1989 – 2009, a vent'anni dalla caduta del muro di Berlino: celebrazioni di un fallimento

di Omar Onnis

 

Alla fine è arrivato. Il ventesino anniversario della caduta del Muro. Sì, perché per chi quei fatti li ha vissuti o anche semplicemente visti accadere in contemporanea, quello era il Muro con la maiuscola. Erano giorni di fervente attesa. Dopo quattro anni di Gorbachov al potere in URSS se ne erano già viste e sentite tante, specie nell’ultimo periodo, che l’evento in sé, per quanto incredibile potesse sembrare al momento, era maturo da mesi. E lì per lì la gioia e la sensazione di un peso che cadeva dallo stomaco della vecchia, cara Europa prevalevano su tutto il resto. Non c’era nemmeno tutta quest’ansia di decretare la fine del comunismo. Era qualcosa di più umanamente basilare, un senso di affettività verso la storia, di riconciliazione con una parte di noi stessi. Ma naturalmente, gli spin-doctor e i grandi affaristi per i quali lavoravano, ossia quelli che già avevano in mano i paesi ricchi, autoproclamatisi vincitori della guerra al "socialismo reale", erano all’opera da tempo per ammannirci una delle più grandi operazioni di egemonia culturale e di imposizione ideologica della storia umana. Tra la "fine della storia" conclamata dal politologo Francis Fukuyama e la conquista della ribalta da parte della "globalizzazione" ci sono più nessi di quanto si posa supporre a prima vista. Il tutto, naturalmente, legato a una brutale imposizione di sistemi produttivi e speculazioni a vasto raggio di cui oggi possiamo ben dire di vedere alcune conseguenze macroscopiche, ma che erano già abbastanza chiare, nelle loro linee tendenziali, sin dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso (leggere Il secolo breve di  E. Hobsbawm per credere). Guerra, devastazioni ambientali (queste sì veramente globali), erosione dell’apparato di diritti e libertà civili conquistati a partire dalla Rivoluzione Francese, crisi economiche e politiche, sono tutti frutto di tale gloriosa vittoria del "mondo libero" (come enfaticamente, specie negli USA, da tempo amano definirsi i privilegiati del pianeta). Le conseguenze del passaggio di fase dovuto alla caduta dell’URSS (più ancora che a quella del Muro, mero simbolo dal significato sovradimensionato) si sono manifestate con una certa celerità. La prima Guerra del Golfo, la "Tangentopoli" italiana, la finanziarizzazione spinta e senza remore dell’economia mondiale, sono alcuni epifenomeni che, in ambiti diversi, possono esservi ricondotti. Il mondo si è incamminato verso un destino ignoto e difficile da prevedere, dopo decenni di apparente e confortevole stasi (confortevole per alcuni, non per tutti, ovviamente). In generale, comunque, quella della guerra fredda è stata l’epoca del maggiore progresso che, in ogni campo, l’umanità abbia mai conosciuto. Anche, e non secondariamente, perché sulla scena storica all’ideologia dominante, e al sistema capitalista che ne era la struttura portante, si affiancavano, in termini dialettici, altri attori. Il grande spauracchio del comunismo ha fatto in modo che i paesi democratici a economia capitalista abbiano dovuto accogliere per forza di cose dei regimi di tipo grosso modo keynesiani, comunque aperti a pratiche di riformismo politico che attenuavano gli effetti deleteri connaturati nel capitalismo in quanto tale. Questo ha consentito indubbi progressi civili e sociali in una ampia area del mondo. Contemporaneamente, è stato possibile per molti paesi e molti popoli avviare un processo di emancipazione storica che altrimenti avrebbe avuto vita ben più dura. Quel che sia stato di tali processi è altra faccenda. Molto di quanto sta capitando adesso, specie di negativo, è addebitabile a questa fase di transizione post-Muro in cui ci traviamo a vivere. Come tutte le fasi di transizione, anche questa comporta una vasta e assortita congerie di traumi e sofferenza per la parte più svantaggiata dell’umanità. La cosa che sembra di poter dire con una certa sicurezza, alla fin fine, è che la storia non è finita affatto e che, comunque si evolvano le cose, sarà ancora a lungo necessaria la presenza sulla scena della storia degli apparati politici di tipo statale, magari avviati verso una evoluzione di tipo comunitarista e reticolare, chissà. Certo, non potremo più affidarci con la coscienza a posto all’illusione che siano meccanismi virtuosi automatici connaturati nel capitalismo puro a guidare l’umanità verso la propria sopravvivenza su questo pianeta, e nemmeno a garantire benessere e libertà alla maggioranza della popolazione umana. Il Muro (e ciò che rappresenta) è caduto più in nome del consumismo che della libertà politica. In questo senso è stata una indubbia vittoria del capitalismo, più che dei diritti umani e  delle libertà civili. Non mi sento di accodarmi al coro dei trionfatori sul grande nemico, il comunismo. Sarà una grandiosa messa in scena mediatica, priva di referente storico e volta essenzialmente a legittimare l’esistente, specie nei suoi aspetti più deleteri. Preferisco riflettere su quanto ci sia ancora da fare per rendere il mondo un posto migliore per i tanti nostri simili esclusi da qualsiasi possibilità di vita dignitosa e libera e per evitare che questo pianeta diventi ben presto un deserto inospitale.

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