Intervista a Luca Pusceddu, protagonista de "L'arbitro" di Paolo Zucca: la sardità? Una condanna

di Cristina Muntoni (nella foto Luca Pusceddu)

 

A Tavolara lo hanno scambiano per il fratello di Neri Marcorè e i cineasti in piazzetta a Porto San Paolo, mirto e caipirinha alla mano dopo le presentazioni sull’isola, gli lasciano intendere che prima o poi potrebbe avere una parte accanto al presentatore della ultima edizione del festival di Tavolara. Ma non è per questo che Luca Pusceddu, 37 anni, non smette di ridere. Il protagonista oristanese de "L’arbitro", il film di Paolo Zucca premiato come miglior cortometraggio al David di Donatello 2009 e vincitore del Festival Internazionale Clermont Ferrand, ride perché è sempre di buon umore. "Come non esserlo?", chiede in una delle notti senza luna del festival, dove il corto che ha interpretato – uno sguardo in bianco e nero e in salsa western nel mondo corrotto del calcio – è stato portato direttamente dal Los Angeles Film Festival. Unico italiano tra i 45 corti finalisti, "L’arbitro" ha concorso in quello che è considerato uno dei più importanti appuntamenti americani per il cinema indipendente, insieme al Sundance e al Tribeca di New York.
Vive in Inghilterra da 15 anni ed è appena tornato da Los Angeles. Com’è il cinema italiano visto da fuori?

Difficile da dire: in Inghilterra il cinema italiano si incontra poco. Negli ultimi due anni però lo vedo bene, sto pensando al cinema coraggioso di "Gomorra" e a "Il Divo" che sono un incentivo alla commedia nel senso greco del termine.

La commedia nel senso "vanziniano" del termine, invece, è il genere protagonista del festival, quest’anno. Per difenderlo è stato citato Totò e tutto il cinema che è stato sottovalutato appena nato e rivalutato a distanza. Oggi cosa stiamo sottovalutando?

Più che sottovalutando, oggi ci stiamo ritrovando. Penso al Neorealismo e a tutti i film di qualità che si stanno facendo con molte idee e poche lire,come Pranzo di ferragosto e come "L’arbitro". Poi, è normale che a distanza si rivaluti un film in base alla prospettiva storico-culturale in cui quel film era nato.

Da sardo, come vede il modo spesso grottesco in cui il cinema racconta la sardità?

E’ una condanna. Mi rincresce ad esempio che un esponente di questo festival, a proposito de L’arbitro, abbia detto che non si poteva non tributare un omaggio alla "quota sarda". Una frase infelice. Questo corto di "sardo" ha poco. La ricerca etnografica che ha fatto Zucca non è fine a se stessa, è usata come una pennellata stilistica per raccontare delle metafore, sulla scia dell’ironia alla Beckett e del teatro dell’assurdo.

Quali registi sardi le piacciono?

Paolo Zucca, Salvatore Mereu e Antonello Grimaldi.

E fuori dall’isola, con quali registi italiani le piacerebbe lavorare?

Il sogno di una vita è Nanni Moretti e poi mi piace sempre di più Kim Rossi Stuart.
Adesso tornerà nella sua casa, in Inghilterra. Il suo futuro è lì?

Spero in Italia. La creatività e l’espressività che mi appartengono sono realizzate più qui. L’Inghilterra però è più meritocratica.

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