Giù il crocefisso dal muro: dietro la sentenza di Strasburgo, un muro di silenzio

di Mariella Cortès (nella foto Mariella Cortès)

 

Cosa c’è dietro la dibattuta e repentina sentenza della corte di Strasburgo?  In questo caso vi è la stessa cosa che si può trovare dietro il tanto discusso crocefisso, il muro. Strasburgo sentenzia e l’Italia china il capo senza batter ciglio appigliandosi, in buona parte dei casi, al principio di laicità e al relativo articolo della Costituzione Italiana. Ma non è questa la giustificazione né tale sentenza va intesa come un passo verso il progresso o come una maggiore integrazione all’interno dell’Unione Europea. La decisione di abolire il crocefisso dalle scuole è un colpo di piccone a una parte fondamentale della nostra storia. La più importante. Si parla spesso di  integrazione culturale, razziale, religiosa ma si cala un velo insormontabile nel momento in cui ci si ritrova a dover difendere la propria identità. E qua, attenzione, andiamo oltre il discorso religioso. Si può essere credenti, atei o agnostici ma negare di esser profondamente legati alla religione cristiana, equivale a negare il nostro essere europei. Lutero abolì le icone e spogliò le chiese di tutta la magnificenza di altari e statue di gusto classico, barocco o rinascimentale che ornavano la navata delle chiese  ma il crocefisso rimase al suo posto. Segno della fede, legame con il passato. È una storia che va avanti da duemila anni. Possibile ci sia voluto solo un decreto per distruggerla? Mi viene automatico, soprattutto in vista delle recenti celebrazioni, il paragone, all’inverso, con il muro di Berlino. Con la differenza che quando vent’anni fa si abbatteva il simbolo di una guerra ideologica prima ancora che materiale, l’umanità faceva un grosso passo avanti, guardava fiera al progresso e al futuro lasciandosi alle spalle i tremendi anni dei conflitti mondiali. Ecco, noi ora ricostruiamo il nostro personale muro di Berlino. Personale perché accettando a testa bassa la sentenza di Strasburgo ci stiamo relegando, silenziosamente dall’altra parte del muro quasi vergognandoci di essere quello che siamo. Oriana Fallaci ci aveva visto giusto. E, da "atea cristiana", come si definiva, aveva condannato il nostro ripudio silenzioso della religione cristiana, intesa come storia, in virtù del tacito assenso. Ma non è un nuovo paganesimo ad attenderci dietro l’angolo. E il tutto non va visto come una critica ai recenti fatti che hanno avuto come protagonisti i credenti musulmani. Di certo, loro non l’avrebbero mai permesso. Non avrebbero mai approvato ritenendola, invece, un’offesa alla loro società. E non parlo degli estremisti. Parlo dei credenti moderati, quelli che ogni giorno si inchinano in direzione della Mecca e che portano avanti il loro credo senza scendere a compromessi. I monaci tibetani manifestano in piazza a costo della vita per  difendere il proprio diritto alla libertà. E noi, non solo accettiamo, ma puntiamo il dito verso chi si oppone. In molti vedono la fede cristiana come una semplice istituzione. In realtà è un mattone portante della nostra storia comune che traspira ancora in tutta la nostra società. Dietro un crocefisso ci sono storie di uomini, c’è la storia dell’arte e della letteratura, ci siamo noi. E come in ogni storia va accettata e ricordata con le negatività e le positività che essa trascina con sé senza farla però finire nel baratro di un semplice "si".

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