LA VITA DI ENRICO BERLINGUER NEL LIBRO DELLO SCRITTORE GIUSEPPE FIORI SCOMPARSO NEL 2003

Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer


di Sergio Portas

Qualcuno dovrà pur prendersi la briga di spiegare ai ragazzi di domani come questo paese si sia potuto impantanare in questa crisi politica e morale che ci sta lentamente soffocando vivi, come un vitello che si sia sventuratamente imbattuto in un anaconda che non mangia da sei mesi. Per adesso basta il nome di colui che personalizza l’agenda politico mediatica degli oramai ultimi venti anni, il Cavaliere dei cavalieri, ultimo satrapo e re d’ogni media, padrone di ville sontuose in Italia e nel mondo tutto. Ricco a miliardi di euro, padrone assoluto di un partito capace di eleggere centinaia tra deputati e senatori. Per tacere di sindaci, presidenti di regione e provincie, ambasciatori e banchieri. Mercé lui ogni cosa e causa diviene possibile da subito, nel belpaese che abitiamo, cenerentole sono mutate in regine in una sola notte, o trovano spazi in ambiti impossibili ai più: consigli d’amministrazione, ministeri, consigli regionali e provinciali. Certo tocca baciare il rospo, ma è solo così che lo si vedrà mutato in principe che tutto può. La sua tragicomica fine (politica) fa scivolare il nostro paese in una palude che sempre più assomiglia alle sabbie mobili di un romanzo d’avventure, dove ti senti tirare giù poco a poco e, più ti muovi per districartene, più ne vieni inghiottito. Non ci sono apparenti agenzie di garanzia che possano sventare un destino che appare segnato. Non c’è un controllo (legislativo) che possa porre fine a tanto degrado sociale, politico, culturale. Inutile sottolineare come la fama di quest’Italia vada espandendosi nel mondo. Quanto la fiducia, anche degli investitori esteri ( leggi: chi compra i nostri titoli di stato) vada degradando e quanto i famosi “spread” coi titoli tedeschi urlino oramai a chi ha ancora orecchie per sentire quanto costi a ogni italiano una simile disistima internazionale. Il Cavaliere è circondato da un nugolo di valvassini e valvassori che con lui stanno, da sempre. E con lui presumibilmente cadranno. Loro lo conoscono naturalmente meglio di quanto libri e giornali e tribunali e televisioni ce lo abbiano potuto descrivere anche nei dettagli più intimi, è da presumere che siano fatti della medesima pasta, che sappiano ben turarsi il naso in ogni frangente, che il bene comune del paese sia per loro un optional involontario che non deve comunque confliggere nelle carriere politiche che si prefiggono di scalare. Insomma tocca ovviamente immaginare che davvero il numero di politici di basso livello morale che è padrone d’Italia sia più che numeroso. Ebbene , nella storia del nostro paese, da quando è divenuta una repubblica parlamentare almeno, non sempre è stato così. Mi è tornato tra le mani un libro di Giuseppe Fiori, scomparso nel 2003 fu scrittore, giornalista, impegnato in politica con quella che allora si chiamava sinistra indipendente: gli intellettuali che pur collaborando col Partito Comunista volevano mantenerne una loro indipendenza intellettuale: “Vita di Enrico Berlinguer”. Un edizione Laterza del 2004. Berlinguer era morto giusto vent’anni prima. Lo scrittore di Silanus e il politico di Sassari si sarebbero intesi in un batter d’occhio, ambedue rappresentati inconsapevoli di quella sardità che viene da Gramsci e da Lussu, il rigore morale prima d’ogni altra cosa, il dovere verso gli amici, la famiglia, bene supremo che è oltre ogni dimensione pubblica. Non c’è posto nella loro biografia per il “gossip” , per la frammentazione del privato a soap opera, per la vita pubblica degradata a set del grande fratello.  I Berlinguer possono vantare quarti di nobiltà spagnola, come i pure i Siglienti con cui si imparentano per matrimonio, sono agrari solidi, medici, monsignori, avvocati, docenti di Sacra Scrittura, ingegneri, artigiani generali, un capo della polizia, artisti (ivi, pag.8). Enrico avrebbe potuto scegliere una qualsivoglia carriera : la Sardegna del dopoguerra lo forzò ad un impegno politico volto al progresso degli umili, scelse di fare del lavoro politico di partito il lavoro della vita, fu funzionario e scalò ogni gradino che l’avrebbe portato alla carica suprema, quella di segretario generale, dopo Bordiga, Gramsci, Togliatti, Longo. Basta farsi un giro su internet per avere un’idea iconografica di Enrico Berlinguer, il vestitino stazzonato e la cravatta annodata all’ultimo minuto, l’eterna sigaretta che confligge  con gli appunti stazzonati che debbono reggere i temi dell’ennesimo comizio, con le parole d’ordine sottolineate a notte tarda, caffè dopo caffè. Pur per sommi capi occorre ricordare qualche tappa significativa dell’azione politica berlingueriana, valga per tutte lo “strappo” che portò il più grosso partito politico comunista d’occidente a staccarsi dalla casa madre di Mosca. La creazione di quello che fu chiamato “eurocomunismo” ( con gli spagnoli e i francesi), e , in politica interna, il compromesso storico, in sommi capi l’intesa cordiale col partito dei cattolici , la Democrazia Cristiana. La questione morale fu un sovrappiù, ma è di questa che vorremmo discutere visto i frangenti che ci tocca di vivere nell’Italia di adesso, dove gli scandali che ineriscono al potere politico di governo hanno assunto forme talmente mostruose da rasentare l’incredibilità. Nel luglio del 1981, trent’anni fa, Enrico Berlinguer diede un’intervista a Eugenio Scalfari in cui tra l’altro diceva: ”…I partiti di oggi sono soprattutto  macchine di potere e  di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero… I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai-Tv, alcuni grandi giornali… La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia di oggi, secondo noi comunisti, fa un tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa un tutt’uno con la guerra per bande, fa un tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”. (pag429) Il paradosso che ci attanaglia, in quanto cittadini, impedisce che quest’analisi storico-sociologica che ha fatto proseliti a milioni venga in qualche modo fatta propria dal sistema politico odierno che, per emendarsi, si dovrebbe suicidare. Mandando a casa, a lavorare i campi di patate, le centinaia di migliaia di persone che lucrano della politica politicante. Senza contare quelli che , parlamentari o non, dovrebbero davvero finire il loro escursus nel fondo delle patrie galere. Pare di capire che saranno i famigerati “mercati” a cacciare l’ultimo governo italiano, del resto non occorre saper leggere l’inglese del “Financial Times” per rendersi conto che la credibilità internazionale del nostro paese è ridotta a barzelletta (sporca) di barbiere. Ma la questione morale rimarrà in piedi egualmente. E non si risolverà con la morte (politica) del berlusconismo imperante. Rileggere questo libro di Giuseppe Fiori è come bere una birra fresca in una sera d’estate, ci riconsegna ad un’età neanche tanto lontana in cui i politici sardi di spicco avrebbero avuto schifo di bere un caffè coi Verdini e Carboni dell’epoca, parlando di eolico sardo. Altra tempra morale! Faccio mie le parole con cui Eugenio Scalfari chiude la prefazione al libro di Fiori: “Si continuerà a discutere a lungo della politica di Berlinguer, con passione e disparità di opinioni; ma un fatto è certo: di uomini del suo stampo il paese avrebbe più che mai bisogno, e invece sono proprio figure di questa statura che ci mancano. Ogni epoca produce classi dirigenti rappresentative della società che le esprimono. A giudicare da ciò che vediamo sotto i nostri
occhi, le società attuali debbono essere di assai scadente qualità se i gruppi dirigenti sono quello che sono (pag.XIII).

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