A proposito di Ennio Porrino…

di Giovanni Masala

 

Stralcio dalla prefazione di G. Masala, in: Ennio Porrino, I Shardana, Stoccarda 2009. Volume contenente il testo in tre atti a firma dell’autore, nonché le critiche all’indomani della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli (1959) e al Teatro Massimo di Cagliari (1960). Fotografie inedite di scena della «prima», i bozzetti di Màlgari Onnis Porrino, una prefazione di G. Masala, un articolo di F. Karlinger sulla sardità dell’arte porriniana, un’intervista al compositore, la lettera-testamento di Porrino e altri materiali inediti rievocano una delle giornate più memorabili della storia dell’opera lirica contemporanea.

Sono venuto a conoscenza della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli di un’opera lirica intitolata I Shardana soltanto durante il lavoro di raccolta degli scritti di Felix Karlinger sulla Sardegna (per approfondimenti rimando al suo importante saggio: "Ennio Porrino. Profilo biografico e considerazioni sulla sua arte", in: F. Karlinger/G. Masala, Omaggio a Ennio Porrino, Stoccarda 2009). E, in effetti, una lettura approfondita degli articoli dell’etnomusicologo tedesco ha contribuito enormemente alla conoscenza, non solo di quest’opera lirica ma anche di episodi importanti della vita – spesso sofferta anche se ricchissima di soddisfazioni – nonché dell’infinita messe musicale di Ennio Porrino, il cui nome è indissolubilmente legato alla Sardegna.

Nato a Cagliari nel 1910 e morto improvvisamente a Roma nel 1959 a soli quarantanove anni, Ennio Porrino rappresenta indubbiamente una figura di primissimo piano nel mondo componistico del nostro paese e sicuramente la più grande della Sardegna. Ancora ventenne si afferma con la lirica Traccas (su versi di Sebastiano Satta) nel concorso nazionale La Bella Canzone Italiana. Segue una strepitosa carriera il cui apice è sicuramente costituito dalla prima rappresentazione assoluta de I Shardana al Teatro San Carlo di Napoli; la sua morte improvvisa è di circa sette mesi più tardi. È sintomatico constatare come il legame con la Sardegna apra e chiuda quindi la sua vita, terrena e musicale.

            L’autorevole enciclopedia musicale tedesca Die Musik in Geschichte und Gegenwart riporta che nel 1962 «la grande opera I Shardana fu accolta dalla critica come "la più importante opera lirica composta in Italia in questo dopoguerra"». Ed effettivamente, all’indomani della rappresentazione sancarliana del 21 marzo 1959 le critiche sono eccezionalmente positive. Sia riviste specializzate che quotidiani attribuiscono a I Shardana tanti meriti e uno soprattutto unanime: la capacità dell’artista di coniugare magistralmente l’antica e gloriosa storia sarda con la musica classica moderna, attingendo nel contempo alla musica tradizionale dell’isola mediterranea. Porrino era perfettamente consapevole che il vero patrimonio culturale dell’Italia fosse da ricercare non nell’uniformità di un’arte banalmente italiana bensì nella ricchezza e nelle diversità delle singole culture locali. Egli crea arte "glocale" ben prima che questo termine entrasse a far parte dei nostri dizionari. Il 18 marzo del 1960 I Shardana verrà rappresentata, in occasione della commemorazione del compositore, al Teatro Massimo di Cagliari, e riscuoterà anche nella capitale sarda un grandissimo successo. Dopo, il silenzio…

Già prima della rappresentazione partenopea i numerosi articoli dei maggiori quotidiani nazionali facevano presagire un’opera fuori dal comune. Nel foyer del teatro napoletano venne addirittura allestita una mostra di bronzetti sardi, e in questo modo si diede al pubblico la possibilità di ammirare un’arte sconosciuta ai più e di avvicinarlo ai manufatti risalenti all’epoca storica che per la prima volta andava in scena. A questo proposito va anche ricordato, en passant, che Porrino precorse di circa 50 anni alcune teorie che oggi, anche se fanno fatica a penetrare profondamente nel mondo accademico, sono divenute certezze della storia sarda, e cioè che gli antichi sardi, i Shardana, erano un popolo di abilissimi navigatori.

Che l’Italia musicale intera fosse in fibrillazione per l’imminente prima rappresentazione assoluta de I Shardana bastano i leggere la rassegna stampa dell’epoca riportata nel presente volume, che testimonia con innegabile evidenza la notorietà, il prestigio e la stima di cui Porrino godeva allora nel nostro paese, e non solo come compositore ma anche come direttore d’orchestra e critico musicale. Non va dimenticato inoltre, che all’epoca della rappresentazione de I Shardana Porrino ricopriva ormai dal 1936 l’incarico di docente di armonia principale e contrappunto nel Conservatorio di Santa Cecilia e dal 1951 quello di professore ordinario di composizione nella stessa istituzione romana a cui si aggiunse, dal 1956, anche quello di Direttore del Conservatorio Giovanni Pierluigi da Palestrina di Cagliari e di Direttore Artistico dell’Ente Lirico e dell’Istituzione dei Concerti.

            Ma intanto arriva il giorno della prima e a Porrino viene affidata anche la direzione d’orchestra per un’improvvisa indisposizione del Maestro Gabriele Santini. Alcuni tra i maggiori cantanti lirici dell’epoca (Ferruccio Mazzoli, Gonnario, Giulio Mastrangelo, Orzocco, Luisa Malagrida, Bèrbera Jonia, Irene Compañez, Nibatta, Piero Guelfi, Norace e Antonio Galiè, Perdu). interpretano magistralmente i personaggi del dramma musicale porriniano. L’opera viene accolta dal pubblico in modo trionfale, il giudizio della critica, specialistica e non, è estremamente positivo, Ennio Porrino è il «musicista dell’anno» (Mondo Lirico). I Shardana, replicata con altrettanto successo di pubblico nello stesso teatro partenopeo il 25 e il 28 della settimana successiva, è «l’opera dell’anno» (Mondo Lirico). Leo Levi affermerà: "Il sogno del maestro Porrino, quello di dare vita al lontano mondo d’una remota Sardegna, non intesa nel senso folcloristico bensì nel suo aspetto più genuino e caratteristico scevro da ogni convenzionalità, si è avverato con la rappresentazione d
e I Shardana […]. Questa nostra breve introduzione è un preludio di un finale facilmente arguibile: è un’opera ben riuscita che provederà senza scosse nel suo cammino […]. Abbiamo premesso che quest’opera si inserirà senza troppe "gomitate" nella piccola folla delle sue più note consorelle; ne siamo certi perché indipendentemente dalle sue prerogative artistiche, quest’opera ha il pregio di amalgamare una vasta gamma di variazioni sinfoniche sì da suscitare la sensazione d’ascoltare tutto un mondo musicale, dall’800 al contemporaneo, il tutto in una mirabile fusione armonica e di facile assimilazione. Non poteva esservi varo più felice, per questa creazione concepita con arditezza e modernismo, di quello avvenuto il 21 scorso al nostro Teatro. L’ampio consenso del pubblico, manifestato con prolungate ovazioni, ha superato ogni aspettativa. Più volte chiamato alla ribalta, il maestro Porrino, nella sua innata semplicità, appariva commosso e quasi timoroso di aver suscitato tale entusiasmo. Ma la vittoria non è soltanto sua; è anche degli interpreti, della regista e di tutti coloro che hanno lavorato con zelo per conseguirla" (I Shardana: un capolavoro di Ennio Porrino, in: Mondo Lirico).

Dopo l’improvvisa morte del compositore (Roma, 25 settembre 1959) l’opera venne rappresentata il 18 marzo del 1960 nel Teatro Massimo di Cagliari, città natale di Porrino, e replicata il 20 della settimana successiva con vivissimo successo di pubblico e di critica. Anche in quest’occasione una "vittoria" tale da prevedere un futuro certo. Parve quasi che I Shardana per un attimo potesse divenire un’opera lirica canonica: "Ci sembra che uno spettatore abbia colto nel segno, quando in un intervallo de I Shardana, affermava ascoltatissimo e rispettatissimo da tanti numerosi gli stavano intorno, che il teatro in musica italiano da trentacinque anni a questa parte, dal tempo cioè della Turandot di Puccini, aveva sofferto anemicamente tra i tanti e quasi sempre sfortunati tentativi, sino a fare languire l’opera lirica, divenuta un personaggio pressoché secondario nell’attività teatrale, proprio nella patria dei Verdi, dei Puccini e dei Mascagni. Ora, secondo quello spettatore, insospettabile di "sardismo" perché continentale – si trattava, infatti, di un nomade superstite sognatore che insegue le stagioni liriche in Italia e che aveva raggiunto Cagliari al richiamo di un’opera nuova, poiché aveva mancato all’appuntamento napoletano de I Shardana – l’opera di Porrino colmava quel trentacinquennio di assenza, di vuoto nel teatro italiano. «Vedrete, egli diceva, ammiccando con convinzione un amico sardo, che I Shardana non si fermeranno a Cagliari. I Sovrintendenti dei maggiori teatri la includeranno presto nei propri cartelloni e presto se non prestissimo l’opera di Porrino spiccherà il volo anche per l’estero». Possiamo sottoscrivere in pieno quanto lo sconosciuto e disinteressato nomade continentale andava dicendo de I Shardana che si è conclusa ieri sera al Teatro Massimo con un autentico trionfo" (L’Unione Sarda, Cagliari, 19 marzo 1960).

            L’affermazione dello spettatore non si rivelò purtroppo profetica: infatti, quella, se si eccettua una rappresentazione romana del 24 settembre 1960 eseguita in forma oratoriale nell’Auditorium del Foro Italico, fu quella l’ultima volta che I Shardana andò in scena. Come profetica non fu neanche l’affermazione dell’illustre etnomusicologo tedesco Felix Karlinger il quale riteneva che I Shardana avesse "[…] imboccato la strada giusta per diventare l’opera nazionale sarda par exellence" (Musica, 1960). Ma non fu così, eppure siamo certi che oggigiorno la rappresentazione de I Shardana nei teatri sardi (e non) potrebbe costituire e garantire una cospicua affluenza di pubblico. Per ciò che concerne la nostra opera lirica ne siamo più che certi, anche perché due acuti articoli sull’andamento della stagione musicale cagliaritana 1959-60 confermano come una tendenza in questo senso fosse percepibile già da allora: "Il repertorio operistico era costituito da La dannazione di Faust di Berlioz, La Fiamma di Respighi, I Shardana di Porrino e quattro operine del Settecento. Delle opere in cartellone I Shardana e le operine sono state quelle che hanno chiamato in teatro un pubblico maggiore. Si comprende facilmente la ragione di tale fenomeno per quel che riguarda la degna commemorazione del maestro Porrino, figura notissima ed apprezzata nell’ambiente cagliaritano, ma l’affluenza all’esecuzione delle operine del Settecento […] smentisce l’assioma secondo il quale il pubblico della nostra città preferisce un repertorio a base di spartiti ben noti, vale a dire Verdi, Puccini e Giordano, tanto per citare i nomi più noti anche agli sprovveduti" (Il popolo sardo, 12 aprile 1960). Mentre Gavino Gabriel tuonava: "Il problema del «repertorio operistico» nella lirica ci potrebbe indurre qui a un’estesa parentesi. Ci limitiamo a dire che l’audizione de I Shardana di Porrino, l’altra sera alla radio, è servita solo a ispirarci un sentimento di rammarico […] per la prevedibile impossibilità di poter presto riascoltare un’opera che i Sardi non possono non sentire come espressione della propria tradizione musicale. E tanto è maggiore il rammarico, se si considera la sfilza di opere arcinote che riascolteremo di anno in anno in stanche riedizioni. Come si potrà interessare il grosso pubblico alla musica nuova, quando lo si impigrisce con quattro romanze che tutti sanno a memoria? Parentesi chiusa" (L’Unione Sarda, 30 ottobre 1960).

[…] Nostro obiettivo iniziale era anche quello di accennare a quali potrebbero essere state le ragioni del perché I Shardana non sia mai più stata rappresentata in alcun teatro – né sardo né del «Continente» – dall’ormai lontano 18 marzo del 1960. La mancata rappresentazione de I Shardana rappresenta, a nostro avviso, soltanto la punta dell’iceberg di una politica culturale distorta che affonda le sue radici negli anni Cinquanta e Sessanta in Sardegna. Proprio in quel ventennio nell’isola andava sacrificandosi una cultura millenaria sull’altare di un’industrializzazione assolutamente inadatta al tessuto socioculturale isolano. La cultura sarda intesa come segno portatore di una diversità storica, linguistica, letteraria e musicale completamente differente da quella dell’Italia continentale, facevano dell’isola una vera e propria nazione (culturalmente intesa) all’interno dell’Italia. L’operazione economica, soprannominata allora Piano di Rinascita, convogliò nell’isola ingenti somme destinate appunto allo sviluppo dell’isola ma nel contempo significò per la Sardegna la rimozione di tutti quei saperi millenari di cui essa era depositaria: la storia (sarda), la lingua (sarda), la letteratura (sarda), la musica (sarda). Nella didattica dell’insegnamento della lingua italiana una cospicua fetta del corpo docente non tenne assolutamente in considerazione che allora la stragrande maggioranza dei bambini pro
veniva da famiglie sardofone e che l’italiano era per gli scolari una vera e propria lingua straniera. L’abbandono scolastico raggiunse livelli da record e generò nei sardi un autentico rifiuto della propria lingua e cultura respinta violentemente dalla cultura dominante. Anche le antichissime tradizioni musicali sarde, basti pensare all’antichissima polifonia vocale e strumentale sarda, subirono una battuta d’arresto. La "vera" modernizzazione, anche musicale, non parlava, come naturale, in due lingue, ma solo in italiano, e i sardi la seguivano, affascinati… nonostante il monito di alcuni etnomusicologi stranieri, tra cui Felix Karlinger: "Ciò che in senso speciale è musica sarda può in senso lato valere come musica della civiltà occidentale, come fonte primordiale di quel retaggio dal quale furono alimentati molti secoli di storia musicale europea. Ciò che qualche ignorante deride come primitivo e barbaro, ciò che qualche sardo stesso solo con un po’ di vergogna scopre davanti al forestiero, perché egli crede che la sua musica sia troppo semplice, appartiene in realtà a quel sostrato comune dal cui seno uscirono tutti i grandi e famosi compositori del nostro continente: dal Palestrina a Verdi, da Orlando di Lasso a Mozart, Beethoven, Wagner. Ché se in un museo contempliamo con muta venerazione i resti di civiltà da lungo passate, tanto più dobbiamo apprezzare i tesori che sono contemporaneamente antichi e vivi, che non hanno perduto nulla del loro splendore, che continuano a fiorire, in dimessa semplicità e grande bellezza, in mezzo alla falsità del nostro tempo" (1958).

In un momento storico-politico in cui le peculiarità regionali iniziavano timidamente ad assumere carattere distintivo e, politicamente, a divenire "significanti", si pensò evidentemente, più per ignoranza e incapacità didattica che per effettiva volontà, di operare in Sardegna una sorta di manipolazione semiotica discriminando, soprattutto all’interno della scuola, la lingua e la cultura sarda che purtroppo sfociò in un autentico saccheggio culturale. Ma gli anni Cinquanta sono ancora all’insegna della speranza. Ma nel campo musicale, infatti, sarà ancora Porrino, ben consapevole del rischio che correva la cultura musicale sarda, a sferzare un vero e proprio "colpo da Maestro" quando, proprio nel 1957, anno successivo alla sua nomina di Direttore del Conservatorio Giovanni Pierluigi da Palestrina, darà l’annuncio dell’istituzione di una cattedra di Etnofonia Sarda presso il medesimo conservatorio cagliaritano. Così Porrino: "Nessuna regione italiana, forse, ha un patrimonio etnografico così importante […]. Più volte mi sono preoccupato, nel timore che questo prezioso materiale andasse disperso a causa della evoluzione dei tempi e del gusto che comporta un logoramento e una corruzione di tutto ciò che si tramanda per via mnemonica di generazione in generazione… Mi ero anche chiesto perché le autorità e gli studiosi sardi non provvedessero a tamponare questa specie di «emorragia» o di «leucemia» come dir si voglia; assunto lo scorso anno l’incarico della Direzione del nostro Conservatorio […] proposi al Ministero della Pubblica Istruzione, d’accordo col Presidente Crespellani, la creazione di una nuova cattedra, cioè della Cattedra di Etnofonia Sarda […]. È tema dire che questo corso avrà un carattere culturale, estensibile quindi a tutte le categorie di studiosi; cioè non solo agli studenti di musica di qualsiasi corso, ma anche a studenti e studiosi in genere che, per i loro studi (letterari, critici, filosofici ecc.) e per la loro preparazione oltreché per la particolare disposizione, siano desiderosi di approfondire questa materia e portare anche il loro eventuale contributo di personali esperienze. Perché questo corso vuole essere anche il punto di partenza per la realizzazione di un Centro di studi e di raccolta di materiale […]. Il Corso verrà affidato al più illustre ed emerito cultore della materia: al prof. Gavino Gabriel che […] inizierà le sue lezioni con una prolusione su L’etnofonia nello studio delle tradizioni popolari e l’etnofonia sarda. Proseguirà il Corso soffermandosi su tre aspetti della materia: le voci, gli strumenti musicali, le «forme» di espressione musicale […] (Il Tempo, 1957). Ma la cattedra di Etnofonia Sarda "muore" con la scomparsa di Porrino, e anche I Shardana, non solo capolavoro musicale ma opera con chiare connessioni identitarie fu occultata e considerata politicamente non opportuna, quindi, "pericolosa" al pari della lingua, della letteratura e della musica sarda, verrà "dimenticata" o meglio "fatta dimenticare" e verrà, volontariamente o no (con la solita scusa che Porrino tanto era stato "fascista"), bandita dai teatri sardi e, soprattutto, rimossa dalla memoria dei sardi, da tirare fuori dopo "cinquant’anni" […]

 

E, in effetti, il 19 e il 21 febbraio, dopo 50 anni, l’opera lirica I Shardana di Porrino verrà rappresentata (in forma di concerto) nel teatro lirico di Cagliari, a chent’annos! e… meglio tardi che mai!

 

 

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