BREVE INTERVISTA A BACHISIO BANDINU: "DAL FARE NASCONO LE COSE". IL FUTURO IN MANO AI GIOVANI SARDI

Bachisio Bandinu è antropologo, saggista, scrittore e giornalista

Bachisio Bandinu è antropologo, saggista, scrittore e giornalista


di Giulia Madau

 

Bachisio Bandinu è antropologo, saggista, scrittore e giornalista. È autore di numerosi scritti. Alla fine dello scritto, l’elenco delle sue pubblicazioni. Nella sua lunga carriera si è soprattutto occupato di questioni legate all’identità “ponendosi nella prospettiva del dialogo tra antropologia e scienze sociali”. L’ho incontrato e conosciuto durante il Brinc@ Festival. Mi è stato presentato da Alberto Masala che ringrazio, ma ringrazio soprattutto lui per avermi gentilmente concesso questa intervista. Lo studioso sardo si trovava a Bologna per partecipare a un incontro, all’interno del festival, dedicato agli scrittori dell’isola e la prima domanda che gli rivolgo è proprio su Brinc@. Bachisio è certo che sia stata “una iniziativa di grande interesse perché ha favorito un incontro di musica, di parola e di ascolto, di conoscenze interpersonali e comunitarie”. Sostiene che la vera scommessa del mondo dell’emigrazione è proprio quello di mobilitare i giovani per una relazione più proficua con la realtà isolana nei suoi aspetti più diversi e più dinamici, anche per sollecitate scambi, proposte, progetti e produzioni. “La Sardegna vista da fuori e vista da dentro: uno sguardo esterno, misurando un distanziamento può cogliere aspetti spesso non visibili da chi ci vive dentro”. Il suo ultimo libro dal titolo L’amore del figlio meraviglioso è un romanzo che narra le vicende e passioni di un’intera famiglia che abita nella zona che i sardi chiamano Monti di Mola, ma che i più conoscono col nome di Costa Smeralda, e che ha venduto le sue proprietà terriere ai costruttori del paradiso vacanziero. “Il patriarca pastore di capre, resistente ma con un destino di spaesamento e sensi di colpa. Una moglie costretta nella mediazione fra vecchio e nuovo. Il luccichio del nuovo che abbaglia due dei tre figli e in particolare la donna, Caterina, tutta tesa all’abolizione incondizionata di un cupo passato. E il terzo figlio, che ha studiato in Continente e alle favole è disposto a crede ben poco. Amore, sesso, modi di vita, senso delle cose e degli uomini… niente sfugge a un cambiamento istantaneo e senza precedenti nella storia dell’Isola, dove due mondi s’incontrano, senza comunicare o integrandosi in suadenti quanto folcloristiche finzioni”. Chiedo, quindi, allo scrittore come mai ha deciso di realizzare un romanzo, lui che si è sempre dedicato ai saggi. “La scrittura di un romanzo è stata sollecitata dal desiderio di passare dalla saggistica alla narrazione: un diverso registro linguistico. Avevo già scritto un saggio sulla Costa Smeralda usando strumenti semiologici e antropologici, nel romanzo invece pongo al centro la storia di una famiglia che ha vissuto il passaggio dallo stazzo tradizionale gallurese alla villa smeraldino, grazie alla vendita milionaria dei terreni costieri”. “Avendo insegnato nella scuole medie di Arzachena, nel periodo del boom smeraldino avevo raccolto molte esperienze di vita di personaggi e di famiglie, che sono entrati nel  corpo del romanzo”. Essendo io una giovane sarda e avendo letto il suo libro dedicato a me e ai miei coetanei mi sono chiesta, e ho domandato anche a lui, se il messaggio esplicitato nel testo del 1996 valesse ancora oggi. Lui ha risposto che “rispetto al libretto Lettera a un giovane sardo, oggi insisterei maggiormente sul rapporto locale-globale così come viene vissuto dai giovani, rimarcherei la comunicazione attraverso le nuove tecnologie e approfondirei la necessità di una presenza psicologica, culturale e politica dei giovani per trasformare una realtà locale che non condividono”. E visto che siamo in tema di Sardegna chiedo un suo parere riguardo la notorietà dell’isola. “La Sardegna è famosa per le sue bellezze naturali e culturali che però devono diventare risorse capaci di investimento e di produzione”. E aggiunge  che la scarsa coscienza di queste risorse impedisce ai Sardi di avere una immagine positiva di sé  e dunque di essere capaci di invenzione. Secondo Bandinu al territorio sardo non manca nulla. Ma manca qualcosa ai suoi abitanti ovvero la capacità creativa “ che pure esiste in sommo grado ma rimane nascosta, inespressa, proprio perché persiste il fatalismo, l’ipercritica che non si traduce nel fare”. La sua intervista chiude con una frase che condivido appieno “dal fare nascono le cose: le cose si dicono facendole e si fanno dicendole”.

Le sue pubblicazioni:

Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica, Rizzoli, Milano, 1980.

Un sardismo da inventare, in Le ragioni dell’utopia. Omaggio a Michelangelo Pira, pp. 121-139, Milano, 1984.

Narciso in Vacanza, Am&D, Cagliari, 1994.

Il cavallo. Memorie, sogno, storia, 1995.

Lettera a un giovane Sardo, La Torre, Cagliari, 1996.

Gennargentu, la città invisibile, in L’Unione Sarda del 18.1.1997.

Olbia città multietnica, (con G. Murineddu e E. Tognotti), AM&D, Cagliari, 1997.

Visiones. I sogni dei pastori, AM&D, Cagliari, 1998.

Ballos, Frorias, Cagliari, 2000.

Mario De Biasi. Viaggio dentro l’isola, (con Alfonso Gatto e Giuseppe Dessì), Ilisso, 2002.

Il re è un feticcio, Ilisso, Nuoro, 2003.

Identità, cultura, scuola, (con Placido Cherchi e Michele Pinna), Domus de Janas, 2003.

La maschera, la donna, lo specchio, Spirali, 2004.

Raffaello Sanzio e Sandro Trotti, Spirali, 2006.

Pastoralismo in Sardegna, Zonza Editori, 2006.

Il quinto moro. Soru e il sorismo, (con Salvatore Cubeddu), Domus de Janas, 2007.

Lingua sarda e liturgia, (con Antonio Pinna e Raimondo Turtas), Domus de Janas, 2008.

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2 commenti

  1. Ciao Massimiliano, ti volevo chiedere un’informazione riguardo il resoconto che devo scrivere per il 22 agosto sulla presentazione del libro di Bandinu. Che ne dici se lo imposto su un’analisi antropologica del libro? Magari mi soffermo su 4-5 temi ed accenno agli altri presenti… Una specie di recensione…

  2. Maurizio Monni

    “Sa bena”
    In via Sa bena abitava un amico,
    il suo nome era noto al vicinato.
    Quando parti, andò in alta Italia,
    i parenti attesero con lui alla stazione.
    Ritornerà prima del previsto,
    certo han pensato molti conoscenti.
    Un suo biglietto ci venne poi da Albenga,
    un altro era timbrato Pordenone.
    Poco si seppe poi di lui negli anni.
    Forse ha fatto fortuna, o forse no.
    La sua strada adesso è rinnovata,
    ma ha perduto l’aspetto conosciuto.
    Dov’era la fontana “ ‘e ponte ferru”
    Hanno messo un semaforo e un cartello
    Della vasca più grande, un pò più giù,
    non è rimasto nulla, C’è una piazzetta.
    Quanto su è scritto non è di gran valore,
    ma … se tornerà Zoreddu da lontano
    vedrà che Nuoro un po’ ricorda ancora
    un paesano che abitava presso il Carmelo.
    Maurizio Monni 1974

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