di Massimiliano Perlato
Il cibo è storia. Per lungo tempo la storia dei Sardi è stata soprattutto storia del grano, da cui essi hanno tratto il principale nutrimento, il pane; ed è anche storia di quei popoli che nel corso di alcuni millenni, attraverso i rapporti perlopiù di dominio, di quel grano si sono appropriati. Dalla grotta "Sa ucca de su tintirriolu", sito di epoca neolitica nel territorio di Mara (SS), provengono i più antichi cereali ritrovati in Sardegna. Depositi di grano e orzo di epoca nuragica sono stati rinvenuti in diverse località dell’isola (Nuraghe Genna Maria di Villanovaforru, Nuraghe Durdole di Orani). Fu proprio la presenza del grano a richiamare in Sardegna i punici, che vi stabilirono le loro colonie. Nel I secolo ac Cicerone indica la Sardegna, insieme all’Africa e alla Sicilia, tra le fonti di approvvigionamento di cereali per lo stato romano. Le fonti ricordano anche i frequenti abusi fiscali subiti dai sardi ad opera dei governatori dell’isola. Depositi per lo stoccaggio esistevano nelle città costiere. Un insediamento era prossimo al porto di Cagliari, a Cellarius (dal latino Cella = granaio, Selargius), dove in grandi magazzini si ammassavano i cereali provenienti dalle pianure dell’entroterra e destinati all’esportazione. La toponomastica medievale, ricca di toponimi come Orrea, Argiolas, Laores, fa ritenere che la coltura dei cereali fosse praticata, seppure in misura diversa, in tutta l’isola. Risalgono all’epoca giudicale, ai secoli tra il XI e XIII, i primi documenti "sardi": Contaghi, Carta de logu, Carte volgari che contengono notizie sull’organizzazione produttiva e sociale delle campagne. Principale risorsa dell’isola, il grano veniva scambiato in varie forme: baratto, commercio, dono. Fungeva anche da moneta e merce di scambio nella retribuzione di prestazioni di lavoro ed in generale nelle transazioni economiche locali. Si sviluppò così a Cagliari, ma anche ad Alghero e di riflesso a Sassari, una fiorente colonia di mercanti genovesi, catalani, valenziani e maiorchini interessati a diverse attività: e sul grano che si concentrerà il commercio più fiorente, perché il grano sardo era particolarmente ricercato per la qualità e il basso costo. Lo sviluppo della cerealicoltura sarda doveva tuttavia fare i conti con l’irregolarità dei raccolti, che spesso si traduceva in vere e proprie carestie a cui si aggiungevano le invasioni di cavallette, la siccità, le pesti. Il prezzo del grano veniva fissato d’imperio. Per poter esportare era necessario ottenere una licenza chiamata "saca". Il prezzo subiva forti variazioni da un anno all’altro e da regione a regione. Se ad esempio, nel 1353 nell’Arborea, il grano costava 5-6 soldi a starello, in territorio sottomesso d’Aragona, ne costava più di 8. Sulla proprietà delle terre da grano si sono costruite in grande misura le gerarchie sociali, fin dall’epoca giudicale. I contadini hanno provato ad attenuare la durezza delle proprie condizioni di vita, unendosi in corporazioni. Dalla condizione dei cereali dipendeva innanzitutto la vita stessa delle popolazioni dell’isola, la cui sopravvivenza fu insidiata per secoli da terribili carestie, dovute a condizioni climatiche avverse e a devastanti infestazioni di cavallette. Associate nella memoria dei sardi ai cosiddetti "anni della fame", le carestie seminavano morte nei villaggi, fino anche a determinare lo spopolamento e l’abbandono, e scatenavano ricorrenti "moti del pane" fra le plebi urbane affamate. Proprio per far fronte alla perenne aleatorietà della produzione granaria e per sottrarre i contadini alla dipendenza del prestito usuraio, a partire dalla seconda metà del 600 sorsero nelle comunità rurali i Monti granatici, destinati alla produzione, allo stoccaggio e al prestito di grano e orzo. Le scorte annuali di grano delle famiglie erano però esposte al furto e al danneggiamento. A difesa della tranquillità della vita nelle campagne, e in particolare per proteggere i campi di grano da irruzioni e sconfinamenti di pastori e greggi, le comunità si dotarono di un corpo di polizia rurale, il barracellato, pienamente attivo sino ad oggi.