PER I SETTANT'ANNI DELLA SCRITTRICE SASSARESE BIANCA PITZORNO, MONDADORI FESTEGGIA CON UNA COLLANA DELLE SUE STORIE DEDICATA AI PIU' PICCOLI

Bianca Pitzorno


di Costantino Cossu

Straordinaria scrittrice per l’infanzia, Bianca Pitzorno. Ma anche coautrice di programmi rimasti nella storia della Rai, come «L’albero azzurro». E storica, che ripercorre, sulla base di una ricca e inedita documentazione d’archivio, le vicende di un simbolo dell’identità sarda come Eleonora D’Arborea. E testimone della felice diversità di un’altra isola: Cuba. E biografa, che ricostruisce, con puntiglioso amore, la vita di quella figura fuori schema del pop made in Italy che è stata Giuni Russo. Il prossimo 12 agosto la scrittrice sassarese compie settant’anni. La sua casa editrice storica, Mondadori, la festeggia con una collana intitolata “Le storie di Bianca Pitzorno”. Un’occasione per ripercorrere le tappe di una pluridecennale attività, ricca a varia.

Sono tanti i libri per bambini e per ragazzi che hai scritto nel corso degli anni. Un lungo percorso… Negli anni Settanta ero reduce dalle battaglie politiche del Sessantotto. Chi legge i pezzi che scrissi nel 1966 per le “Pagine dei giovani” della Nuova Sardegna vedrà che mi interessavo di canzoni popolari, di teatro, di sociologia del cinema, di scontri generazionali. Arrivata a Milano mi ero iscritta alla Scuola superiore delle comunicazioni sociali e a quella del Piccolo Teatro; frequentavo i teatrini d’avanguardia che nascevano in tutti gli scantinati, partecipavo ai primi dibattiti del femminismo. Fu pura casualità se, assunta alla Rai, finii a lavorare in un settore che, oltre ai programmi culturali, produceva quelli per bambini. E fu casualità se – avendo io lavorato bene in questo campo – il mio capo, Raffaele Crovi, mi chiese di scrivere un romanzo per una collana per ragazzi della Bietti. Il libro ebbe successo, me ne furono richiesti altri. I temi che affrontai fin dall’inizio non nascevano dallo studio dei bambini, ma dai miei interessi di adulta. Fu il decennio dei miei libri più ispirati al femminismo, fu allora che scelsi di raccontare solo di eroine femminili, come la portinaia di “Clorofilla”. E intanto portavo avanti le ricerche d’archivio per la prima versione della biografia di Eleonora d’Arborea, che uscirà nel 1984.

Poi arrivarono gli anni Ottanta… «Per la mia generazione era arrivato il momento di riprodursi, e nella vita privata avevo molti bambini in carne ed ossa che mi zampettavano attorno. Fu il periodo, l’unico, in cui scrissi libri pensando al lettore. Non tanto ai bambini in generale, quanto a un bambino (più spesso una bambina) con nome e cognome. Un giovane individuo con i suoi gusti, il suo vissuto, le sue idiosincrasie. Scrissi così “La casa sull’albero” per Aglaia, “La storia di Lavinia” e “La bambola dell’alchimista” per Valentina. Dalla mia passione per le telenovelas latinoamericane nacque “Speciale Violante”, ma il seguito, “Principessa Laurentina”, fu scritto per Francesca, che aveva perso la madre in modo tragico. Questo è il periodo e il modo di scrittura di cui ho raccontato in “Storia delle mie storie”, che invece viene interpretato come manifesto assoluto e dichiarazione di poetica. Con gli anni Novanta, il consumismo impazzava e noi adulti pativamo amaramente il “desencanto” politico causato dagli strascichi dell’edonismo reganiano, dal craxismo e da tutto il marcio che veniva a galla con le inchieste di Mani pulite. Fu naturale per me volgermi indietro con la memoria, riandare a quel dopoguerra della mia infanzia in cui non c’era alcun benessere materiale, ma in compenso c’era l’entusiasmo della ricostruzione, lo sguardo fiducioso verso il futuro, la fede negli ideali democratici. Da quel guardare indietro nacquero “Ascolta il mio cuore”, “Diana Cupido e il Commendatore”, “Re Mida ha le orecchie d’asino”, “La voce segreta”. Vivevo comunque nel mio tempo e alla fine degli anni Novanta la mia reazione al berlusconismo e alla manipolazione dei media sull’opinione pubblica fu “Tornatràs”, uscito nel 2000. Ultimo dei miei libri per bambini (se qualcuno venne pubblicato più avanti, era stato però scritto in precedenza). A quel punto la mia esperienza nel campo della letteratura infantile si era conclusa, anche se quei libri continuavano (e continuano) ad essere stampati, comprati e letti da nuove generazioni di bambini, con i quali però io, per motivi anagrafici e per nuovi interessi, avevo ormai perduto completamente ogni contatto».

Hai lavorato per la tv: com’è stata quell’esperienza e com’è cambiato oggi il modo in cui, in Italia, il mezzo televisivo si rapporta con l’universo dei ragazzi? «Ho lavorato per la Rai in un momento in cui la televisione pubblica aveva ancora una vocazione didattica, e in cui non ci si vergognava del concetto e della parola cultura. Sono andata via col sorgere delle prime tv commerciali. Ho poi partecipato, dall’esterno, al programma per i piccolissimi “L’albero azzurro”, in cui cercavamo di combattere la prepotenza della pubblicità e il consumismo. Quando questa battaglia, sotto la direzione Moratti, divenne impossibile, me ne andai per la seconda volta. L’influenza della tv sui miei libri era nata però dai programmi per adulti, che mi avevano suggerito l’idea di “Speciale Violante” e poi di “Tornatràs”. Da diversi anni non guardo più la televisione: mi irrita, mi infastidisce, mi annoia. Per l’informazione mi rivolgo alla radio e a Internet. Dei programmi per bambini attuali non so niente».

Che mondo è un mondo dove ai bambini danno l’iPhone e tagliano i maestri? «E’ lo stesso mondo in cui si nega un lavoro stabile ai trentenni, che non possono più mettere al mondo bambini. Quindi il problema sarà presto risolto. Battute a parte, non dimentichiamo che la Banca mondiale scoraggia i paesi dall’offrire ai loro cittadini più piccoli un’istruzione pubblica e gratuita e favorisce quella privata. E’ il capitalismo, bellezza!»

Non ti sei occupata solo di letteratura per ragazzi. Nel 2009 è uscita una tua biografia di Giuni Russo e nel 2010 una versione aggiornata di “Vita di Eleonora d’Arborea”. Il racconto della vita di due donne… A parte il genere, c’è qualcosa che accomuna, almeno nel tuo interesse, due persone così diverse? «In realtà non hanno niente in comune, così come diversissimo è stato il modo di raccontarne la vita. Di Eleonora non esisteva alcun documento in cui la “judikissa” parlasse di sé. Ho dovuto ricostruire tutto registrando quello che gli altri dicevano di lei. Per Giuni Russo deliberatamente ho ascoltato solo la sua voce, infischiandomi di quanto dicevano gli altri, raccontando quello che lei voleva dire di sé, prestando in qualche modo la mia penna alle sue memorie».

Nel tuo “Le bambine dell’Avana non hanno paura di niente” le autobiografie di tre autrici cubane e le interviste a giovanissime donne che a Cuba vivono ci dicono di un’altra tua passione: Cuba. Ce ne vuoi parlare? «Sul mio amore per Cuba dovrei scriverne un saggio, un romanzo e un libro di poesie. Mi limito a dire che ritengo un vero miracolo che i cubani riescano a difendere ancora il senso e i risultati della loro rivoluzione contro tutti i potentissimi attacchi mediatici, che danno voce solo a una delle due parti, quella filostatunitense. Gli Stati Uniti non fanno mistero (è nel loro bilancio pubblico e se ne può trovare traccia in vari messaggi confidenziali rivelati da WikiLeaks) di investire circa 30 milioni di dollari all’anno per sostenere la stampa e i vari media contro Cuba, compresi i blogger che da noi godono di tanto credito. A chi è dato lo spazio e la possibilità di raccontare le molte buone e bellissime cose che stanno succedendo sull’isola»?

Mondadori ti festeggia con l’uscita di una collana delle tue opere, che hanno tutte, nella nuova veste, prefazioni dalla firme illustri. Molti degli autori che le hanno scritte sono stati, da bambini, tuoi lettori. Che effetto ti fa? «Un effetto consolante. Una volta tanto chi parla e scrive dei miei libri lo fa perché li ha letti davvero, non per sentito dire e rifacendosi a stereotipi, come invece succede quasi sempre».

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