DALLA VITTORIA SULLA MALARIA (IL MALE CHE HA FLAGELLATO L'ISOLA PER MILLENNI), LA RINASCITA DELLA SARDEGNA

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di Carlo Figari

 

La vittoria sulla malaria nell’isola ha avuto l’effetto di una rivoluzione. C’è una Sardegna “prima” e una “dopo” l’imponente campagna di eradicazione del male, avviata dagli americani nel 1946 col Sardinian Project. A un anno dall’inizio delle operazioni col Ddt si contarono 39.303 casi. Nel 1948 furono dimezzati, nel 1949 si ridussero a 1314 e nel 1951 ce ne fu uno solo. Nel 1952 la battaglia era vinta: nessun sardo era stato colpito dalle micidiali zanzare anofele che per millenni avevano infestato l’isola minando la salute dei sardi delle pianure e delle coste. Un popolo di malati o potenziali tali, debole e febbricitante, nei periodi di gran caldo falcidiato dai pericolosissimi insetti. Il fatto di aver debellato la malaria non fu solo una vittoria della medicina, ma ebbe effetti eccezionali sulla società e sull’economia. La rinascita della Sardegna dalle rovine della guerra partì sicuramente da lì, grazie soprattutto all’enorme sforzo organizzativo e finanziario degli americani. Le vicende di quell’epica battaglia è ricostruito nei minimi dettagli in un importante volume appena uscito dal titolo “Sardegna e malaria” (259 pagine), edito da Carlo Delfino e realizzato da quaranta esperti delle più diverse discipline mediche con il contributo di Eugenia Tognotti docente di storia della medicina nell’università di Sassari. A dirigere l’orchestra di tanti specialisti, tra i più qualificati non solo in Sardegna ma a livello nazionale, un clinico di fama quale Ugo Carcassi. Con la collaborazione di Ida Mura (docente di Igiene a Sassari), a lui il compito dell’introduzione tra saggio storico e analisi scientifica. Non è un caso perché Carcassi, all’età di 88 anni, continua con passione l’attività di ricerca clinica e di studi storici pubblicando le biografie dei grandi uomini del passato visti sotto l’aspetto medico. E è curioso che la molla che spinse Carcassi a studiare medicina fu di aver contratto la malaria in gioventù. Colpito dal male volle cercare di scoprire le cause e capire i meccanismi per arrivare a individuare i rimedi. Un impegno che ora si trova riassunto nel libro a cui hanno dato un loro contributo – tra gli altri – gli “anziani” docenti dell’ateneo cagliaritano Licinio Contu, Giuseppe Perpignano e Franco Pitzus. “Mare e Sardegna” è il titolo del celebre libro di viaggio scritto dall’inglese D. H. Lawrence che in due parole stigmatizzò la configurazione e la peculiare insularità. Così “Sardegna e malaria”, con uguale concisione, associa il malanno millenario all’isola che ne ha subito l’influenza. Il popolo dei nuraghi probabilmente era rimasto immune o solo sfiorato dalla malattia. La malaria cominciò a diffondersi con l’arrivo dei coloni dall’Africa: le fonti raccontano del comandante cartaginese Malco ucciso dalla malaria nel 540 a.C. e gli storiografi romani descrivono l’isola come terra inospitale e rischiosa per il clima e per quei miasmi che falcidiavano i soldati delle legioni e le popolazioni. La situazione igienica peggiorò nei secoli come si vede dai numeri demografici: dai 300 mila abitanti del periodo romano la Sardegna si ridusse ad appena 180 mila durante il dominio aragonese. «Il particolare assetto idrogeografico consentiva il costituirsi di paludi e lagune favorendo la diffusione della malaria e la desolazione delle pianure. In questo modo – sottolineano Carcassi e Mura – si mantenne la costante antitesi tra gli abitanti dell’interno (risparmiati in gran parte) e quelli delle zone flagellate dall’anofele. Le cause delle febbri che colpivano indiscriminatamente tutti veniva attribuita ai miasmi che si diffondevano dalle paludi e dagli stagni. La svolta si ebbe solo alla fine dell’Ottocento quando il clinico Corrado Tommasi Crudeli scopriva, con la collaborazione del patologo tedesco Edwin Klebs, un batterio da loro denominato Bacillus Malariae, presunto responsabile delle febbri». «Nello stesso anno1880 il francese Alphonse Laveran individuava un plasmodio nel sangue di pazienti affetti da febbre palustre aprendo la via alle successive ricerche che consentivano di scoprire il ciclo di sviluppo dell’anofele, le varie specie responsabili della malaria, l’importanza della eliminazione degli agenti vettori (le zanzare) e del loro habitat (acque stagnanti), l’efficacia del chinino nel trattamento e nella prevenzione».  Le bonifiche volute dal fascismo nel Ventennio e l’uso del chinino migliorarono, ma non risolsero il male endemico. Solo nel 1943, con l’arrivo delle truppe angloamericane, apparve necessario organizzare un intervento in grande stile per cercare di debellare il male. Anche perché preoccupava il fatto che nell’isola fossero di stanza 260 mila militari. Così si avviarono i piani che, subito dopo la fine del conflitto, portarono al “Sardinian project” per la lotta sistematica e organica anti-anofelica. Contributo sostanziale fu dato dai finanziamenti della Rockfeller Foundation e dalla nascente Regione sarda che creò l’Erlaas. Come racconta nel suo saggio la storica Eugenia Tognotti che ricostruisce in dettaglio le tappe della guerra all’anofele. «A fine Ottocento – scrive – la Sardegna contava 2000-2200 morti all’anno, detenendo il triste primato di regione più malarica d’Italia. La scoperta di Lavaran portò ai primi faticosi progetti di bonifica. Negli anni Venti appariva ormai chiaro che per risanare le terre malariche non era sufficiente la bonifica idraulica, ma si doveva pensare a misure combinate che dovevano precedere la lotta antilarvale». La diffusione gratuita del chinino aiutò senz’altro, ma si capì che era necessaria un’opera ben più radicale. Che arrivò soltanto nel secondo dopoguera con l’uso su vasta scala del Ddt. «Il dibattito tra medici ed esperti – rileva Eugenia Tognotti – si soffermò sul problema di individuare la zanzara killer, che si pensava fosse l’anofele. Si capì, invece, che le specie erano diverse e che la campagna anti-anofelica in realtà dovesse eradicalizzare tutti i tipi di insetti».  La prima parte del programma previde l’irrorazione col Ddt di tutte le case di Cagliari e dintorni per proseguire nel resto dell’isola. Nel 1947 il lavoro era compiuto all’85 per cento. Nel marzo del 1948 il progetto poteva dirsi concluso: ogni pezzo di muro o di soffitto costruiti dall’uomo – compresi i nuraghi, le grotte e i pozzi di miniera – era stato trattato. Nell’estate fu realizzata la parte più impegnativa del programma: ventimila uomini (il grosso costituito da braccianti ingaggiati per l’occasione) operò in tutte le campagne irrorando ogni luogo d’acqua dell’isola. Alla fine dell’anno l’anofele era stata sconfitta. Il libro realizzato da Carlo Delfino con grafici e tabelle ha un taglio scientifico rivolto a medici e studenti (gran parte dei saggi scritti a più mani sono di carattere medico), ma con l’ambizione di farsi leggere anche dai non addetti ai lavori. Sicuramente rappresenta quanto di più completo possa trovarsi in libreria sull’argomento, toccando patologie molto diffuse in Sardegna come il favismo e la talassemia. Ed ancora il diabete, la celiachia, la sclerosi multipla, la tiroide e malattie reumatiche.

 

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