Paesi sempre più poveri e spopolati in Sardegna. Crescono solo i centri abitati in zone costiere

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Piccoli paesi che si spopolano, il reddito che cresce solo nelle città o nei centri costieri e l’aumento degli abitanti dovuto quasi esclusivamente ai flussi migratori. Negli ultimi otto anni la Sardegna ha assunto una fisionomia diversa: è invecchiata, è diventata meno prolifica e soprattutto i sardi si spostano sempre più verso le zone costiere, dove il turismo fa da volano allo sviluppo. Il quadro emerge da uno studio realizzato dal Centro studi dell’Unione Sarda: i dati Istat sulla popolazione residente nell’isola sono stati messi a confronto con quelli sul reddito pro capite elaborati dal Centro studi Sintesi e pubblicati anche dal Sole 24 Ore. Ebbene, il quadro è chiaro: i piccoli centri, ma anche quelli di media dimensione (tra 1000 e 2000 abitanti), si spopolano anche perché il reddito di ogni singolo residente è rimasto quasi inalterato, o forse è anche diminuito negli ultimi anni se si tiene conto dell’andamento dell’inflazione. Non solo. Se nel Cagliaritano si rileva un incremento dei flussi migratori verso l’hinterland del capoluogo, nel resto dell’isola si assiste a un continuo flusso dal centro verso la costa. Dal 1999 al 2007, il periodo preso in considerazione dal rapporto realizzato dal Centro studi dell’Unione Sarda, la popolazione residente in Sardegna è cresciuta di 17.525 unità. «Tale crescita», è il commento degli esperti guidati da Franco Manca, direttore del Centro studi, «deriva esclusivamente da flussi migratori dato che il movimento naturale (nati meno morti) è costantemente negativo». In altri termini, la popolazione invecchia, nascono pochi bambini e sono gli immigrati a sostenere l’aumento dei residenti. L’analisi demografica comune per comune conferma inoltre lo spopolamento dei piccoli centri. Quelli con meno di 500 abitanti sono cresciuti di numero negli otto anni presi in considerazione. La maggior parte, inoltre, è concentrata nella provincia di Oristano, ma la crisi vera è quella dei paesi che hanno tra 500 e 1000 abitanti e tra 1001 e 2000 residenti. Se la prima fascia cresce di numero (i Comuni con una popolazione compresa tra 500 e 1000 erano 65 nel 1999 e sono diventati 73 nel 2007), nel secondo caso (tra 1001 e 2000 residenti) si è passati da 107 a 92. È il segno dello spopolamento costante dei centri che finiscono per essere inglobati progressivamente nella fascia inferiore. Solo due paesi infatti fanno segnare un’inversione di tendenza e sono Girasole e Telti, mentre per registrare incrementi di popolazione bisogna arrivare a centri con oltre 50 mila residenti (è il caso di Olbia, per esempio). Tanto più che anche la fascia tra i 2001 e i 5000 abitanti vede diminuire non tanto il numero dei comuni ma quello dei residenti (6.395 persone in meno), così come i centri che hanno una popolazione compresa tra 5001 e 10.000 unità registrano anch’essi una diminuzione di 1848 persone. A fronte di un progressivo spopolamento delle zone interne, si evidenzia invece una forte concentrazione in alcuni centri. Il 25% dell’intera popolazione regionale, infatti, risiede a Cagliari, Sassari, Quartu Sant’Elena e Olbia (1% dei comuni sardi). «Per contro», rilevano gli esperti del Centro studi dell’Unione Sarda, «i comuni con meno di 1.000 abitanti, che rappresentano il 30% del totale in quanto al numero, ospitano il 4% dell’intera popolazione sarda e guadagnano appena il 3% del reddito regionale». Il reddito pro capite dunque è senza dubbio più alto nelle città capoluogo o nei centri costieri, proprio quelli che vedono aumentare i residenti. E la tendenza della popolazione, aggiunge Franco Manca, direttore del Centro studi, «è quella di trasferirsi nelle città di maggiori dimensioni». Se poi si va a vedere la differente dinamica demografica tra comuni costieri e non, si rileva che nelle zone balneari sono 45 i paesi dove aumentano gli abitanti, mentre in 27 diminuiscono. Infine, nelle zone interne, 255 centri vedono calare la popolazione a fronte di 50 comuni che registrano un incremento. Le dinamiche della popolazione, dunque, sono strettamente legate ai guadagni dei sardi. Nel 2007 il reddito annuale per ogni sardo era pari a 8.526 euro, circa 700 euro in più di quanto si percepiva nel 1999. Se questo è il dato regionale, però, le cose cambiano quando si esaminano le dinamiche comune per comune. In quelli più piccoli (fino a 500 residenti), il reddito medio per abitante è peggiorato rispetto al 1999, con una diminuzione del 2,7% (era 5.734 euro nove anni fa e nel 2007 è diventato invece 5.577 euro). Nei paesi fino a 1000 abitanti, invece, l’incremento registrato è stato lievissimo (1,2%): poco più di 60 euro. Infine, nei centri che hanno una popolazione compresa tra 1001 e 2000 abitanti, il reddito medio pro capite è cresciuto in otto anni di circa 200 euro, attestandosi nel 2007 a 6.032 euro. Aumenti che forse non bastano neanche a coprire l’incremento dei prezzi. Solo nei comuni più grandi, quelli tra 20.000 e 50.000 abitanti, si registra un reddito medio pari a 9.742 euro, quindi superiore alla media sarda, mentre a oltrepassare i 10.000 euro di reddito annuale pro capite sono solo i capoluoghi di provincia. Differente infine la dinamica dei redditi nei comuni costieri, dove il reddito medio pro capite è stato, nel 2007, pari a 9.905 euro, il 16% in più della media regionale. Non solo. In questi paesi si nota un aumento dei guadagni annuali in 69 comuni (il 95,8%), mentre in quelli non costieri la diminuzione del reddito ha riguardato addirittura 134 paesi (il 43,9%). «Appare del tutto evidente», è la conclusione del Centro Studi, «come l’andamento del reddito nei comuni costieri, anche più piccoli, sia decisamente migliore rispetto ai comuni non costieri e anche alle grandi città, a conferma del fatto che il settore turistico rappresenta una grande opportunità».

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