NEI FRAMMENTI ESCLUSI DALLA POESIA "SARDEGNA", RIPETUTI OMAGGI DI VINCENZO CARDARELLI ALL'AMATA BARBAGIA


di Paolo Pulina

Su questo Blog abbiamo riprodotto integralmente la poco conosciuta poesia di Vincenzo Cardarelli intitolata Sardegna (1934). Abbiamo anche riferito che nelle pagine di apparato critico del volume delle opere cardarelliane curato nel 1981 da Clelia Martignoni per la collana “I Meridiani Mondadori” sono pubblicate le varianti di questa poesia. È di grande interesse per il lettore sardo la conoscenza dei frammenti espunti dal poeta in sede di redazione finale della lirica. Recuperiamo perciò le varianti e le parti  più significative non più presenti nella versione definitiva:

 

Sardegna

(varianti anteriori al testo definitivo)

 

… il  triste Campidano…

… i monti  nudi e netti di Teulada…

***

E via via che i teneri boschi

di Sòrgono e Désulo

cedevano alle querce e all’elce nera,

sul corso di un fiume

che ha nome biblico

mi ritrovai in Barbagia nel tuo cuore:

montagna leggendaria i cui messaggi

eran fanciulle vestite di rosso

buttate sui cavalli

come regine,

piccole Veneri ignare, in camicia,

donne dagli occhi ardenti

su volti adunchi e bruni

che scendevan da Oliena verso Nuoro,

coi loro cesti d’uova, in processione…

***

Un colore indicibile

a primavera

m’invitava a salire

sopra i monti di Bono.

Dovunque ti conobbi.

E la mia giovinezza s’incontrava

in quella  tua perenne.

Vidi santuari,  traffici,  mercati,

e le rudi  reliquie

dell’uomo della selce,

lontani anni d’un mondo

favoloso viaggio

ch’ io rifeci in un attimo,

allontanandomi nella sera.

E pensai quante viti

che vario ardore

di terre, di poveri e di costumi

si compendiano in te…

***

Ed è tutta una immensa, geologica rovina…

                                                                    ***

E più a lungo indugiai

fra la tua fiera gente barbaricina,

di aulico sangue vandalo,

relitto romano

che giù dal Gennargentu…

Come si vede, oltre ad alcuni dettagli descrittivi riferiti al Campidano e a Teulada, recuperiamo citazioni di  luoghi (Sòrgono, Désulo, Oliena, Nuoro, Bono), immagini relative a persone (le “ignare Veneri”), a paesaggi e a costumi in particolare della ammirata gente barbaricina.

Questi versi non pongono particolari problemi di interpretazione,  a conferma di quanto scrisse nel 1934, come sappiamo, il grande critico  Gianfranco Contini: «Si ha anche in Cardarelli un’autodenuncia: la continuità fra prosa e poesia; […] anche Sardegna è per lo più spaziale, allineata, e cioè narrativa».

Una nota finale. Abbiamo documentato come Cardarelli fece nel 1913  due viaggi in Sardegna. L’esperienza vissuta nell’isola gli suggerì  una gustosa annotazione, che troviamo nel capitolo “Le campane di Firenze” della prosa  di Sole a picco (prima edizione: 1929): «Col loro impeto orgiastico e furioso le campane del Mezzogiorno fanno pensare a danze selvagge e in Sardegna servono pure per ballare il duruduru. Ma a Firenze sono ancora le vecchie campane italiane, faziose e comunali, turbolente, festaiole e rimbombanti, che muovono il popolo come un sol uomo».

 

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