25 APRILE 1945 E 1° GENNAIO 1948: DUE DATE FONDAMENTALI DELLA STORIA DEL NOSTRO PAESE DA RICORDARE NEL 66esimo ANNIVERSARIO DELLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA: 2 GIUGNO 1946


di Ernesto Bettinelli – ordinario di Diritto Costituzionale nell’Università di Pavia

 

Il 25 Aprile 2012, il prof. Ernesto Bettinelli (ordinario di Diritto Costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia) ha tenuto l’orazione ufficiale, nel corso della manifestazione celebrativa della ricorrenza della Liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista, a Santa Giuletta, un piccolo paese dell’Oltrepò pavese che è stato teatro a suo tempo delle vicende della  lotta partigiana. La manifestazione, oltre che dal Comune, è stata organizzata dalla sezione unificata dell’ANPI Santa Giuletta-Redavalle (presieduta dal sardo-oltrepadano Mario Chessa, originario di Mores, SS). Paolo Pulina ha introdotto i discorsi del sindaco Maurizio Brandolini e del prof. Bettinelli, che ringraziamo per averci concesso di pubblicare il suo contributo sui princìpi fondamentali della Costituzione italiana (alla quale ha dedicato una vita di studi) nella ricorrenza del 66° anniversario della proclamazione della Repubblica italiana (2 Giugno 1946). 

 Mi è capitato, nell’agosto 2011, di scoprire e visitare, quasi per caso, un importante museo sulla Resistenza a Caldarola, un piccolo comune (proprio come questo che ci vede oggi riuniti) tra le colline marchigiane, in provincia di Macerata.

Il museo, riallestito nel 2008 nella sede del Municipio, raccoglie una notevole collezione di dipinti, disegni, incisioni e sculture dedicati alla lotta per la Liberazione (stabilmente conclusa il 25 Aprile 1945). Per fare qualche nome di risonanza nazionale: Cascella, Aligi Sassu, Pomodoro e Ennio Calabria; accanto ad essi sono esposte le opere di altri numerosi artisti marchigiani e maceratesi. Queste opere, per il messaggio e le suggestioni forti che emanano, si fondono mirabilmente con le numerosissime testimonianze e le memorie di sofferenza e di eroismo di quanti (e sono davvero tantissimi) anche nelle Marche si sono sacrificati nella lotta partigiana, soprattutto ai suoi inizi nel 1944, quando i tedeschi hanno iniziato a ripiegare verso Nord, senza rinunciare a quelle stragi e distruzioni che hanno caratterizzato la loro ritirata.

Ho avuto la fortuna di avere come guida in questo museo, in questa mia imprevista incursione nella nostra memoria storica e civile più recente, Vincenzo, esponente dell’ANPI locale, postino in pensione, assai orgoglioso del suo vecchio lavoro di grandissimo valore sociale. Recapitare una lettera (rigorosamente in bicicletta) agli abitanti del paese che conosceva tutti (con le loro storie) richiedeva attenzione; talora occorreva scegliere il momento giusto, “con garbo”, per evitare ansie eccessive. Ora, invece, si tratta solo di raggiungere degli indirizzi muti e smaltire corrispondenza senz’anima, in fretta e senza futuro: il mestiere di postino è affidato a precari senza preparazione e passione che normalmente si avvicendano ogni tre mesi. Così i rapporti umani diventano effimeri, quasi impossibili.

La visita al museo di Caldarola, la conversazione con l’amico Vincenzo dell’ANPI che poneva a confronto la società di allora, l’umanità di allora, la politica di allora con la società di oggi, l’umanità di oggi, la politica di oggi, oltre che a provocare in me una grande tristezza di fronte a un presente che tutti conosciamo e che ogni giorno di più ci soffoca, ci fa mancare l’aria in tutti i sensi, hanno destato in me qualche domanda in retrospettiva. Qualche curiosità derivante certamente dalla mia deformazione professionale di docente di Diritto Costituzionale. Ma mi avete invitato qui proprio per questo, seppure non esclusivamente per questo, oso sperare.

A che cosa pensavano concretamente coloro che lottarono per la nostra liberazione quando riflettevano sul futuro assetto del nostro Paese? Erano più preoccupati di definire un nuovo sistema politico, un impianto costituzionale formalmente perfetto; o forse i loro pensieri erano soprattutto rivolti a immaginare una nuova società, ai rapporti tra gli uomini, tra i cittadini; ai rapporti tra le generazioni?

Nessuno può essere sicuro dei pensieri di chi non è più tra noi; ma da tante testimonianze storiche, dai frammenti epistolari, dalla stessa letteratura sulla Resistenza, da quello che ho potuto vedere e imparare anche nel Museo di Caldarola, sono propenso a credere che le preoccupazioni dominanti fossero proprio rivolte ai rapporti sociali, a immaginare nuove dimensioni di vita, nuove felicità private e collettive.

Nelle testimonianze di cui disponiamo e che ancora oggi ci capita di riscoprire troviamo parole semplici che i Costituenti (i nostri Padri fondatori le cui idee traevano alimento concreto proprio dalla lotta per la Liberazione) hanno poi trasformato nei princìpi e nei valori che leggiamo nella nostra Costituzione. Ed è la Costituzione che li definisce come “principi fondamentali”; i quali poi si esprimono in “diritti” relativi ai “rapporti civili”, ai “rapporti etico-sociali”, ai “rapporti economici” e infine ai “rapporti politici”. Sono categorie, definizioni, titoli scolpiti nella Costituzione. Ben 54 articoli che si occupano dei rapporti tra tutti i soggetti dell’ordinamento. Questa parola, a cui non sempre prestiamo la dovuta attenzione, che magari ci sembra così tecnica, asettica, neutra, significa in verità “vita”: proprio la vita di tutti i giorni che impegna ciascuno di noi.

E la qualità delle nostre vite singole forma la vita collettiva. Quanto più è mediocre la nostra vita (anche sotto il profilo morale), tanto più è scadente la vita della Nazione. Non a caso la nostra Costituzione definisce taluni rapporti proprio come “etici”. È un concetto impegnativo, un concetto che viene da lontano: è uno dei lasciti di chi ha combattuto (e spesso) è morto per consegnarci una società nuova.

Tra le parole semplici e frequenti, ma importanti che rinveniamo nelle testimonianze degli uomini della Resistenza, voglio ricordarne una in particolare, che stiamo perdendo di vista: “dignità”, dignità della persona, chiunque essa sia (cittadino o straniero, amico o avversario), in qualunque situazione (anche la più negativa o la più difficile). Una persona ha dignità in quanto riconosce la dignità umana di tutti i suoi interlocutori nella vita quotidiana. E la Costituzione riprende questa parola con parsimonia (solo in tre norme, ma importanti), quasi a sottolineare il suo valore, per far sì che sia presa sul serio.

La prima disposizione è l’art. 3 (principio di eguaglianza): “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La seconda disposizione è l’art. 36: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

La terza disposizione è l’art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Solo tre articoli, dunque, ma sufficienti a disegnare un modello di società, e sufficienti a porci interrogativi precisi e drammatici 64 anni dopo l’entrata in vigore della Carta (1° Gennaio 1948): una società di tal genere si è realizzata? A che punto siamo? Abbiamo onorato le speranze e le raccomandazioni iscritte – come affermava Piero Calamandrei – “sulle lapidi dei nostri caduti”?

Sono domande inquietanti, ma che non possiamo eludere guardando alla realtà: a ciò che succede tra i lavoratori, la scarsa importanza della loro vita di fronte alle esigenze pur innegabili della produzione, della stabilità economica e finanziaria; alla svalutazione della stessa famiglia, che pur dovrebbe essere – secondo alcuni – addirittura il cardine dell’ordinamento; la famiglia diventata ormai un obiettivo impossibile, o – come direbbero alcuni economisti – una variabile nell’assetto socio economico…. Gli esempi dell’assenza di dignità nella vita quotidiana non si contano.

Ciononostante non di rado, quando si invoca la Costituzione, si glissa su questi problemi della vita reale. Si preferisce occuparsi del sistema politico, parlare dell’inadeguatezza di alcune soluzioni dell’organizzazione costituzionale. Ormai da molto tempo vengono sfornate in Parlamento proposte di modifica della Costituzione (dei rami alti e dei rami bassi…). Ma pochi, troppo pochi, si occupano e preoccupano dell’attuazione della Costituzione con riferimento ai suoi valori ed ai suoi princìpi. Sembra quasi che il tema dei rapporti sociali sia un problema a parte, lasciato esclusivamente a una libera interpretazione dei singoli o dei gruppi…

Eppure la parola dignità (e tutte le situazioni a cui essa fa riferimento), dopo la Costituzione è stata ripresa nelle più importanti dichiarazioni internazionali a partire dalla Dichiarazione  Universale dei diritti dell’Uomo del 1948, fondamento dell’ordine internazionale che si sarebbe dovuto instaurare dopo gli orrori della seconda guerra mondiale. Proprio nelle sue prime righe questo documento afferma che il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. E successivamente il tema della dignità è affrontato e sviluppato in moltissimi altri atti internazionali fino alla Carta dei diritti dell’Unione Europea.

Ma come si può raggiungere questo traguardo della dignità universale? Chi sono i soggetti responsabili del perseguimento di un tale valore irrinunciabile?

Ancora una volta possiamo trovare una risposta saggia nella nostra Costituzione che all’art. 11, con molta preveggente umiltà, riconosce l’insufficienza della Repubblica e degli Stati nazionali a risolvere i tanti problemi della condizione umana e, proprio per questo, autorizza le istituzioni a cedere quote delle proprie funzioni e risorse sovrane in favore di “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”; e impegna le stesse istituzioni a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Ma questa esortazione è rivolta anche a ciascuno di noi e alle comunità in cui siamo inseriti, affinché assumiamo una dimensione mentale sopranazionale che ci consenta di considerare il più lontano come il più prossimo. E oggi le drammatiche condizioni del mondo dovrebbero convincerci che questa è la strada giusta, forse l’unica, che possiamo e dobbiamo percorrere. Insomma, anche se i nostri problemi interni e quotidiani ci sembrano assillanti e localizzati, dobbiamo avere l’intelligenza e la forza di spingere il pensiero oltre, seguendo l’esempio degli uomini che ci hanno restituito non solo un’Italia libera, ma un progetto di società e anche di mondo.

Credo che la nostra Costituzione in questa direzione sia davvero ancora una voce viva e sia una fonte di buoni ragionamenti. Perciò leggiamo la Costituzione e prendiamola sul serio innanzitutto come cittadini e cerchiamo, almeno noi, di attuarla responsabilmente nei rapporti (i tanti rapporti) di tutti i giorni e con questo cerchiamo di onorare la memoria di chi con tanto sacrificio ce l’ha consegnata. L’irresponsabilità conclamata, pervicace e diffusa di chi ci rappresenta attualmente nel sistema politico non può essere una buona ragione per rinunciare a essere società civile nel significato più pieno dell’espressione, maturato negli anni della Resistenza e della Liberazione.

 

 

 

 

 

 

 

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Un commento

  1. Paolo Pulina (Pavia)

    Il presidente Mario Chessa e gli iscritti della sezione dell’ANPI di Santa Giuletta-Redavalle ringraziano.

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