’Anglona. In qualità di primo cittadino della mia comunità sono stato invitato a partecipare al momento dei saluti che le saranno riservati quando Lei si recherà a Sassari, seconda tappa della sua visita in terra sarda. Ho deciso di scriverle questa lettera aperta per comunicare che io non sarò lì ad accoglierla, non sarò insieme all’ampio stuolo di autorità e personaggi pubblici che sgomiteranno per stringerle la mano. Devo subito premettere che non nutro antipatie o rancori di sorta verso la sua persona, anche perché io e lei non abbiamo mai avuto modo di conoscerci veramente. Credo che lei in fondo svolga degnamente il ruolo che ricopre e con altrettanta dignità ha sempre garantito e preservato le istituzioni che rappresenta. Ha sempre dimostrato di avere a cuore le sorti della nazione italiana e quando le contingenze l’hanno richiesto non ha mai lesinato decisione e risolutezza. Per questo non posso non nutrire stima verso di Lei. Tuttavia questo non è sufficiente affinché io possa venire a salutarla e se avrà pazienza di leggere vorrei ora spiegare i motivi che mi hanno indotto a prendere questa decisione. Come lei già ben saprà oggi la Sardegna sta attraversando una delle più profonde crisi economiche e sociali degli ultimi decenni. Non è che non ci siamo abituati alla durezza e al sacrificio noi sardi; la storia degli ultimi centocinquant’anni della nostra isola, a dire la verità, non è mai stata piena di prosperità e queste crisi è come se si ripetessero ciclicamente. Ma a questa triste consapevolezza, di una lunga storia di privazioni, si aggiunge anche la disperazione nel non sapere come affrontare le innumerevoli miserie personali e i disagi quotidiani di chi un giorno dopo l’altro non ce la fa più. E guardi sig. Presidente che non parlo soltanto di quelle situazioni in cui un padre e una madre non riescono a sfamare i propri figli, parlo di chi non ce la fa più perché si sta arrendendo alla vita, parlo dei giovani che su quest’isola non hanno più speranze e non riescono neanche a progettare ciò che faranno l’indomani. E ce ne sono tanti anche nel mio paese. Vorrei fare di più per aiutarli, per aiutarci tutti se non a vivere meglio, almeno a cercare di soddisfare i nostri bisogni primari: mangiare, vestirsi, avere una casa. Ma le risorse del comune che amministro sono veramente poche così come sono esigue quelle del comune confinante e quelle del territorio di cui facciamo parte. L’intera Sardegna si trova in questo stato disastroso e a volte mi chiedo perché debba succedere questo. Non mi si risponda  che la crisi economica è generale, perché qui il disagio e la frustrazione quotidiana ci sono sempre stati, anche se oggi siamo evidentemente all’ultimo stadio. Mi chiedo perché una terra così bella e con tante risorse naturali debba essere piegata a tale sofferenza collettiva. Mi chiedo perché con un clima così mite e favorevole per buona parte dell’anno il settore del turismo non è mai veramente decollato. Perché, per lo stesso motivo non si sono sviluppate l’agricoltura e l’allevamento e le nostre aziende si trovano ora strozzate dai debiti e vessate da Equitalia. Mi chiedo perché ben 35 mila ettari del territorio sardo siano ancora vincolati da uso militare e lo stato italiano (di cui Lei è la massima rappresentanza) guadagna ogni giorno svariati milioni di euro per le sperimentazioni belliche che vi si svolgono mentre la gente delle aree limitrofe le basi si ammala di cancro. L’Italia guadagna e i sardi muoiono. Mi chiedo perché negli anni ’60 ci avete imposto un modello di sviluppo industriale che ha snaturato i nostri saperi tradizionali (oggi sarebbero stati preziosi) e ha distrutto irrimediabilmente i nostri habitat. Ci avevate ingannato allora, ci state ingannando oggi. Mi chiedo perché ora ci volete sventrare l’isola in due con un gasdotto che vi porterà in Italia il metano algerino e a noi lascerà la solita devastazione e niente più, perché forse lei non lo sa ma se noi sardi vorremmo portare il gas nelle nostre case ci toccherà pagare di tasca. L’ennesima servitù che farà comodo solo a voi. Mi chiedo perché non rispettate le nostre leggi e in particolare l’articolo 8 del nostro Statuto di Regione Autonoma che prevede la restituzione dei sette decimi delle imposte fiscali. E’ dal 1991 che lo stato italiano trattiene per sé questi soldi al punto che oggi il suo debito con la Sardegna è di ben 10 miliardi di euro. Una cifra che ogni anno cresce sempre più. Non chiediamo aiuto e assistenza ma solo ciò che ci spetta di diritto poiché questi soldi che illegalmente ci sottraete servirebbero per un’infinità di cose: dal rimettere in piedi una rete di assistenza per le emergenze sociali delle nuove povertà, all’ammodernamento delle nostre infrastrutture primarie (strade, ferrovie, porti), ai trasporti interni e alla sanità (totalmente a carico nostro), fino al rifinanziamento delle istituzioni scolastiche e universitarie (poiché senza l’accrescimento dell’istruzione e della cultura non ci sarà nessuna forma di sviluppo sostenibile per la nostra gente). Adesso forse potrà iniziare a capire perché io, signor Presidente Napolitano, non posso stringerLe la mano. Lei, per il ruolo istituzionale che ricopre è lo stato italiano fatto a persona e in quanto tale porta con sé il fardello delle ingiustizie arrecate alla nostra terra. Lei viene a renderci visita ma non lo fa come è buona consuetudine in Sardegna quando l’ospite, che sa di recarsi a mangiare in casa d’altri, è solito omaggiare l’invito con un piccolo dono; che poi qui non vogliamo nessun regalo ma solo che ci si restituisca il “maltolto”. Lei invece viene a trovarci a mani vuote come se niente ci fosse dovuto e non sa quanto mi fa rabbia constatare che molti miei concittadini sardi non sanno o fingono di non sapere, dimostrandole una servile quanto mai dannosa riverenza, comportandosi come è solito fare ogni buon uomo colonizzato che, credendo di compiacere il sovrano straniero di turno, aspira a trarne chissà quali vantaggi ed ennesime promesse, che ci si prenderà cura di lui, che questa volta qualcosa sarà fatto. Egregio Presidente io non faccio parte di costoro, e sono tanti purtroppo. Proverei enorme imbarazzo di fronte alla mia comunità, di fronte a tanti miei concittadini , se venissi ad omaggiarLa dimenticando che siete debitori da una parte e mentitori dall’altra. Avete violato i patti e vi siete tante volte rimangiati la parola data scordandovi che per noi sardi la lealtà è ancora un valore importante e questo modo di comportarsi continua a ledere la nostra dignità. In corpu de unu monte si podet intrare, in coro de unu òmine no. A mezus bìdere

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3 commenti

  1. Parole sante. E’ ora di fare la rivoluzione. E voi emigrati siete i primi che dovete farlo, perchè qui in Sardegna, i politici sono tutti degli stronzi

  2. Ti torro grazias; totu su chi fut in podere tuu l’as fatu, che omine de cabale comente d’ian essere totus sos sardos

  3. Virgilio Mazzei

    Caro Sindaco, non sono d’accordo ( nella forma) con il suo atteggiamento (o protesta) nei confronti del Capo dello Stato. Avrebbe fatto meglio se fosse andato a fare il suo dovere di primo cittadino di Perfugas a salutare il Presidente della Repubblica, il quale quando rappresenta l’Italia rappresenta anche lei che fa parte delle Istituzione. Le sue giuste e sacrossante lagnanze sulla crisi in Sardegna potevano essere rappresentate assieme a tante altre nel momento in cui avrebbe avuto l’onore di salutare e parlare col Capo dello Stato. Forse ha perso l’unica occasione della sua vita. Con questo atteggiamento lei potrà attirarsi qualche simpatia da parte di pochi che proprio "commentando" la sua lettera aperta inneggiano alla rivoluzione. Brutto segnale per una buona democrazia. Con stima (ci conosciamo). Virgilio Mazzei.

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