L'IDEA DISSENATA DI SVENDERE I FARI IN SARDEGNA E' COME CANCELLARE UN PEZZO DI STORIA

il suggestivo Scoglio Mangiabarche nell'isola di Sant'Antioco

il suggestivo Scoglio Mangiabarche nell'isola di Sant'Antioco


di Ornella Demuru

Qualcuno ricorda quando nei primi anni ’90 la Comunità Europea finanziava l’espianto dei vigneti? Qualcuno ricorda quanti sardi accettarono quei denari per cancellare in un colpo solo cultura, sapere e produttività dalle loro terre? Tanti, furono tanti. Lo ricordo bene visto che provengo da una regione della Sardegna, il Mandrolisai, dove la vite caratterizzava colline e valli montane. Furono in tanti a svendersi, come furono in tanti, dieci anni dopo, a rendersi conto della follia compiuta. Non fu la politica a rendersi conto, ma i cittadini. I cittadini sardi che oggi, per l’appunto, investono con coraggio nella cultura vitivinicola, lavorano, producono e vendono i loro ottimi vini in Sardegna come in tutto il mondo. Piccole e medie aziende sorte in tutta la Sardegna che, coniugando innovazione tecnologica e sapere millenario, si sono riscattate. La giustificazione di quella “scelta” fu la crisi economica e la convinzione che produrre e commerciare un buon vino in Sardegna fosse impossibile dato il boom del mercato francese che allora batteva di molto quello italiano. A ripensarci non pare vero. Anche oggi, come se nulla si sia imparato, ci sono in atto politiche che ripetono lo stesso meccanismo, che prevede l’abbattimento della produttività in favore di soldi facili e immediati. Un meccanismo cieco e suicida che nasce dall’incapacità di governo e dal vuoto programmatico e di progetto. Un meccanismo che nella crisi vede solo il rischio e non l’opportunità di crescita, così come tutti i buon governanti al mondo dovrebbero vedere. Così nella nostra grave crisi attuale, chi governa la Sardegna non vede opportunità ma buchi, voragini finanziarie a cui porre rimedio: in fretta e adesso! L’ultimo esempio eclatante di questo scellerato meccanismo è l’intenzione già annunciata dall’assessore La Spisa di mettere in vendita a privati delle particolari strutture immerse in paesaggi unici nel loro genere. Parlo dei fari marini sardi. A dirla tutta questa “intenzione” corrisponde ad un progetto dell’aprile dello scorso anno che prevedeva la vendita dei fari sardi alla società in house del Ministero della Difesa “Difesa  Servizi SpA” che ha come mission la valorizzazione del patrimonio immobiliare della Difesa inutilizzato e non ancora dismesso (isole, castelli, fari etc). I fari marini nel mondo e in particolare in Europa rappresentano una delle maggiori attrattive culturali e turistiche. Situati in scogliere altissime e di grande fascino, in piccole isole desolate o in piani erbosi nessun faro è uguale ad un altro. Spesso hanno storie particolari, vite vissute, naufragi, eroismi di ogni tipo. La Sardegna non è da meno. Dai fari-fanali che paiono galleggiare nell’acqua come lo Scoglio Mangiabarche nell’isola di Sant’Antioco al faro di Capo Caccia ad Alghero in cima ad un dirupo sopra le Grotte di Nettuno, sino al faro di Punta Sardegna a Palau immerso in un favoloso paesaggio lunare fatto di rocce granitiche. La vendita – o meglio dire svendita – di questo patrimonio non solo rappresenterebbe l’ennesima occasione persa per ritrovare noi stessi e fare economia sana e a lungo termine ma molto probabilmente l’istituzione di una nuova servitù dello Stato italiano: beni militari inutilizzati tramutati in beni culturali dallo Stato che come sempre divengono risorsa a disposizione dello Stato e a discapito dei sardi. Se invece gli acquirenti dovessero essere dei generici privati, la situazione non cambierebbe tanto. I fari sardi si trasformerebbero in hotel extra lusso destinati a pochi e privilegiati, i soliti magnati che coi loro yacht approderebbero in questi luoghi ricchi di storia e di fascino senza neanche sapere che la terra in cui stanno sbarcando si chiama Sardegna. L’opportunità che non si vede e che si rischia di perdere è quella messa in atto dai vari assessorati al turismo nelle coste della Normandia, dell’Irlanda, delle tante isole sparse per il mondo che di fari e fanali marini ne hanno fatto moderni nodi culturali e ambientali dove natura, letteratura di viaggio, storia marittima nonché tecniche e tecnologie navali sono abilmente intrecciate per offrire ai visitatori atmosfere suggestive, percorsi naturali unici, coscienza storica dei luoghi e dei rapporti di questi col mare. I fari quindi nella loro antica funzione di punti di riferimento non solo per i naviganti ma per tutti i sardi assetati di sapere e di conoscenza, per i futuri visitatori della nostra Terra, per chi vive del mare e ne vuol continuare a vivere ogni onda di fascino.

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