Viaggio fra i piccoli artigiani sardi alla fiera di Milano


 di Sergio Portas
 

Sebbene spalmati su sette giorni (dal 5 al 13 di dicembre) tre milioni di persone sono un numero che si commenta da sé. E se gran parte di costoro sono convinti che risolveranno il problema dei “regali di natale” qui alla fiera dell’artigianato di Milano, li si può considerare come generalmente orientati alla spesa, disponibili cioè ad allentare i cordoni dei borsellini, che sono rimasti sin qui  ben serrati seguendo pari pari  l’andamento degradante della crisi planetaria che tutti (o quasi) fa più poveri. E previdenti. Altra irrinunciabile dote di cui non si può fare a meno (la previdenza salva dai fallimenti del bilancio familiare) se si vuole uscire vivi dall’esperienza totalizzante di dover scegliere tra tremila espositori-artigiani, è la chiarezza d’intenti: di quale articolo si è in cerca. Diversamente ci si imbatterà in quello che  Umberto Eco chiama “Vertigine della Lista”, l’ultimo suo libro uscito da Bompiani, di cui l’autore ha parlato con Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, aumentandone quindi automaticamente il numero delle ristampe, nonostante il prezzo di 39 euro non sia proprio allettante. Per darvi un’idea di questa “vertigine” vi farò anche io un piccolissimo elenco delle cose qui esposte cosciente che “una cultura preferisce forme conchiuse e stabili quando è certa della propria identità, mentre fa elenchi quando si trova di fronte a una serie disordinata di fenomeni di cui cerca un criterio”. Di molti articoli occorre consultare un buon vocabolario: occhiali a fori stenopeici (da Sondrio), sculture, batik, strumenti musicali (Senegal), djembe, tamburi, cesti (Ghana), presepi in gesso decorato a mano, angioletti decorati in oro e argento foglia (Lucca),artigianato tipico nepalese ed abbigliamento in pashmina e feltro (Kathmandu), artigianato malesiano: vestiti, spade, servizi in porcellana (Kuala Lampur), oggettistica in osso, corna, terra cotta (Nairobi), tazzine da caffè, abbigliamento per la danza del ventre, soprammobili in cristallo incisi a laser, tamburi, vetro soffiato, statuette egiziane, essenze, mobiletti intarsiati in madreperla, pouff (Cairo), e sciarpe, cappelli, oggettistica per la scrittura in piuma d’oca o di struzzo, pannelli decorativi, lavori in vetroresina,ombrelli e bastoni, gioielli in osso, legno, perle, case prefabbricate, salotti, poltrone, divani, Katane da collezione, boomerang da lancio, nani da giardino. Eccetera. Per tacere del cibo e delle leccornie offerte in assaggio ad ogni visitatore incauto. Tocca imbucarsi in territori conosciuti, e i nostri sono come sempre  presidiati dalle bianche bandiere crociate di rosso, coi quattro mori a tenere tesa la bandana. Svicolo dai coltellinai di Guspini e dai gioielli che Andrea Cadoni mutua dalle pietre dure di Montevecchio  e cerco di barcamenarmi tra offerte di mirto e torrone. Il fatto è che tutti hanno il “miglior mirto di Sardegna”, il “Lussomirto” di Lusso Franca (Di Villasalto) prevede una “degustazione e prezzi a KM zero con prova dell’etilometro”, che non si capisce bene se l’etilometro serva a determinare il giusto grado alcoolico del liquore  o a garantire i degustanti che possono ritornare a casa con la macchina senza tema  di venir fermati per manifesta ubriachezza. A sentire quelli di Cabras, di bottarga che venga dai muggini dello stagno non se ne trova quasi più e gli stabilimenti che la “producono”usano prodotti d’importazione africana o greca. Cosa che fa sganasciare dalle risa quelli di Alghero che invece si vantano  di avere ancora stagni ricchi di pesce. Salvatore Troncia, di Masullas, si auto incensa quale “maestro del torrone sardo”, ce l’ha con “quelli del Medio Campidano”, che, a suo dire, non sono produttori ma solo commercianti, fa torrone di noci e di mandorle, torrone di mirto e al miele di corbezzolo, per i celiaci l’ostia che usa è fatta con fecola di patate e olio di palma, niente glutine. E allora vediamoli questi del Medio Campidano, i primi due sono di Gonnus  (Gonnosfanadiga ndr):Giorgio Saba che fa miele in località “Rienatzu” e Roberto Lisci che nella sua azienda agricola produce olive da tavola e pomodori secchi, e naturalmente vende olio . Anche l’azienda agricola di Barbara Deias seleziona la pregiata qualità della “Nera di Gonnos” (hanno 4500 piante) per il suo olio extravergine “Deas” e il sapore è davvero “delicatamente fruttato, con sentore di oliva fresca e carciofo”.  Quelli del pastificio Polese, madre padre e figlio che si mettono in posa come nel presepe, sono di Morgongiori e fanno paste tradizionali lavorate a mano, tra le quali spiccano le famosissime lorighittas, l’azienda artigiana di giovane costituzione nasce per il volere di Claudia e Caterina Polese, nel loro ricettario del monte Arci le fanno cuocere con sugo di agnello, con zafferano con bottarga e zucchine  ma il meglio sono, a mio avviso, le lorighittas con asparagi selvatici, cosparse di pecorino. Imprenditoria sarda giovanile e femminile, come l’azienda agricola di Valentina Saba: “Oro Rosso” di San Gavino, l’oro è naturalmente lo zafferano e loro lo commerciano rigorosamente in pistilli. Valentina è laureanda in architettura ma è determinata a buttarsi nell’avventura imprenditoriale, nonostante le difficoltà che il Comune di San Gavino non sembra intenzionato a semplificarle. Il fatto è che deve dotarsi di un laboratorio e la sua casa è sita nel centro storico, dove non si può chiudere una parete di un garage neanche se dà all’interno del cortile. Anche lei mi regala due ricette, in cui lo zafferano è re e signore. Quelli dell’apicoltura “Isca ‘è Mulas” sono di Barumini, oltre al miele offrono propoli, pappa reale, cera, caramelle. Con un imprenditore lombardo (tale Ottolina di Seregno) hanno una serie di prodotti di cosmesi naturale a base di miele. Il loro miele di corbezzolo è amarissimo e dolcissimo allo stesso tempo, hanno attestati di qualità recenti per la sulla e l’eucalipto, per trovare i corbezzoli tocca portare gli sciami verso Estersili e Sadali. Hanno imparato il mestiere da Albino Simbula di Sini, mio fornitore di fiducia, lui le api se le scorazza sull’Arci, dove i corbezzoli si specchiano nella giara dei cavallini. Col suo miele fa il torrone Rinaldo Pranteddu, di Tuili, “superchiuso” che non prenda umidità e conservi  le qualità organolettiche come fosse appena fatto. Discende da una famiglia di torronai, già lo erano il babbo e il nonno. Mi accompagna da un artigiano che fa coltelli per la “Is Lunas” di Beatrice Tuveri e C., di Villanovaforru. I coltelli, mi dice, si vendono a un tanto al centimetro, secondo la tipologia. Una pattadese che misuri più di 15 centimetri non è facile da mettere insieme, che il difficile è nel trovare un corno adatto per il manico. Lui stesso deve approvvigionarsi in Marocco, Grecia e Tunisia, che la Sardegna nostra non è in grado di stare dietro alle ordinazioni. Si dovrebbe poter usare le corna che perdono i cervi delle riserve. Che diversamente rimangono inutilizzate. Mi mostra un gioiello di coltello uguale a quello regalato a Sergio Marchionne, patron FIAT, in corno di zebù. Che pare abbia molto apprezzato (Marchionne non lo zebù). Francesca Foddi, gonnesa pure lei, mi dice del frantoio oleario che gestiscono in quattro fratelli, tutto computerizzato, con spremitura a freddo a meno di 28 gradi. Una delle sorelle, ingegnere, ha progettato l’impianto. Anche loro trattano la “Nera di Gonnos” e fanno 8/10.000 litri l’anno fra olio extravergine fruttato e uno più “tradizionale”.I noccioli delle olive sono venduti come pellet (bio-combustibile) e l’acqua di risulta è usata come fertilizzante. Antonio Calloni mostra orgoglioso la sua targa ONAOO, organizzazione nazionale assaggiatori olio  di oliva, e mi dice delle diverse caratteristiche che deve avere un olio a seconda del piatto che si sta gustando. E’ entusiasta della  scommessa di qualità dei Foddi col loro frantoio alle falde del Linas. Più ancora si dilunga nel magnificare (a me!) le qualità delle donne sarde (lui ne h
a sposato una). Sulla questione so tutto da una vita, che mamma è guspinese doc.

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Un commento

  1. Salve
    non sono riuscita a leggere neanche una parola del testo scritto in giallo canarino , provate a leggerla e vedrete cheè impossibile. meglio cambiare il colore dei caratteri.

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