Ricordo di Francesca Sanna Sulis: una manifestazione voluta dai circoli di Pavia e Como

di Sergio Portas

 

Che bel mestiere quello dello torico, altro che giornalismo! Che non fai neppure in tempo a renderti conto di un evento è già lo devi buttare giù in cento righe, che il giornale deve uscire l’indomani. Lo storico, no, può prendersela comoda, andare per biblioteche, scovare fonti  le più disparate, azzardare ipotesi mai veramente praticate da altri. Per decenni, talvolta. Lucio Spiga, che comunque è anche giornalista di successo (dal ’75 all’83 è stato direttore responsabile di Videolina) dice che per mettere insieme questo suo libro: "Francesca Sanna Sulis" ci ha lavorato per 42 anni. E’ qui in Como, alla biblioteca comunale, insieme con sindaci e assessori sardi, di Muravera e Quartucciu, Salvatore Piu e  Carmen Spiga,giornalisti del posto, rappresentanti dei circoli sardi di Como e Pavia, Tonino Mulas per gli altri circoli d’Italia. E’ arrivato qui seguendo il filo rosso che ha lasciato dietro di sé l’eroina del suo libro. Questa Francesca infatti nella Sardegna del lontano (ma neanche tanto) 1770 o giù di lì , lei era nata a Muravera nel 1716, esportava proprio a Como tutta la produzione della seta che proveniva dai telai che lavoravano nelle sue "aziende", seta di grandissima qualità, in grazia del clima particolarmente temperato che faceva schiudere i bozzoli con due mesi d’anticipo rispetto alle produzioni del continente. Stante i venti africani che già a fine febbraio fanno sentire il loro fiato caldo sul litorale cagliaritano. L’isola nostra non era da molto che aveva regalato ai Savoia la possibilità di diventare re, dopo che gli spagnoli se l’erano fatta scippare da Maria Teresa d’Austria, un’altra donna  abituata ad esibire attributi maschili pur velati da gonne e crinoline. La seta sarda vestiva soprattutto la grande nobiltà del tempo, c’è al museo dell’Ermitage di Pietroburgo un ritratto della grande ( per antonomasia)Caterina, zarina di tutte le Russie, con un abito ideato dalla nostra Francesca che pur non essendo regina né zarina è stata comunque una figura di spicco nell’ambito del nostro paese e della Sardegna in particolare. Che merita anzi che di lei si indaghi anche negli archivi comaschi e milanesi, non solo in quelli sardi come ha operosamente fatto Lucio Spiga: a sentir lui ha tradotto dallo spagnolo qualcosa come 3327 documenti. Dallo spagnolo ovviamente che gli Aragonesi avevano governato, si fa per dire,l’isola nostra nei trecento anni passati, lasciando dietro di sé un popolo decimato dalla malaria, con numeri di abitanti che si avvicinavano a quelli del tempo di Roma imperiale, e con percentuali di analfabetismo intorno al novanta per cento. Sapevano leggere  e scrivere i preti e i "nobili", maschi ovviamente. E qualche donna di nobile famiglia: questi Sulis antenati di Francesca hanno grandi possedimenti in Muravera e quando lei va sposa diciannovenne a Don Pietro Sanna Lecca, dottore in giurisprudenza di fama nazionale che  sarà chiamato dalla reale casa Savoia a riunire in un solo testo tutte le leggi che dette maestà avevano editto per la Sardegna, diventa ancora più potente. E non si limita ad amministrare i suoi beni quando il marito è a Torino, alla corte di Vittorio  Amedeo terzo, ma si fa imprenditrice di gelsi e bachi da seta, di maestranze savoiarde che vengono ad istruire le ragazze del posto , dei telai di ultima generazione a cui dette operaie erano legate  a filo doppio (è il caso di dirlo), in quanto spesso costituivano la dote che veniva loro riservata allorché trovavano un marito per il resto della loro vita.  Secondo  il disegno della mente di dio ovviamente, visto l’alta mortalità delle puerpere, dei bimbi piccoli e non solo: non era raro il caso che ci si sposasse , due, tre volte, che dei sette, dieci figli nati vivi ne sopravvivessero due o nessuno.  Quella medesima legge che Darwin avrebbe così bene spiegato in seguito, per cui sono i cromosomi degli individui più forti a restare vivi in un regime di scarsità di risorse, e che ci sorprende ora davanti al numero apparentemente inspiegabile dei centenari sardi, agiva allora con l’inesorabilità che la contraddistingue. E la falce della morte mieteva i più deboli come fossero spighe di grano immaturo. Anche i due figli maschi di Francesca Sanna Sulis  premorirono alla madre che si spense alla bella età di 94 anni nel 1810. Questo significa che nella sua lunga vita ha potuto assistere ad avvenimenti epocali, non ultimo la testa di un re di Francia, e della sua regina, rimbalzare sul cesto di vimini posto sotto l’affilata invenzione di Messier De Guillotin . E poi la nascita politica di quel "fulmine che tenia dietro al baleno" di manzoniana memoria,di quel corso la cui città natale, Bonifacio, si può scorgere ogni giorno dalle coste di Gallura. Che si sarebbe assiso a imperatore d’Europa. Lei comunque avrebbe continuato nella sua opera, vedova, intrattenendo rapporti d’affari con le teste fini dell’imprenditoria comasca. In ispecie col conte Giorgio Giulini, poliedrica figura di nobile lombardo che si muoveva nell’ambito milanese, avrebbe scritto un’opera in sedici volumi sulla storia di Milano, ma fu anche scrittore di teatro, musicologo, insomma un altro rappresentante di quel genio italico che sa operare bene in ogni campo in cui voglia muoversi. Ed è proprio all’archivio Giulini che fa cenno il giornalista Alberto Longatti, della "Provincia" di  Como, quando parla di un filo di seta che lega la sua città alla Sardegna. E che vale la pena di consultare a fondo in un prossimo futuro, per continuare a scrivere la bella storia di Francesca Sanna Sulis. Lei si comportò come dovrebbero tutti gli imprenditori che fanno grande fortuna anche in grazia del lavoro degli altri. Tutto( o quasi) lasciò ai poveri . Il suo testamento, fedelmente riportato anche in lingua spagnola,è una delle pagine più toccanti del libro:"In primo luogo ordino e comando che si dia sepoltura al mio cadavere nel modo più semplice e senza pompa alcuna una volta che io muoia nel paese di Quartucciu…". San Francesco  d’Assisi non avrebbe saputo dire meglio. E ancora:"I beni del Sarrabus, terre e tanche (e vigne e giardini e case), è mia espressa volontà,si divida tra quei poveri di detta Villa di Muravera i più necessitati preferendo quelli di migliore estrazione e di buoni costumi…". Ogni anno, per esportare la seta e gli abiti che confezionava, doveva noleggiare sei golette (altro che Tirrenia!). Il conte Giulini finì per pretendere l’esclusiva della produzione e fece con la seta sarda un sacco di soldi, oltre quelli che già possedeva di famiglia, loro era la villa che avevano tratto dal monastero benedettino di san Martino in Arcore, poi finita ai marchesi Casati e ora nelle mani (almeno finché non venga definita la sentenza di divorzio)del nostro presidente del Consiglio. Grazie all’opera meritoria dell’avvocato Cesare Previti. Che riuscì a comprare per cinquecento milioni (di lire) una villa, con annesso giardino, che ne valeva sei miliardi, allora. Francesca Sanna Sulis era solita confezionare, con le sue operaie, una cuffietta di seta molto particolare:"su cambùsciu" e da allora ogni abitante di Quartucciu è:"Quattu
cciàu?, cambùsciau". Lì le hanno dedicato la biblioteca comunale . Ma, a mio avviso, è la Sardegna tutta che deve  trovare il modo migliore per dare risalto alla figura storica di questa sua figlia che si inserisce in maniera ottimale in quel secolo dei lumi che ha visto la nascita della modernità come noi la conosciamo. Anche lei è stata una "illuminata", capitano d’industria di grande successo quando tutta l’imprenditoria era rigorosamente maschile, attenta all’istruzione femminile, a che le sue operaie avessero dote per sposarsi. Attenta ai bisogni dei più poveri. Una vera santa laica in una Sardegna capace, allora, di attirare manodopera  
specializzata dal continente e di esportarvi  prodotti di altissima qualità. Una Sardegna di sogno.

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