"LE STAGIONI DELLA VITA" DI ARTAVAZD PELESJAN PRESENTATO ALLA CINETECA SARDA DI CAGLIARI


di Brunella Mocci

Artavazd Pelesjan è uno straordinario e semisconosciuto regista e documentarista armeno, nato a Leininakan, città in parte distrutta dal terremoto del 1988, al confine con la Turchia. L’Armenia era allora una repubblica sovietica e questo sarà determinante per gli avvenimenti storici e per le scelte del giovane Pelesjan, indissolubilmente legate alla cultura della grande madre Russia. Ebbe una formazione tecnica che lo portò a lavorare come operaio in una officina di produzione di utensili, ma questo non gli impedì di interessarsi allo stesso tempo a discipline artistiche quali musica e cinema. Dalla sua esperienza di spettatore di cinema e dalle animate discussioni con altri  appassionati del suo ambiente culturale, nacque il desiderio di riuscire a tradurre una sua particolare ed innovativa visione cinematografica del mondo. Nel 1963 entrò nella scuola di cinema VGIK di Mosca, la più antica e prestigiosa scuola di cinematografia al mondo per verificare, in un certo senso, le ipotesi cinematografiche in cui era l’unico a credere. Quattro anni di scuola di regia gli permisero di approfondire grandi nomi della cinematografia russa quali Eisenstein, Vertov, Romm, senza impedirgli di studiare il cinema di Pasolini, Fellini e Antonioni per citare alcuni dei nostri maestri. Attraverso il cinema egli voleva  affermare una visione del mondo assai solitaria ed impopolare, e causa di frequenti scontri con la comunità artistica che frequentava. Si trattava di un nuovo linguaggio cinematografico, di una nuova concezione del montaggio, che risponderà al nome di montaggio a distanza. Il montaggio a distanza secondo Pelesjan è il contrario del montaggio classico che prevede i due piani vicini ed in relazione, per dar loro un senso. La sua teoria è che invece l’allontanamento dei piani di ripresa e di tempo produca una forte tensione che attraversa tutti i piani intermedi che li legano diventando carica del significato originario. Realizza vari cortometraggi fino ad arrivare al film “Noi” del 1969 che segna la sua maturazione artistica, in cui riesce a mettere in pratica le sue teorie sul montaggio e sulla costruzione del film, in un poema di immagini e musiche interamente dedicati al popolo armeno.  Pelesjan sembra ingaggiare la sua lotta col tempo nella distanza che si viene a creare fra le inquadrature, nello spazio temporale che le separa, per misurarne l’intensità che deflagra prepotentemente o intrappolarla  nel fermo di un’immagine. Nel 1972 realizza forse la sua opera maestra, “Seasons of life”, che ha come colonna sonora le quattro stagioni di Vivaldi, ed è considerato un autentico capolavoro. Il film racconta il movimento naturale, lo scorrere delle stagioni della terra e della natura, unite alla fatica ed alla gioia degli essere umani che  le attraversano. Nell’ambito della rassegna dell’associazione Suoni e Pause, il film è stato presentato a Cagliari presso la Cineteca Sarda, e introdotto da Antonello Zanda, direttore della Cineteca, che ha delineato l’opera del maestro, da lui incontrato  qualche anno fa alla mostra di Venezia. Arnaldo Pontis ha musicato il film, o sarebbe meglio dire, lo ha riempito di nuovi suoni. Ha eliminato totalmente l’audio originario costruendo un nuovo tessuto sonoro fatto di pura  elettronica  intrecciata con cori armeni in loop, scrosci d’acqua, campane, boati, pietre e versi di animali. La nuova trama sonora risulta strettamente avvinta alle immagini della terra e dei contadini, come a quella dei rituali della pastorizia. Una manipolazione che si lega straordinariamente al film, stagione dell’uomo e della natura, avvicinando il  sudore dei campi alle umane gioie di antichi sposalizi, preparativi semplici di piccole comunità, avvolti nel ritmo ciclico della vita. E nel suo incessante fluire. I suoni elettronici ed i campionamenti particolarmente efficaci sottolineano la transumanza, le immagini scorrono nel bianco e nero crudo che contraddistingue tutta l’opera, mostrandoci impietosa la lotta costante dell’uomo contro la ferocia della natura e allo stesso tempo l’ infinità complicità tra l’uno e l’altra. Come il guado faticoso lungo un fiume in piena, e la discesa  a precipizio tra i massi di una gola di uomini e pecore, fotogrammi strazianti che ne mostrano la forza e la crudele bellezza. Gli esseri umani, gli animali e gli elementi naturali si fondono gli uni negli altri in una osmosi faticosa e profonda, legata alla sopravvivenza degli uni e degli altri, senza bisogno di parole. Pelesjan filma il silenzio, il cinema che non sente la mancanza delle parole, proprio grazie alla sua straordinaria forza visiva capace di trasmettere con estrema armonia tutto il non detto.

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