COSTA SMERALDA, IL SOGNO E IL MITO: IL CONSORZIO DI PORTO CERVO, NEL 2011 FESTEGGIO I 50 ANNI DI VITA

 
di Carlo Figari *

Porto Cervo. La Costa Smeralda si avvia a compiere il mezzo secolo che festeggerà nel 2011. Il nome indica una delle località turistiche più belle ed esclusive del mondo e nel tempo è diventato un marchio di eccellenza per ville, alberghi, golf e nautica. Grazie alla fama internazionale della Costa Smeralda negli anni Sessanta si è cominciato a conoscere la Sardegna come meta per le vacanze, soprattutto nel jet set. In realtà il toponimo non deriva da alcun luogo preesistente nel territorio, ma è il nome civile del Consorzio costituito a Olbia il 29 settembre 1961 con sede nel nascente Porto Cervo. L’idea e il sogno di un gruppo di ricchi imprenditori stranieri si concretizzò con un’associazione di proprietari di terreni che avevano di recente acquistato da pastori e contadini nell’estrema punta nord occidentale dell’isola, nel comune di Arzachena, piccolo paese destinato a diventare il più ricco dell’isola. «Scopo del Consorzio era di programmare l’equilibrato sviluppo urbanistico e di dotarlo di ogni opera e servizio necessari alla sua migliore valorizzazione turistica. Alla base di tutto si doveva e si deve ancora oggi tutelare al massimo l’aspetto naturalistico che è la vera ricchezza della Costa Smeralda», sottolinea l’avvocato cagliaritano Renzo Persico, attuale presidente del Consorzio che riunisce circa cinquemila soci. Ne fanno parte tutti coloro che acquistano appartamenti, ville e terreni. Chi usa l’espressione Costa Smeralda per indicare suoli non compresi nel territorio o ne sfrutta indebitamente la notorietà «commette un reato», ammonisce una nota del patinato magazine pubblicato dal Consorzio che «è pronto ad agire» contro chiunque provi a sfruttare un brand consolidato in cinquant’anni. Ieri Karim Aga Khan, oggi l’imprenditore libanese-americano Tom Barrack che con la società Colony ha rilevato gli hotel, il golf, il Tennis Club e il porto. Il principe si è tenuto lo Yacht Club e la compagnia Meridiana Fly. La crisi, a dire il vero, è arrivata sino a qui, non risparmiando neppure il mondo dorato dei “costacei”. Certo, maxi yacht che sembrano più navi da guerra, velieri e motoscafi da favola, sono ormeggiati nel Marina di Porto Cervo o alla fonda davanti alle spiagge più belle. I veri ricchi ci sono sempre, ma il turismo che affolla alberghi meno esclusivi, b&b spuntati come funghi, ristoranti e pizzerie sparsi ovunque, si è ridotto a vista d’occhio. Basta cercare un parcheggio nelle spiagge più frequentate (da Long Beach al Pevero). O affacciarsi in un locale di sabato sera dove l’anno scorso dovevi prenotare una settimana prima. La crisi c’è, lo dicono tutti, e si vede. Ma la Costa non ha perso il suo fascino, simbolo di un progetto nato cinquant’anni fa e che forse ora deve immaginare un futuro diverso. Ma com’era iniziata questa avventura nel lembo desolato della Sardegna nord occidentale? Chi conosceva l’isola in un’Europa che, nell’epoca del boom economico, cominciava a scoprire il turismo di massa?
«Solo l’eco degli omicidi e delle rapine oltrepassa il mare. Quale turista oserebbe affrontare i suoi banditi? Solo pochi tedeschi e inglesi un po’ matti, da una decina d’anni. Ebbene, da non più di quattro anni la Sardegna di colpo è alla ribalta. Come ha potuto l’isola, superare il pesante handicap del suo secolare isolamento? Karim Aga Khan, con la creazione di una riserva per miliardari ha fatto il miracolo. Questa presenza illustre ha messo in primo piano la Costa Smeralda e la Sardegna. Grazie a lui questa nuova zona può divenire una delle regioni del mondo più frequentate dove tutti i “grandi” vorranno essere visti». Parole profetiche, introduzione di una tesi di specializzazione scritta da una giovane ricercatrice francese dell’università di Lione nel 1965. Simone Gerlat, all’epoca poco più che ventenne, arrivò nell’isola quando il principe ismailita, i suoi soci e milleseicento tra operai, giardinieri, tecnici stavano costruendo quello che sarebbe stato il nucleo storico di Porto Cervo: il vecchio porto, la celebre piazzetta che oggi raccoglie tutte le boutique più esclusive della moda, i primi hotel e le prime favolose quanto originali ville disegnate con uno stile che sarebbe diventato caratteristico. Lo stile Costa Smeralda, appunto, fatto di bianchi, di colori della terra, di mimetizzazione nella roccia e nella macchia mediterranea, di pietre e mattoni caldi, di archi e linee morbide orientaleggianti. A spedire la giovane Simone in Sardegna era stato il suo docente, il famoso geografo Maurice Le Lannou al quale si devono importanti studi sulla nostra isola. Quella tesi di un centinaio di pagine si è trasformata in un libro “La Costa Smeralda, il mito e il modello”, che l’editore sassarese Carlo Delfino ripropone come una sorta di «c’era una volta». L’idea di una pubblicazione è venuta di recente a Umberto Giordano, dirigente dell’Ept di Sassari e dell’ex Esit, il quale accolse la giovane francese e l’aiutò nella sua ricerca. «A distanza di tanti anni ho rivisto la signora Gerlat, ritornata in Sardegna come turista, e nell’occasione ho ritrovato la sua vecchia tesi. Mi è sembrata una lettura molto interessante, una testimonianza documentata e vivace di una straniera che vide nascere un autentico paradiso dal deserto della Gallura del tempo». Il volumetto di cento pagine accompagna il visitatore alla riscoperta di quei luoghi non più esotici e fa riflettere sul fenomeno di uno sviluppo turistico rimasto insuperato. Fu il capriccio di un principe ricchissimo alla ricerca di un regno temporale o un’impresa finanziaria? Simone Gerlat visita i cantieri, parla con la gente, indaga per definire le motivazioni di un turismo tanto originale e per valutarne, non ultimo, le ricadute sull’economia e sulla popolazione “autoctona”. Quando arrivò qui Karim cercava «un angolo unico al mondo, paradisiaco, agli antipodi dove trionfano i grattacieli, i muri rettilinei tracciati col filo a piombo, le armature metalliche, il grigiore e ogni conformismo», racconta la Gerlat: «Tutto questo cercavano i ricchi del pianeta, il nuovo Gotha del turismo. Uno di loro, capo di una religione comune a ventidue milioni di persone, erra come i suoi avi da secoli senza mai trovare una patria. Studi ad Havard, giovane, sportivo, amante dei piaceri materiali, vorrebbe spendere la sua freschissima energia nella creazione di un super-regno temporale, una sorta di Società delle Nazioni i cui membri rappresentino tutta l’aristocrazia della bellezza, dell’eleganza, dell’intelligenza e della ricchezza…Questa speranza non sembra affatto irrealizzabile, soprattutto se i miliardi sono là, pronti ad essere investiti per il paradiso effimero delle vacanze». I luoghi che scopre Karim con i suoi amici miliardari inglesi e francesi è unico e meraviglioso. L’esotismo dei paesi lontani alle porte della ricca Europa. «Questa terra – scrive Gerlat – oltre alla garanzia della bellezza, offriva una popolazione anormalmente poco numerosa: una densità di 38,4 abitanti per km quadrato a fronte di una media della Sardegna nel 1961 del 58,9 e ignorante degli affari». Com’era allora la Gallura? «È un bagno di silenzio e solitudine, di un universo ancora vergine e staccato dai vizi della civiltà dei giorni nostri. I realisti imputano il ritardo economico e intellettuale alla grande distanza col Continente che i collegamenti aerei e marittimi ancora poco sviluppati non hanno ridotto e all’orografia dell’isola che rende le comunicazioni difficili, le strade comunali sono poco numerose, la strada da Santa Teresa a Olbia non è ancora asfaltata. Questo isolamento che marca le relazioni interne così come quelle verso l’esterno si spiega ancora con l’aspetto inospitale della costa orientale e con il suo retroterra dai rilievi selvaggi». La giovane ricercatrice approfondisce gli aspetti geografici, ma per capire meglio la mentalità degli “indigeni” esamina le vicende storiche e culturali. «Per la Gallura è la grande occasione per uscire dall’isolamento e per promuovere un nuovo modello di sviluppo economico».

* Unione Sarda

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