DUE CONFERENZE SULLA FILOSOFIA DELLA STORIA NEI CIRCOLI DI ZURIGO E LUCERNA

Giuseppe Rensi (1871 - 1941) filosofo italiano

Giuseppe Rensi (1871 - 1941) filosofo italiano


di Domenico Scala e Antonio Cadau

Prosegue intensa l’attività culturale dei circoli dei sardi in Svizzera, con l’obiettivo di dare spessore alle varie occasioni d’incontro e quindi favorire, attraverso il dibattito  e il confronto, la crescita umana e culturale dei nostri emigrati. L’appuntamento più recente è stato quello organizzato dai circoli di Zurigo e di Lucerna nei giorni del 20 e 21 febbraio scorso dedicato ad un tema filosofico alquanto impegnativo, “La filosofia della storia nel pensiero di Giuseppe Rensi”. Relatore è stato il professor Sergio Sotgiu, docente di filosofia, collaboratore della cattedra di filosofia morale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari. Efficace coordinatore degli incontri è stato Domenico Scala, vice presidente vicario della Consulta sull’emigrazione della Regione Sardegna, nonché responsabile per lunghi anni della Federazione dei circoli sardi in Svizzera.  Scala nella sua introduzione ha ben messo in rilievo come quello filosofico non debba essere inteso come un sapere riservato agli specialisti, ma che esso possa esser fatto proprio da ogni persona che voglia vivere la propria vita con consapevolezza e ampiezza d’orizzonti. Di Rensi (Villafranca di Verona 1871- Genova 1941), pensatore solitario, irregolare,  ingiustamente dimenticato, è stata in primo luogo inquadrata la biografia, se ne è  messa in rilievo l’attività giornalistica, l’esilio in Svizzera per sfuggire alla persecuzione giudiziaria in seguito ai disordini del 1898, la sua elezione a deputato in Canton Ticino per il partito socialista, il suo ruolo di redattore-capo della rivista di respiro europeo Coenobium. Tornato in Italia, dopo una fase di professione forense, volse il suo interesse in modo sempre più totale verso la filosofia, vinse la cattedra universitaria insegnò a Firenze, Messina e quindi Genova. Distaccatosi dal partito socialista Rensi ne denunciò in modo veemente l’incapacità strategica e il velleitarismo. Dopo una prima fase di simpatia nei confronti del movimentismo fascista repubblicano, divenne molto critico nei confronti del regime  al punto da venir arrestato e, pochi anni dopo, privato della cattedra e relegato al ruolo di bibliotecario. Morì a 70 anni, assistito dal suo medico e amico, il sassarese Paolo Perantoni, proprio il giorno in cui Genova veniva sottoposta a un intenso bombardamento da parte della marina britannica. Il relatore si è poi soffermato ad analizzare il pensiero di Giuseppe Rensi, uno fra i più complessi dell’età contemporanea non solo perché esposto in una sessantina di volumi e in numerosi articoli apparsi su riviste e quotidiani, ma anche perché conobbe diverse fasi, da quella idealistica a quella scettica, da quella materialistica all’ultima spiritualistica. Di fatto però il suo nome ancora oggi non trova spazio nelle narrazioni filosofiche del Novecento, nonostante la qualità del suo pensiero e del suo stile sia stata riconosciuta da studiosi e scrittori come Martinetti e Del Noce, Sciascia e Santucci, Morra e Buonaiuti, Sciacca e Cacciari. Particolare rilievo assume poi la concezione rensiana della filosofia della Storia, nell’ambito della quale possono chiaramente distinguersi due fasi. Una prima, che coincide col periodo “svizzero”, è caratterizzata da una dichiarata fiducia nell’azione politica e nella storia. Tale fase, ha precisato il prof. Sotgiu, è ben rappresentata da due opere: Una repubblica italiana. Il Canton Ticino (1899), e Gli Ancien regimes e la democrazia diretta (1902). Il queste opere, aventi un non troppo nascosto intento politico, Rensi intendeva indicare a modello il vicino cantone elvetico, invitando nel contempo gli italiani ad agire. Con quali obiettivi? Principalmente verso la richiesta di un esercito non permanente, verso l’adozione di un sistema repubblicano, verso forme di democrazia diretta come ad es. il referendum, che era allora presente in pochissime costituzioni europee. E’ un Rensi, questo, che crede nell’azione, ha fiducia nella capacità della decisione politica di incidere positivamente nell’Italia del tempo. Tutto ciò fino alla prima guerra mondiale, quando le citate certezze vengono messe in crisi dalle immani dimensioni del conflitto, per cui il pensiero del filosofo veronese evolve in una direzione marcatamente scettica e pessimistica. Naturalmente la stessa filosofia della storia mutò profondamente: ora per Rensi la storia è il regno del caos, è il luogo in cui si realizzano regolarmente le idee peggiori, vi trionfa sempre il male e l’ingiustizia, essa procura dolore e disperazione. Perché i popoli fossero felici occorrerebbe che uscissero dalla storia. La storia, scrive Rensi nel suo rigoroso antistoricismo, oscilla fra la ripetizione e l’assurdo. Assurdo perché ripetizione, ripetizione perché eternamente irrazionale. Essa poi è anche atrocemente monotona visto che viene regolarmente scritta dai vincitori che non si limitano a vincere nell’attualità, ma pretendono anche di fondare il loro successo su una storia riletta e riscritta a loro vantaggio. Tale visione pessimistica sarebbe del tutto disarmante se non ci fosse un ancoraggio ad una costellazione di valori che danno senso alla vita, spontaneamente richiedono adesione  e fedeltà e, soprattutto, sono chiamati a giudicare la storia. Questi i momenti fondamentali della conferenza seguita con viva partecipazione dai nostri emigrati. Alla fine della relazione numerose domande sono state rivolte al relatore, le cui risposte hanno ravvivato ulteriormente la curiosità e l’interesse da parte del pubblico. I dibattiti sono stati condotti e moderati con competenza dai Presidenti dei rispettivi circoli dei sardi, Mario Usai a Zurigo e Antonio Mura a Lucerna. In conclusione tutti coloro che hanno partecipato alle due serate hanno avuto l’impressione che la filosofia fosse davvero una conoscenza da mettere in pratica nella vita quotidiana di ogni persona. Realizzando così l’auspicio di Jean Guitton, il quale chiedeva che le idee dei filosofi fossero capaci di scendere dalle nevi in cui  son nate per venire a posarsi, come colombe, sui rami degli alberi in mezzo agli uomini che stanno penando.

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