LA NARRAZIONE TOSSICA DELLE NOSTRE CONTINUE DOMINAZIONI: UNA SARDEGNA SEMPRE SOTTOMESSA

Tharros


di Omar Onnis

I sardi sono sempre stati dominati, è risaputo. Chi non si è mai imbattuto in una elencazione, magari buttata lì en passant, dei popoli che ci hanno sottomesso fin dalla notte dei tempi? È un elemento discorsivo che fa parte integrante della nostra identità, della narrazione egemonica interiorizzata da tutti i sardi degli ultimi centocinquant’anni.

Queste pretese dominazioni, però, bisognerebbe andarle a guardare da vicino, cercare di capire di cosa si è trattato.

Di solito si parte dai fenici. Chi fossero questi tizi nessuno lo sa dire con precisione. Che abbiano conquistato e addirittura dominato la Sardegna o parte di essa è messo in dubbio dai feniciologi in primis, dato che le risultanze archeologiche e le fonti antiche non sembrano affatto avvalorare tale tesi. Diciamo che, ad essere prudenti, parlare di dominazione fenicia in Sardegna è abbastanza improprio.

Chi veniva dopo? Ah, sì, i cartaginesi. Di stirpe “fenicia” anche loro, dopo tutto. Ma dai connotati storici molto meglio definiti. Cartagine era una potente città stato del Mediterraneo. Che potesse avere mire sulla Sardegna non è affatto strano, data la posizione dell’isola e la fama delle sue risorse, in quei tempi lontani. A quanto pare, dopo qualche tentativo andato male, alla fine i cartaginesi un pezzo di Sardegna riuscirono a piegarlo ai propri interessi. In questo senso si può parlare di dominazione. Parziale, certo, ma di sicuro l’area meridionale e la zona occidentale della Sardegna entrarono stabilmente a far parte dell’impero punico, per circa due secoli e mezzo. L’influenza economica e culturale di Cartagine sull’Isola si estese oltre i confini dei suoi possedimenti veri e propri. Ma il rapporto dei sardi con questa antica potenza pare sia stato complesso, non lineare, meno conflittuale di quanto si possa immaginare. Prendiamo però per buona questa prima forma di dominazione della nostra storia. E andiamo avanti.

Inevitabilmente a questo punto bisogna parlare di Roma. È stata dominazione quella romana? Certamente. Ma alzi la mano, in giro per l’Europa e per il Mediterraneo, chi non l’ha subita! Da questa parte – a qualcuno dispiacerà ammetterlo forse – la teoria della specialità della Sardegna lascia il tempo che trova. Quanto alla pretesa resistenza a oltranza dei sardi, gli studi archeologici e linguistici tenderebbero a conferirle maggiore complessità. Non una assimilazione totale e nemmeno un possesso politico stabile, certo. Ma indubbiamente i contatti dei sardi con Roma non furono solo conflittuali e nel corso dei secoli lasciarono un profondo segno anche nelle aree considerate solitamente più refrattarie alla sottomissione. La lingua di Roma soppiantò totalmente qualsiasi cosa si fosse parlato prima in Sardegna, ad esempio. Dato di cui tener conto, senza troppa retorica.

È stata poi dominazione quella vandala? Sì, in termini militari e fiscali, per qualche decennio. E solo su una parte dell’Isola. E quella bizantina? Be’, si trattava della restaurazione del potere imperiale romano, più che di una nuova sottomissione. Ma anche qui, di durata non lunghissima e con connotati assai più complessi e problematici di quanto l’idea di una dominazione lasci intravvedere.

Dopo di che, c’è la lunga fase storica della Sardegna “abbandonata a se stessa”. Poveri noi disgraziati: o ci dominano o siamo soli e perduti. Eravamo tanto disgraziati che, in mezzo al marasma movimentato di quell’epoca – tra espansione araba e sacro romano impero – ci siamo inventati una nuova civiltà. Come sempre accade, non è che ci siamo inventati qualcosa partendo da zero, ma mettendo insieme usi, costumi, strutture produttive, consuetudini locali con ciò che passava il convento a livello internazionale, abbiamo tirato su qualcosa di originale: la civiltà giudicale.

Ma ecco che l’incanto viene rapidamente spezzato. Lasciamo perdere le tesi secondo cui la civiltà giudicale sarebbe stata inventata da Pisa a scopo di sottomissione dell’Isola (circola anche questa). Bisogna constatare come i manuali scolastici releghino la Sardegna dell’XI, XII e XIII secolo nell’ambito delle terre dominate dalle emergenti repubbliche marinare italiche. Di solito non si fa cenno dei processi e degli eventi in corso a livello mediterraneo. L’ideologia nazionalista che permea tutta la storiografia dominante italiana – anche quella di matrice marxista – fa sì che a questo punto della storia le vere, grandi protagoniste assolute siano le città mercantili italiche. In lotta tra loro e soprattutto per l’indipendenza contro quei cattivoni degli imperatori svevi, insieme ai valorosi comuni lombardi, o contro l’invadenza del papa, a seconda delle convenienze del momento. Che Pisa e Genova fossero in guerra tra loro non disturba la ricostruzione secondo cui la Sardegna fosse dominata in contemporanea da entrambe. Un miracolo diplomatico! Pisa e Genova poi l’avrebbero consegnata pari pari – non si sa in virtù di quali meccanismi giuridici o militari – nelle mani del regno di Aragona, sottraendo così l’Isola alla sua “naturale” appartenenza italiana.

Si tratta la lunghissima dominazione spagnola come un tutt’uno, che arriva diretto (dopo secoli di oscurità e di barbarie “straniera”) alla “liberazione” avvenuta con l’arrivo sul trono sardo dei Savoia (di questa vicenda diplomatica di solito si omettono i particolari): tra regno di Aragona catalano e regno di Spagna a egemonia castigliana non c’è alcuna differenza, così come non ha rilevanza la lunga guerra tra sardi giudicali e catalano-aragonesi, né si mette mai in evidenza la circostanza che in tutta questa fase storica per un bel pezzo l’Italia non esistesse affatto e fosse di là da venire, fuori della portata anche delle menti più visionarie.

Ed eccoli qui, dunque, gli italianissimi Savoia. Non si va tanto per il sottile, in questa narrazione. L’essenziale è che la Sardegna sia passata dal dominio “italiano” quindi tutto sommato “normale” di Pisa e Genova a quello spagnolo, per poi tornare finalmente nell’alveo dell’Italia grazie ai Savoia. E qui finiscono le dominazioni.

Ora, se questa storia detta così suona un po’ ridicola, non dipende tanto dalla (facile?) ironia con cui la si presenta, ma fondamentalmente dal fatto che è proprio ridicola di suo. È una tesi assurda, quella delle tante, inevitabili dominazioni subite dalla Sardegna. Non tiene conto spesso di eventi storici documentati e dei processi più profondi, delle relazioni complesse sviluppatesi dentro le vicende della nostra collettività storica nel corso di tanti secoli. Ignora bellamente i risultati delle ricerche di biologia molecolare, secondo i quali la comunità umana della Sardegna è sostanzialmente invariata geneticamente da almeno 10000 anni (quindi, senza significativi apporti dall’esterno). È intimamente autocontraddittoria e finisce per mistificare malamente i rapporti politici, socio-culturali, economici intrattenuti dalla Sardegna con il resto del Mediterraneo e dell’Europa in tutta la sua storia. E i sardi, in questa storia, non ci sono mai. Oggetto misconosciuto e accessorio di una storia altrui.

Pochi, poi, si sono soffermati ad osservare un’incongruenza intima in questa chiave di lettura della nostra storia collettiva. Chiave di lettura che, se la si applica coerentemente traendone tutte le conseguenze letterali, indurrebbe a concludere che oggi ci troviamo semplicemente sotto l’ennesima dominazione, l’ultima della serie: quella italiana.

È un problema, perché se la nostra appartenenza all’Italia non è descrivibile come una dominazione, perché le altre sì? Ammesso e non concesso che la lettura in chiave dominati/dominatori sia fondata, a ben guardare la si potrebbe applicare proprio alla nostra storia contemporanea più che ad altri periodi. Se infatti si analizzano gli elementi costitutivi di un rapporto di dominio e subordinazione tra un territorio ed un altro, non si può non notare che tali elementi caratterizzano i legami instaurati dal Settecento, e poi soprattutto da metà Ottocento, con l’ambito culturale e politico italiano. Stranamente però tra coloro che amano rappresentarci come un popolo costantemente dominato – e costantemente resistenziale – questa logica e coerente deduzione non gode di molto successo: di norma viene tralasciata. Chissà perché.

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