Tottus in Pari, 259: i "big" della musica sarda ad Alessandria

Sarà Alessandria la capitale della musica sarda alla fine del mese di settembre. E tutto il pregio è del circolo degli emigrati sardi "Su Nuraghe" che ha sede nella città piemontese. Una immolazione mastodontica quella del sodalizio guidato da Efisio Ghiani, presidente del circolo, originario di Bauladu (OR), che per solennizzare al meglio il trentennale dalla fondazione del "Su Nuraghe" è riuscito a condurre sul territorio in  epoca lontana facente parte del Regno di Sardegna, personaggi di straordinario impatto musicale nell’isola come la band dei Tazenda, conosciutissimi anche in tutto il Belpaese per le loro performance sanremese e le grandi collaborazioni con i big nazionali delle sette note. Il gruppo che dopo la morte di Andrea Parodi ha riscoperto una seconda giovinezza, sarà in concerto nella serata del 26 presso l’ampio spazio verde che fa cornice alla sede del circolo, in via Sardegna 2 (il nome dell’ubicazione, da profano, penso che sia una coincidenza). Ma ancor più spettacolare la serata di domenica 27 quando "tutte insieme" (termine a noi molto caro, vedi tottus in pari), è il caso di dirlo, saliranno sul palco di Alessandria tre prime donne dell’etnofolk sardo come Maria Luisa Congiu, Maria Giovanna Cherchi e Carla Denule. Sarà compito arduo dell’esperto presentatore televisivo Giuliano Marongiu amministrare gli spazi e le note musicali delle tre star della nottata, con qualche interludio dell’acre timbro delle launeddas di Roberto Tangianu. Un rendez-vous considerevole che rimarrà nella storia per il circolo "Su Nuraghe"  che come proferisce il presidente Ghiani, eletto nel febbraio scorso, cerca di rinnovarsi e di avvicinarsi sempre di più ai propri iscritti e al territorio. Il nostro obiettivo, rammenta Ghiani che dimora nella vicina Tortona ed è maresciallo dei Carabinieri, è quello di creare sinergia positiva tra la cultura sarda e la città di Alessandria. Il trentennale del circolo "Su Nuraghe" sarà ornato da altri momenti culturali di rilievo nell’ultimo fine settimana di settembre: sabato 26 alle ore 16 si terrà una conferenza sulla viticoltura sarda con una rassegna di vini orchestrata dal somelier Gilberto Arru. Nella seconda parte del pomeriggio ci saranno delle degustazioni dei prodotti enogastronomici del Gal Montiferru. Spazio agli emigrati sardi nel secondo convegno che si terrà domenica 27 alle ore 10.30 in cui si parlerà della realtà dei circoli dalla loro nascita sino ai giorni nostri. Il confronto fra generazioni e le aspettative per il futuro sarà l’argomento essenziale. Da cornice alle feste del circolo, pranzi sociali e la messa che verrà celebrata dal vescovo della diocesi di Alessandria, monsignor Giuseppe Versaldi. L’atto conclusivo al termine del concerto al femminile denominato "Note di donne", con lo spettacolo pirotecnico dei fuochi d’artificio.

Massimiliano Perlato

 

UNA SFIDA PER I SOSTENITORI, A PAROLE, DEI DIALETTI PAVESI

SANT’AGOSTINO CELEBRATO IN SARDO

Dal 16 settembre 2007, per decreto del vescovo di Pavia, sant’Agostino è stato  elevato a compatrono, con san Siro, della città di Pavia. Questa decisione  fu salutata con entusiasmo dai sardi-pavesi per intuibili ragioni storiche e affettive. Come si sa, le spoglie del santo furono riscattate "a gran prezzo" dai saraceni per interessamento del pio re longobardo Liutprando tra il 720 e il 725 e fatte trasportare a Pavia da Cagliari. Il circolo culturale sardo "Logudoro" ha da sempre tenuto vivo il ricordo della traslazione dei sacri resti del santo ed ha evidenziato il vincolo interculturale che con questo evento si è creato tra la Sardegna e Pavia e l’intera Lombardia. È innegabile che l’azione del "Logudoro" è alla base della ripresa del rito tradizionale della memoria di questa storica  traslazione  fissato, secondo una consuetudine plurisecolare, nell’ultimo giorno del mese di febbraio. Due anni fa, autorevoli personaggi pavesi (autodefinitisi "sansiristi") polemizzarono contro la scelta del vescovo e si corse  il rischio che san Siro diventasse  il patrono dei pavesi doc e sant’Agostino divenisse  il patrono dei pavesi non autoctoni. Nell’occasione non mancò, per fortuna, un equilibrato invito a  praticare la virtù della "tolleranza". La saggezza "popolare" pavese fu espressa in dialetto da un poeta locale, il quale lasciò intelligentemente intendere che, dopo tutto, affiancandogli sant’Agostino, il "Signur" (Signore) aveva voluto dare una "män" (mano) a un san Siro demoralizzato ("mi da sul a gla fo pü"; io da solo non ce la faccio più). Già, il dialetto e la sua capacità di comunicare i sentimenti popolari: terreno scivoloso, dicono alcuni, paventando che la  tutela e la valorizzazione delle lingue locali disgreghi l’unità nazionale. Personalmente sono sempre stato schierato in difesa della lingua sarda  e quindi non posso che augurarmi che gli  interventi di salvaguardia  del patrimonio culturale immateriale costituito dai dialetti stiano in cima ai pensieri dei politici e degli amministratori locali (le associazioni culturali interessate a queste tematiche nascono spontaneamente, non hanno bisogno di apporti "maieutici"). In realtà la vera sfida, anche in questo campo, è tra gli amanti dell’ "effimero" (parole al vento per un giorno) e quelli che ritengono prioritario puntare sugli investimenti strutturali, i cui risultati non possono manifestarsi se non a distanza di anni. Quindi ecco il guanto di sfida lanciato agli appassionati non di comodo e non di facciata dei dialetti pavesi  (qui viviamo e quindi qui produciamo cultura) dai sardi-pavesi, che provengono da un’isola che la propria lingua la difende da secoli.  In sardo non mancano da tempo  "gosos" (canti celebrativi dei santi) in onore di sant’Agostino. Ecco una quartina: "Dae Tagaste tenghestis / s’esser fisicu e reale / e sa grazia battesimale / in Milanu la recestis / in form’umana apparestis / incarnadu serafinu" (Da Tagaste hai avuto l’essere fisico e reale ma la grazia battesimale in Milano hai ricevuto. In forma umana sei apparso incarnato serafino). Quindi politici, amministratori, ideologi, a parole (italiane) sfegatati difensori, nel nostro caso, delle diverse varianti dei dialetti pavesi, adesso con coerenza raccogliete la sfida (non trovate la scusa che ve lo impedisce  il riferimento all’ "extracomunitario" sant’Agostino). Fate anche vo
i scuola. Non scoraggiatevi se il lavoro sarà duro e non vi darà grande visibilità. Le generazioni future vi saranno ancora di più grate per questo  disinteressato impegno. In Sardegna è  finalmente riconosciuto oggi il valore di chi si è  battuto per la tutela e l’uso della lingua sarda cinque secoli fa!

Paolo Pulina

 

DA SECOLI PATRONO DELLA SARDEGNA E ORA COMPATRONO DI PAVIA

IL NON FACILE COMPITO DI SANT’AGOSTINO

Nel 1897 il sardo mons. Efisio Serra pubblicò il volume  "Una pagina d’oro della storia ecclesiastica della Sardegna". Lo spunto all’autore era stato offerto dalla "ricognizione delle preziose reliquie di sant’Agostino in Pavia" operata  il 15 aprile 1884 dal vescovo pavese Agostino Riboldi.  La "pagina d’oro"  richiamata nel titolo è costituita dalle vicende  del corpo e delle vesti di sant’Agostino in Sardegna, prima e dopo la traslazione delle spoglie a Pavia. Non mancano però diverse pagine dedicate al racconto della collocazione delle reliquie del santo  nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro e all’amore dei pavesi nei confronti del santo e dei suoi resti. Scrive mons. Serra: "L’affetto e la venerazione di quei cittadini verso il gran Santo e verso la monumentale Basilica che conteneva la sacre spoglie di lui, crebbero a dismisura, a tal che gli scrittori delle memorie di quell’epoca ne dicono, che allorquando i Pavesi s’arresero allo Sforza, compresero fra gli altri patti il libero accesso alla loro prediletta basilica, onde attingere conforto e ritemprare le loro credenze al glorioso sepolcro di S. Agostino". Aggiunge il nostro autore: "Dicono quelle memorie come i buoni Pavesi con a capo il Comune e il Podestà, non tralasciavano di recarsi processionalmente ogni anno nel giorno sacro a S. Agostino a S. Pietro in Ciel d’oro, con molti strumenti musicali in segno di festa, offrendo al S. Dottore diversi pallii di brocato il più ricco, i quali, per averne già molti l’attiguo monastero, spiegavansi nella annuale festività ed in quella di S. Pietro cui la Basilica e il cenobio erano dedicati". Mons. Serra descrive infine con parole di grande ammirazione l’arca che i pavesi hanno voluto erigere a glorificazione eterna delle spoglie del santo, "impareggiabile monumento di religione e di scultura di marmo bianco, ammirabile per la sua grandiosità ed eleganza". Se in Sardegna  furono conservate le vesti – nota però mons. Serra – all’isola "non è rimasta la consolazione di possedere una insigne reliquia del Santo  (dal 1500 scelto come patrono della Sardegna) dopo averne custodito il corpo per duecento e più anni" e per questo egli implora: "Deh, sorga dunque presto quella felice aurora dall’esimio vescovo di Pavia, per benigna concessione del glorioso regnante Pontefice, una insigne reliquia del grande Agostino, perché riposi accanto alle sacre vesti di lui che Cagliari va superba di possedere tuttora!" Il 28  febbraio 2008, a Pavia, in San Pietro in Ciel d’Oro, a distanza di più di un secolo,   la medesima invocazione è stata pubblicamente ripetuta da don Vincenzo Fois (rettore della Rettoria di Sant’Agostino a Cagliari, curatore nel 2003 della ristampa del libro qui citato) durante la celebrazione della messa in memoria della traslazione delle spoglie del santo. Lo scorso venerdì  28 agosto, alle ore 17, a sentire, in piazza San Pietro in Ciel d’Oro, il  complesso bandistico-musicale di Trezzo d’Adda (MI), che ha eseguito  un buon repertorio di musiche popolari – rinverdendo di fatto la tradizione di tributare l’omaggio al santo  "con molti strumenti musicali in segno di festa" -, ero l’unico spettatore sardo-pavese (gli altri erano ancora in meritata vacanza nei lidi natali). Spirava nella piazza una piacevole brezza e una signora così ha commentato: "Dopo venti giorni di caldo siciliano, finalmente un venticello tipico del clima sardo". Ho sorriso tra me e me: la signora non conosceva il proverbio sardo "Po sant’Agustinu, tirat  su levantinu" (Per sant’Agostino, spira il levante) ma nessun altro evento  (sia permesso il gioco di parole) avrebbe  potuto meglio simboleggiare  il legame simbolico tra Pavia e la Sardegna nel nome di sant’Agostino, che resiste anche se Cagliari non ha ancora  avuto una "insigne reliquia del santo".

Paolo Pulina

 

AD OTTOBRE, LA MANIFESTAZIONE DEL "QUATTRO MORI" DI OSTIA

LE GIORNATE SARDE

Il Circolo Culturale "Quattro Mori" nasce ad Ostia con una chiara funzione sociale: aiutare i sardi emigrati ad acquisire casa e lavoro e quindi integrazione nel tessuto sociale. Oggi che le realtà è in continua evoluzione si presenta la necessità di approntare iniziate e progetti per l’inclusione nell’ambito della società ove dimorano. Il circolo ha riorganizzato la proprio struttura e il suo operare in base ai nuovi bisogni; possiamo dire che il nuovo indirizzo è "Valorizzare le risorse della Sardegna per farle conoscere agli abitanti della zona ed aprire il circolo ai cittadini di Ostia. In virtù di questo il direttivo ha quindi elaborato un progetto ambizioso che sarà proposto durante "Le giornate sarde" che quest’anno arrivano alla settima edizione: dove valorizziamo la cultura, la storia, le tradizioni, il turismo, i prodotti tipici, il folklore della Sardegna. Nelle precedenti edizioni, abbiamo ottenuto un ottimo risultato sia di critica che di pubblico. Quest’anno nel palinsesto del progetto che presenteremo in ottobre 2009 ad Ostia, l’attenzione si è concentrata  sui progetti culturali "Pane, pasta e zafferano" e "San Giorgio Vescovo di Suelli". Nel primo caso si ripercorreranno le tradizioni dei nostri avi e nel secondo sarà presentato il percorso della vita del Santo nei paesi dove ha soggiornato. Arte e cultura, storia antica, folklore, cucina, tutto concorrere a fare delle Giornate Sarde  uno scrigno, dove nonostante il tempo, abbiamo saputo custodire queste perle rare e preziose. La manifestazione avrà luogo a Ostia nel mese di ot
tobre 2009 e avrà la durata di tre giorni presso la scuola elementare "Garrone" corso Duca di Genova.
Parte integrante dell’esposizione del Museo del Grano di Ortacesus a Ostia è la dimostrazione e la documentazione tramite le quali si ricompone il mosaico della vita e del lavoro del piccolo mondo contadino trexentese. Attraverso le parole e le voci,riaffioreranno i  ricordi, le sofferenze e le  gioie di quel mondo e ci forniranno le chiavi per riappropriarci delle nostre radici. La visita guidata al Museo del grano esposto presso la scuola "Garrone" Prevede: laboratorio di macinazione del grano con la mola asinara; laboratorio di setacciatura de su framentu sardu (lievito madre); laboratorio di manipolazione della pasta con realizzazione de su pani pintau; laboratorio di realizzazione de sa fregua e de is maloreddus; cottura del pane nel forno; pranzo a base dei piatti unici della coltura contadina: simbua fritta, simbua incasada, pani indorau e zuppa.

 

OTTAVA EDIZIONE "SU CONTIXEDDU" AL CIRCOLO SARDO DI BRESCIA

PREMIATI I VINCITORI BRESCIANI E SARDI

In coincidenza dell’inizio estate, nella bella cornice della Sala Don Andrea Recaldini, si è concluso con la cerimonia di premiazione dei vincitori, il concorso"Su Contixeddu";avvenimento letterario, tra i più importanti del circuito dei sodalizi sardi nella penisola, ideato e promosso dal Circolo Culturale Sardo di Brescia sempre guidato con entusiasmo culturale dal vitale e combattivo presidente Paolo Siddi di Sant’Antioco e dall’encomiabile segretario Giovanni Antonio Lai di Illorai. Evento giunto all’ottava edizione, si riconferma ulteriore occasione di confronto, di ascolto e di spazio per le tante voci liriche sarde e bresciane che alimentano, in un crescendo di qualificate partecipazioni, il mondo della poesia e della prosa identitaria. La cerimonia si è aperta con la consegna dei riconoscimenti della sezione speciale  "Bambini" e "Ragazzi", di cui ne segnaliamo il successo per il progetto innovativo che ha permesso di apprezzare la genuinità e freschezza di giovanissimi autori. Vincitrice della sezione è risultata Noemi Porcu (padre originario di Sedilo) di Cazzago S. Martino, con la composizione in italiano "La nonna", ai posti d’onore Roberto Medicato di Brescia e Nicol Manenti di Cazzago S. Martino. Assegnate segnalazioni a Daniele Crucitti, Leonardo Sandri, Patric Marian,  Eleonora Bonelli, Alessio Paloschi, Simone Rosa e Rebecca Doha Elhilali di Brescia. Tre i premi speciali: Francesca Patatu di Sassari (targa d’argento del Presidente della Provincia di Brescia) per il sonetto in italiano "Agli eroi della Brigata Sassari"; Martina Brufani di Brescia per il racconto in italiano "Un asinello sardo un po’ speciale" ed infine il riconoscimento agli alunni della V° Classe Elementare (Maestra Lucia Piccinotti) dell’Istituto Card. Bevilacqua di Cazzago San Martino per la poesia in bresciano "Na stèla nél ciél fosch". A seguire, l’attenzione e curiosità intellettuale del pubblico (la Sala era gremita ed ha legittimato la scelta operata dalla giuria composta dal presidente Salvatore Tola , dalla v. presidente Maria Rosa Bertellini e Liberata Stefanini, Egidio Bonomi, Anna Teresa Celeste, Gino Di Rosa, Simone Pisano, Vincenzo Pisanu,  Cristoforo Puddu, Paolo Pulina, Paolo Siddi e dal segretario del concorso Giovanni Antonio Lai) è stata catturata dalla declamazione degli elaborati premiati, che l’eccezionale versatile attore Sergio Isonni e gli stessi autori hanno saputo interpretare con intensità ed emozione. Nella sezione prosa in limba sarda ha trionfato Pasquale Ciboddo di Tempio Pausania (targa d’argento del Presidente della Provincia di Brescia), voce della tradizione gallurese degli stazzi, con il racconto "Lu juramentu falzu", secondo premio a Peppuccio Pilia Piras di Quartucciu e terzo a Gesuina Cheri di Castel Mella (BS) ed originaria di Sarule. Riconoscimenti a Luigi Tatti di Arbus, Renzo Rosa di Scano Montiferro e premio speciale FASI all’orunese Giuseppe Delogu, residente a S.Maria a Monte (PI). I riconoscimenti alla prosa in dialetto bresciano sono stati assegnati ai racconti di Giovanni Mazzoldi di Paderno Franc.ta e di Toni Paroli di Manerbio. Nei racconti in Italiano il primo premio (ex aequo) è stato attribuito a Maria Chiara Firinu di Iglesias, con una prova e riconferma da grande scrittrice, per la prosa "Tramonto" e a Francesca Gardenato di Desenzano dG. Rivoltella per "Gli occhi dell’amore eterno", secondo ad Adriano Zordan di Brescia e terzo a Vincenzo Calzia Pintor di Porto San Paolo (OT), mentre i premi speciali del Circolo sono stati assegnati a Franco Barroccu di Ravenna, con radici in Pattada-Bantine, e a Maria Laura Prinzis nativa di Mogoro e residente a Brescia; riconoscimenti a Piero Simoni di Gavardo, Daniele Ardigò di Soncino, Massimo Pasotti di Lumezzane, Angelo Facchi di Gottolengo e Margherita Alecci Scarpa di Desenzano-S.Martino dB. Per quanto riguarda la poesia in lingua italiana è risultata vincitrice Angela Nervi di Brescia, con la stupenda e suggestiva lirica "Sulle tracce del bisonte", seguita da Benito Croxatto di Brescia e Maria Cecilia di Fasano del Garda; riconoscimenti ai lombardi Giacomo Avanzi, Sandro Albertini, Gabriella Cantoni Bravi e menzione d’onore al sardo Giovanni Melis Onnis di Assemini. Il premio speciale, celebrativo del 70° anniversario della fondazione della Città di Carbonia, è stato meritatamente assegnato alla significativa lirica sul tema delle miniere "Maschere Nere" di Laura Ficco (nata a Genova) residente ad Assemini (CA), artista poliedrica che si sta affermando a livello nazionale. Altro premio speciale è andato assegnato alla nota poetessa bresciana Giuliana Bernasconi. Non sono mancate le piacevoli sorprese e conferme di qualità lirica anche nella sezione della poesia in limba, dove si è imposta una terna al femminile: primo premio a Rosaria Floris di Cagliari (trofeo il "Grosso d’Argento" del Sindaco di Brescia) per la composizione "Est tempus de torrare!"; secondo premio a Teresa Piredda Paoloni, residente a Perugia e originaria di Escolca, per la lirica "Su frutu prù bramau", che oltre alla pregevolezza dell’elaborato si è fatta apprezzare per l’intensa e coinvolgente declamazione dei versi; terzo premio a Rosanna Podda di Cagliari per la poesia "Ci ses…". Attribuiti riconoscimenti alle composizioni di Giovanni Agus di Villagrande Strisaili, Tore Deriu di Nuoro, Giuseppina Francesca Nieddu, nuorese, residente a S. Giuliano Terme (PI),  Giovanni Bellisai di Selargius, Giorgio Bulla di Cagliari e Giovanna Calvisi di Nuoro. Premi speciali per la  poesia in limba a Gesuino Curreli di Oliena e a Carla Caddeo di Brescia. Nella sezione poetica in dialetto bresciano ha trionfato Velise Bonfante di Desenzano-Rivoltella dGarda con la eccellente composizione "El grant e ‘l picinì", ai posti d’onore le liriche di Gigi Dainesi di Brescia ed Ernesto Guerini di Sale Marasino; menzione d’onore ai bresciani Adelio Finulli e Lina Bazzoni, segnalazioni di merito ai poeti Renato Laffranchini di Lonato e a Raffaello Spagnoli di Bovezzo. L’iniziativa è stata possibile per il patrocinio e sostegno della Regione Autonoma della Sardegna Assessorato al Lavoro, Provincia di Brescia, Comune di Brescia, Cred
ito Cooperativo di Brescia e la Federazione Associazioni Sarde in Italia (FASI).

Cristoforo Puddu

 

PROPOSTE AL PRESIDENTE CAPPELLACCI DAI CIRCOLI DEL BELGIO 

QUALE FUTURO PER I NOSTRI CIRCOLI?                                                                    

Vorrei aprire un dibattito sul futuro dei circoli sardi nel mondo, e in particolare dei circoli in Europa, e fare delle proposte per il futuro. Mi indirizzo al Presidente Cappellacci, visto che le pratiche per l’emigrazione, sono oggi di sua competenza. Da oltre 20 anni milito (é la parola giusta), nelle organizzazioni sarde del Belgio. Centinaia di altri fanno lo stesso nei vari circoli disseminati in Europa. Ho dedicato una parte importantissima del mio tempo libero, per il Circolo « Su nuraghe» di Mons, e per il Lavoro di segreteria della Federazione. Il circolo che presiedo, é riconosciuto con un decreto regionale della regione Sarda, da tantissimo tempo, e riceve «regolarmente» i contributi regionali, come prevede la legge 7/91. Tutti coloro che fanno attività volontaria nei circoli, occupano quindi il loro tempo libero, e non solo. Dovrebbe essere un allegro svago, dopo la settimana lavorativa. Invece il circolo diventa un impegno importante. I circoli del Belgio, rappresentano migliaia di corregionali: nelle associazioni esistono gruppi folk, che mettono in risalto le tradizioni della Sardegna e la sua immagine. Si promuovono e si vendono i prodotti della nostra isola, e nelle centinaia di manifestazioni valorizziamo la Sardegna dal punto di vista turistico, culturale e storico. Assistono i corregionali più anziani e deboli economicamente, cola presenza nelle sedi di vari patronati. I nostri circoli, in molte zone, sono l’unico punto di riferimento, per i sardi, e per altri connazionali. Molti circoli italiani sono stati chiusi, per l’invecchiamento dei dirigenti, che non hanno preparato nuove leve per sostituirli. Sono gli ultimi bastioni dove si parla il sardo e l’italiano, dove si ritrovano gli emigrati, dove si trasmette SU CONNOTU alle nuove generazioni, che non vogliono rompere il cordone ombelicale con la Sardegna! I nostri circoli, sono all’altezza delle nuove sfide? L’amministrazione Regionale, fa abbastanza per vincere queste sfide? I partiti politici in Sardegna, hanno la volontà di salvaguardare e rinforzare le organizzazioni sarde sparse in Europa?

Propongo: che il Presidente della giunta regionale, nomini una commissione (tre membri sono sufficienti), un rappresentante della consulta, un funzionario regionale che cura le attività dei circoli, e  una terza persona di fiducia del Presidente. Questa commissione, dovrebbe fare un’indagine conoscitiva dei circoli in Europa: visitarli, constatarne l’esistenza, il lavoro dei dirigenti, il ruolo nella società che li ospita. Capire insomma quali circoli devono essere aiutati a migliorarsi, partendo dal presupposto di non chiudere nessun circolo.

Propongo: che si organizzino all’interno dei circoli, dei corsi di formazione dei quadri dirigenti, dove un funzionario dell’ufficio emigrazione, da lezioni su come compilare le richieste di finanziamento, per i progetti regionali, per le attività culturali, e tutto ciò che riguarda i legami con l’amministrazione e le leggi regionali. Alcuni anni fà, corsi di questo tipo, hanno permesso di formare decine di giovani sardi del Belgio, che sono poi diventati dei dirigenti.

Propongo: che nell’ufficio emigrazione, che cura le attività dei circoli, siano inseriti almeno due funzionari, provenienti dall’emigrazione, che parlano più lingue, e che hanno soprattutto quella sensibilità e conoscenza dell’emigrazione, che spesso manca nei funzionari attuali.

Propongo: che i finanziamenti regionali assegnati ai circoli, facciano parte di una voce sola, e non come ora  una parte per il funzionamento e l’altra per le attività. I circoli con la parte prevista per il funzionamento, non riescono a coprire tutte le spese, e spesso spendono il resto dei soldi in attività improvvisate, e  molto care, pena il mancato arrivo delle risorse.

Propongo: che i finanziamenti regionali ai circoli, siano spediti sotto forma di acconto (almeno del 70%) all’inizio del secondo trimestre dell’anno (una volta cioé che i circoli hanno spedito i rendiconti di spesa). Questo permetterà  un sonno più tranquillo ai dirigenti dei circoli, che si dibattono fra mille difficoltà.

Propongo : che l’ufficio di rappresentanza della Regione Sarda con sede a Bruxelles, non sia solo un freddo ufficio a se stante, ma che possa aprirsi alle organizzazioni degli emigrati.

Ai partiti politici, e in primo luogo a quelli che fanno parte della maggioranza, che amministrano quindi la nostra regione, chiedo: quali iniziative pensano di prendere per far funzionare la Consulta, per approvare i bilanci finanziari  in tempi brevi, onde permettere di finanziare i circoli all’inizio dell’anno, e non dopo il mese di Settembre-Ottobre, quando và bene. Gli emigrati, sono una risorsa o un fardello per la nostra amata regione?

Ottavio Soddu

 

HANNO ESPOSTO DIVERSE IMPRESE ARTIGIANE SARDE

IL "MACEF" DI MILANO

L’Assessorato dell’Artigianato della Regione Sardegna ha consolidato la propria presenza al "Macef – Salone internazionale della casa" di Milano, allestendo, per la seconda volta nel 2009, il proprio stand espositivo. Nel complesso di Fiera Milano a Rho riservato al meglio del Made in Italy, alcune tra le produzioni di eccellenza dell’artigianato isolano erano collocate in una vetrina d’eccezione. Lo stand della Regione Sardegna occupava 400 metri quadri ed era suddiviso in diversi angoli espositivi racchiusi all’interno di gigantografie con immagini simboliche della produzione artigiana. Nel banco informazioni curato dall’Assessorato erano disponibili materiali informativi con la proiezione di video promozionali su un mega schermo rivolto ai corridoi del pubblico.  Gli artigiani presenti al Macef hanno esposto manufatti di ceramica, intreccio, intaglio del  legno, filigrana, ferro battuto e tessitura. Opere della tradizione millenaria sarda del "saper fare". A Milano la Regione ha esposto alcune lavorazioni esclusive create dai maestri artigiani e ideate dai designer in occasione della XIX Biennale dell’artigianato sardo. Si tratta di ventiquattro prodotti unici di pelletteria, legno e sughero, tessitura e  ricamo, metalli e cestineria. Una prima prestigiosa "trasferta" per questi modelli della creatività sarda, fiore all’occhiello della nostra produzione. In proposito l’Assessorato ha previsto il varo della campagna informativa a partire dalla fine del mese di settembre. Il marchio di qualità dei prodotti dell’artigianato sardo è rappresentato da un cavallino stilizzato sempre associato nelle etichette alle diverse tipologie di lavorazione. Gli obiettivi che la Regione si è prefissata nell’istituire il marchio sono quelli di creare uno strumento che valorizzi la qualità delle lavorazioni tradizionali artigianali e promuova il riconoscimento della loro origine; che tuteli gli artigiani dalla concorrenza sleale di chi propone prodotti similari ma meno costosi; che valorizzi le caratteristiche di tipicità e le tecniche di produzione creando un sistema di certificazione condiviso. Il Macef è una delle rassegne storiche del sistema fieristico di Milano riservata agli operatori professionali. Si tiene in gennaio e in settembre ed è da oltre 40 anni una delle più grandi e ricche vetrine per i settori dell’oggettistica per la persona e per la casa: dal complemento d’arredo di design, all’oggettistica da regalo, dalla decorazione per la casa all’arte della tavola.

 

 

IL "CONCERTO PER DUE CONTINENTI", UN SUCCESSO PER IL CIRCOLO "RADICI SARDE"

            RITORNO A CASA PER ELIANA SANNA        

Lunedí 31 agosto si é svolto il concerto di musica classica che ha avuto come protagonisti Eliana Sanna (mezzosoprano), Fabián Veloz (baritono) e Mariana Fischer (piano). Presso il Teatro del Viejo Concejo di Sant’Isidro, extrapieno per l’occasione, le doti vocali di Eliana hanno mostrato l’anima di questa eccellente cantante sardo-argentina, che ha saputo trasmettere in ognuna delle arie musicali la magia della lirica italiana. Cominció con un virtuoso "Che faro’ senza Euridice…" (Orfeo ed Eurídice di Gluck), per continuare dopo con "Pensa alla Patria…" (L’italiana in Algeri di Rossini) e "Voi che sapete…" (Le nozze di Fígaro di Mozart). Nei momenti seguenti é arrivato il "duetto" con Fabián Veloz, che ha interpretato con grande cura a Don Giovanni nell’aria "La’ ci darem la mano…" (Il flauto magico di Mozart) trattando di conquistare Zerlina, una fantastica Eliana che ha dimostrato solide qualitá artistiche imparate in questi 6 anni di formazione in Italia. Fabián Veloz, il baritono di Ayacucho (provincia di Buenos Aires), ci ha offerto un bellissimo "Largo al factotum" (Il barbiere di Siviglia di Rossini) in cui ha fatto gala delle sue doti attorali ed ha conquistato il pubblico presente. In seguito, Eliana ha interpretato un glorioso "Ave Maria" di Lao Silesu, un grande compositore sardo che ha vissuto gran parte della sua vita a Parigi e che adesso, attraverso questa iniziativa e la costante ricerca della perfezione e la diffusione della cultura sarda, stiamo reccuperando per far conoscere questo talento della ns. Isola anche nella musica classica. Per finire, il duetto, dato l’importante pubblico italiano presente, ci ha voluto omaggiare con l’interpretazione di due classiche canzonette napolitane; "Cuore ingrato" e "Torna a Surriento", che sono state premiate con numerosi applausi. Il concerto é stato ovviamente esseguito al piano nelle magiche mani di Mariana Fischer, la pianista di La Plata che ha conquistato con su musica tutta la provincia di Buenos Aires e gran parte dell’Argentina. Tra il pubblico presente in Teatro, la Prof.ssa Beba Broggi del Comune di Sant’Isidro, Marga Tavera – Presidente della Federazione Sarda Argentina-, Valeria Sangregorio – Viceconsole d’Italia a Sant’Isidro -, rappresentanti dei Circoli Sardi di Buenos Aires e Villa Bosch, referenti di diverse collettivitá italiane di Zona Nord di Buenos Aires e il Comitato Direttivo del ns. Circolo Radici Sarde. Alla chiusura del Concerto, il ns. Circolo ha organizzato un cocktail presso la ns. Sede di Galleria Belgrano, nel quale abbiamo tenuti belli momenti di amicizia e ringraziamento a Eliana, Fabián e Mariana, e inoltre abbiamo degustato squisiti pabassini che ha preparato Silvia Sanna di Villa Bosch per tutti i sardi e invitati presenti. Un ringraziamento speciale agli artisti, alla F.A.S.I., alla Federazione Sarda Argentina ed alla Regione Sardegna per questo calido concerto que di nuovo ha unito la ns. Regione con l’Argentina attraverso la musica, e per il quale il ns. Circolo ha realizzato un importante lavoro di organizzazione!

Pablo Fernandez Pira

 

IL CIRCOLO AMIS DI CINISELLO BALSAMO COLPITO DA UN GRAVE LUTTO

SI E’ SPENTO TONINO PORRU:

ERA VICE PRESIDENTE VICARIO

E’ proprio un anno negativo per il direttivo del circolo AMIS di Cinisello Balsamo. Dopo la scomparsa a gennaio del consigliere Giulio Loddo, si è spento, a causa di una malattia tanto atroce quanto fulminea, Tonino Porru, vice Presidente Vicario del sodalizio. Tonino, vedovo da diversi anni, originario di Villanovafranca, risiedeva a Pozzuolo Ma
rtesana nel milanese, lascia un profondo vuoto all’interno del circolo vista la sua dinamica partecipazione nelle attività dell’associazione. Una sofferenza che ha accumunato tutti i simpatizzanti e soci dell’AMIS, a partire dalla Presidente Carla Cividini. Profonda commozione da parte di tutti nel manifestare affetto per i due figli di Tonino e per la compagna Giuliana, direttamente colpiti da questo dolore
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Massimiliano Perlato

 

LA FIGURA DI MIGRANTE DI PADRE SILVIO SERRI

                               IL MARTIRE DI USSANA  

Ùssana (Cagliari) 3 settembre 1933 – Ombaci (Uganda) 11 settembre 1979

C’è una singolare figura di migrante, che non è elencato in nessuna categoria di lavoratori, non ha sindacati, non ha famiglia, non ha diritti sociali oltre a quelli minimi propri di ogni essere umano e non figura neanche nei gossip, nelle riviste patinate, nelle pagine di cronaca dei media, negli elenchi dei vip. Da qualche parte, negli aeroporti delle grandi città, salgono, assediati dai cronisti e dai fotografi, gli attori famosissimi, le miss invidiate, le star internazionali tronfie di vanagloria, i boss dell’economia e della finanza che ruminano cingomma… Tutta gente che ha fatto mirabilia da non credere per l’umanità. Sale anche lui, un uomo solo, senza volto, senza importanza, senza nome, senza paparazzi attorno, che non emigra per lavorare o per migliorare la condizione economica sua o della famiglia. E’ uno che lascia la propria casa e la propria terra per far del bene ai più diseredati, che neppure conosce. E ce ne sono tanti di uomini così strani ed eroici.  Voglio parlarvi di uno di essi, un amico mio carissimo, che non ha fatto niente di particolare: non ha girato film, non scritto importantissimi libri, non creato canzoni di da hit parade, non eretto gloriosi monumenti, non era un divo al primo o al terzo o al sesto matrimonio per cui meritasse una foto nelle copertine patinate per la "cultura" dei lettori. Ha solo dato la vita per i suoi amici, quello che possedeva di più prezioso, a titolo gratuito, senza tornaconti economici ma solo per amore, in un angolino sperduto di questo mondo, in un villaggio in mezzo alle foreste dell’Uganda, che non figura neanche nelle cartine più particolareggiate. Quattro capanne di fango e paglia dove il problema dell’acqua quotidiana da chiedere a Dio è impellente come quello del pane quotidiano. Si chiama Ombaci, questo villaggetto. Questo il racconto del martirologio di padre Silvio Serri, missionario comboniano, scritto dal suo confratello Romano Maran, testimone oculare. «Siamo durante il governo del dittatore Amin (il sanguinario dittatore, 2 metri di altezza per 120 chili di cannibalismo e ferocia disumani). P. Silvio fu ucciso da un soldato, che probabilmente cercava un mezzo per fuggire in Sudan o nello Zaire. Egli usava provvedere l’acqua per la casa e l’orto con l’auto Land Rover offerta da Mons. Angelo Tarantino: la macchina trainava un carrello con una botte d’acqua sufficiente al fabbisogno della comunità per due giorni. Quella sera di settembre stava rientrando alla missione, con l’acqua e un gruppo di ragazzi volontari. Improvvisamente gli si presentò davanti al garage un soldato armato e in divisa, che imperiosamente intimò a P. Silvio di dargli benzina. Il Padre disse di non avere le chiavi con sé, ma il soldato puntando l’arma urlò più forte: "Dammi benzina". P. Silvio chiamò un ragazzo e si fece portare le chiavi. Il soldato continuava a tenere il fucile puntato sul Padre e sul ragazzo, mentre un barile di benzina fu portato fuori dal magazzino. Uscì anche il cuoco della casa, per aiutare a spingere il barile sulla Land Rover. Con grande fatica lo issarono sulla vettura, ma non riuscirono ad assicurarlo bene, cosicché il barile cadde dall’auto dopo pochi metri di corsa. A questo punto sopraggiungo anch’io, provenendo dalla chiesa (era stata suonata la campana, ed ero stato avvertito che qualcuno stava rubando l’auto). Il soldato mi spara due colpi davanti alle gambe; questi colpi intimorirono i ragazzi presenti, che istintivamente scapparono. Il soldato, vedendosi solo, con il Padre così vicino, gli sparò un colpo, che si rivelò mortale. Il proiettile trapassò il braccio destro, il ventre, ed uscì dal fianco opposto, procurandogli una larga ferita. Ritornando sul posto dall’altra parte della veranda, m’imbattei nell’auto che a tutta velocità attraversava il cortile di fronte alla casa, e scorsi nel buio il corpo accasciato di P. Silvio, in un pesante rantolo. Abbracciandogli i fianchi mi accorsi che era in una pozza di sangue. Frattanto ricomparvero due ragazzi e qualche uomo, e mi aiutarono a trasportarlo in casa, mentre egli lasciava dietro di sé una scia di sangue. Diede un ultimo respiro, tenendo gli occhi fissi su di me, e rese la sua bella anima a Dio Padre tra le mie braccia». Era la sera dell’11 settembre 1979 (fra giorni, quindi, sarà il trentesimo anniversario del suo sacrificio). Il 3 settembre aveva compiuto il suo 46mo compleanno. Una festa di compleanno ideale per un cristiano. Il suo corpo fu trasportato ad Arua e sepolto il 13 settembre ad Ombaci, presso la tomba di altri confratelli. Al funerale, presieduto dal Vescovo, erano presenti tutti i sacerdoti diocesani, molti confratelli, suore comboniane e suore locali, il commissario distrettuale e le autorità della provincia, a testimonianza della stima e dell’affetto che circondavano padre Silvio Serri. La sua santa anima è venerata nel ricordo di chi lo conobbe. «Uomo di una sola parola» – lo chiamavano laggiù in Uganda – e difatti s’è visto: ha mantenuto la promessa che faceva spesso ai suoi amici: «Starò con voi qualunque cosa accada». «Era ancora giovane padre Silvio: aveva solo 46 anni, ma come testimone del Vangelo aveva già riempito i suoi giorni. Non desiderava, né contava di morire, ma per mesi affrontò il rischio con piena coscienza, perché era sua ferma volontà realizzare qualcosa che vale più della propria vita». Vengono in mente le parole del Maestro: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per il proprio amico»".

Vitale Scanu

 

IL CAMPIONATO NAZIONALE DI S’ISTRUMPA A OLLOLAI

GHERRARE IN BONAS O IN MALAS

Quest’anno il campionato nazionale di s’Istrumpa torna a Ollolai dove questa lotta sarda ha rivisto la sua rinascita a metà degli anni ’80 del secolo scorso, lotta che si caratterizza come non violenta, in bonas, con le buone, ma può diventare violenta se in malas, con le cattive. Se si lottava in malas di solito non si rispettavano regole ed era un misto tra s’istrumpa e la lotta libera tra persone in contrasto tra loro e che minacciavano vendetta, dopo che avevano avuto già qualche scontro, qualche screzio o minacce per cui non si podian bier, non si potevano vedere. Tantu ti seco s’anca! Tanto ti romperò una gamba, minacciava l’uno ed era il massimo perché la lotta arrivava ad infortunare l’avversario, o meglio, il nemico. Se si incontravano questi due si avvinghiavano in malo modo, si strattonavano e lottavano con astio, apostrofandosi vicendevolmente in modo da rendere lo scontro ancor più violento. Oltre che strattonarsi, si picaban a su collette o a sa janchetta, al bavero della giacca, e a volte uno tentava de frabicare a su muru s’ateru, di sbattere al muro il rivale e la minaccia più frequente era: T’intolo! Te le suono di santa ragione! Oppure: Ti pisto! Ti pesto! O: Ti sorvo! Ti riduco in polvere! O: Ti ghetto su pede! Ti dao un’abbassada de pede! Ti sbatto a terra e ti schiaccio col piede. Gli sfidanti, sos gherradores,  usavano modi e maniere che nella lotta in bonas erano proibite come per esempio ghettare s’ossu, cioè atterrare l’avversario con la pressione della nocca del pollice sulla spina dorsale, o  ghettare s’ossu cun sa barba,  atterrare l’altro premendo con l’osso del mento, sa barba, sulla clavicola. Nella lotta a s’istrumpa in bonas, ghettare s’ossu, schiacciare l’osso con le nocche o il mento, era un’arma sleale vietata, come del resto anche ricorrere allo sgambetto, ghettare s’anca. Ti mazo sa conca! Ti sbatto la testa! Ripeteva uno per intimorire l’avversario e a quel punto la lotta era non solo violenta, ma cruenta  e addirittura si poteva arrivare alla morte di uno sfidante. Ti mathulo a su muru! Ti sfracello sbattendoti al muro! Ti ch’imbolo in d-unu tremene! Ti scaravento in un burrone! T’imbolo trampunzu! Ti lancio un siluro! Se uno provoca, l’altro inizialmente lo lascia perdere e al massimo lo scoraggia minacciandolo e dicendoli: Si ti ghetto poddighes, mi connosches! Se ti afferro mi conoscerai bene! Oppure: Si t’abbranco, ti mathulo a terra! Si ti prendo ti sbatto a terra! S’istrumpa invece è una lotta tra persone leali per dimostrare abilità, forza e astuzia. Abile significa aquila, e una persona abile è acuta, è forte, è proprio un’aquila che attanaglia con gli artigli la sua preda e non la molla più, non molla la presa, come del resto fa su gherradore a s’istrumpa che afferra l’avversario ai polsi, a sos bussos, o a su chinthu, alla vita, o a sa trintza, alla cintura e non lo molla più. La bravura nella presa si capisce già dalla stretta di mano nel salutare : si intuisce subito che è forte, di polso. Un buon gherradore, oltre che abile e forte, deve essere trassau, furbo come una volpe, est unu marzane, sa trassa, nde juchet una trassa!  nde juchet una intragna! E sa trassa è importante quanto l’abilità e la forza perché è un misto di furbizia e finezza nel cogliere l’attimo per mettere spalle a terra l’avversario. Se però uno sgarra appena, lo si invita a ritornare nei binari, a torrare in surcu o a torrare in trassa perché, se la furbizia scantona nell’imbroglio, la persona non è più definita trassau, ma trasseri o tramposu, imbroglione, perché at trampau. Dunque unu bonu gherradore, un buon lottatore deve essere  aquila e volpe, abile e marzane, deve coniugare l’abilità e la forza con la furbizia volpina, con sa trassa. S’istrumpa serviva  per misurare la forza di una persona e perciò si diceva anche: Lampu, a su Tale ja lios an provaos sos trantzilleris! Accipicchia, al Tale hanno provato le forze eh! Oppure: Lampiau chi siat! Est de trintza su Tale mih!? Accipicchia, il Tale è resistente eh? Trantzilleris sono i legacci che tengono sicura la sella e trintza è la cintola. Ci sono sempre state persone abiles e matzones e ancora oggi le incontri tutti i giorni e, quando meno te l’aspetti, qualche trassau si trasforma in trasseri e, se non sei vigile e attento, ti ghettat s’anca o ti ponet s’ossu.  Questi stessi modi di dire avevano significati metaforici  reali molto diffusi e comuni. Il linguaggio de s’istrumpa è così radicato in Barbagia  per cui anche la vita, l’esistenza stessa è lotta, est gherra, tanto è vero che di un individuo che ha faticato molto, che ha superato ostacoli e fatto sacrifici, si dice: ja l’at gherrada,ja! Ha lottato molto per vivere!E per una persona che affronta grandi prove e compie grossi sacrifici per realizzare un’opera si dice: l’est gherrande a man’a chinthu! Sta lottando con la presa  sulla cintura, come per s’istrumpa. E per dire che la lotta non è poi così dura, si dice: Bah, no est mancu a la gherrare a s’istrumpa, no! Perché s’istrumpa richiede proprio il massimo dello sforzo. Questi sono alcuni dei tanti esempi che dimostrano quanto fosse radicata s’istrumpa nella cultura delle nostre popolazioni e quanto sia importante, dal punto di vista sportivo ma anche antropologico, che i dirigenti della Federazione de s’Istrumpa di Ollolai, l’abbiano recuperata acciuffandola  per i capelli quando sembrava che di questa lotta non se ne dovesse più parlare. Il recupero de s’Istrumpa, del contesto in cui veniva praticata e delle espressioni popolari ad essa legate sono una parte importante della nostra identità che merita di essere salvaguardata.

Tonino Bussu


A OLLOLAI E SA ZENTE AMANTIOSA DE S’ISTRUMPA

S’estru dilliriadu e talentu / chi moet sos gherradores a istrumpa / at sa cuncordia e lestresa / de arcanas danzas sardas –

impressidos e seguros passos / de arte e ischibbulia antiga / torrant chentza tempus / cun sinnos lieros e balentes.

Sa fieresa areste / de gherradores atrividos / illacanat e imberghet / in s’identidade de populu – in cuntierras sinzillas /  miramentadas in coro de sa zente.

E fintzas oe / si chircat umanidade / ue a
francare brussu e poddighes / e oferrere sempre zarru / s’abbratzu a totu chitu / pro unu sonniu de amistade.

Cristoforo Puddu

 

 

LO STRANO CASO LETTERARIO DELLA VECCHIA E DELLA BAMBINA

AL CENTRO DELLA NARRAZIONE, IL RUOLO FEMMINILE

In una recente intervista per Repubblica mi è stato chiesto a cosa si deve secondo me la presenza tra i libri più venduti di tanti romanzi con donne anziane come personaggi centrali. Citandomi Zia Mame e L’eleganza del riccio, Il conto delle minne e Accabadora, la persona che mi ha chiamata si è detta convinta che i narratori abbiano rimesso a fuoco la terza età, in particolare quella femminile. Premesso che quattro titoli – di cui uno uscito nel 55 – mi sembrano onestamente pochini per fare filone, la questione potrebbe non essere peregrina, una volta epurata dal fatto che la letteratura di classifica si muove per trend solo perché gli editori, e non gli scrittori, tendono a pubblicare libri con temi che hanno già "funzionato". Successe così per esempio all’onda lunga dei romanzi sull’infanzia distorta, partita alta già con Dei bambini non si sa niente e arrivata tzunami con La solitudine dei numeri primi, ma questa è un’altra questione. Volendo entrare invece nel merito, c’è da dire che i titoli menzionati hanno un ulteriore dato comune, oltre al fatto che si narra di donne vecchie: sono tutte storie firmate da donne. Patrick Dennis è un uomo, mi si dirà giustamente, ma secondo me non è per questo che Zia Mame è estranea a questo ipotetico filone, dove non stonerebbero invece Ritratto in seppia della Allende o Mal di Pietre della Agus; Patrick Dennis- già pseudonimo di Edward Everett Tanner III – non solo era gay, ma ha mandato altri romanzi in classifica firmandosi con nomi femminili, e ne ha scritti due a 4 mani proprio con autori donne; non era certo la prospettiva femminile a fargli difetto. Il fatto però è che Zia Mame è un personaggio giovanile quando comincia la narrazione. Inoltre al romanzo di Dennis manca la coincidenza dell’ulteriore dato comune agli altri titoli dell’ipotetico filone: sono tutti sin da subito romanzi di formazione aventi per protagonista la relazione tra una donna anziana e una bambina. Il fil rouge a me non sembra quindi l’età avanzata, casomai i rapporti di passaggio del senso tra l’infanzia e la vecchiaia delle donne, oltre che il salto narrativo che in questa dinamica rimuove del tutto la generazione intermedia. Se è vero quello che diceva Anna Maria Ortese, che "si pubblica perché gli editori danno un po’ di soldi, ma si scrive per avere compagnia", credo sia utile chiedersi perché alcune scrittrici (incontrando la risonanza di molti lettori) preferiscano sul piano narrativo la compagnia delle nonne, e per contro rimuovano sempre più spesso la figura delle madri. Perché è evidente che le madri di questi tre romanzi si somigliano in modo inquietante: assenti, anaffettive, tutte inadeguate. Parlando di quello che so, in Accabadora c’è stato sicuramente da parte mia il tentativo di fare pace con un luogo del futuro, un posto dove io donna vivo già ora nel presente, ma in uno stato permanente di rimozione. Dico luogo del futuro e non del passato, perché la vecchiaia narrata al passato è in realtà l’ologramma di un feticcio assimilato, quello contro cui le donne che avevano vent’anni del sessantotto si sono accanite con una violenza che ha lasciato dietro di sé fior di calcinacci e poco altro. Alla messa in discussione di un modello di riferimento non è seguito – al di là della buona volontà dei singoli – alcun modello nuovo, e per chi è nata negli anni settanta trovare un’amica al posto di una madre ha significato in fondo realizzarsi orfana. Mi rendo conto che a quelle donne ora a metà strada è andata anche peggio, basta guardare intorno le superstiti cinquanta-sessantenni terrorizzate all’idea di somigliare anche solo lontanamente a quello contro cui avevano combattuto; l’incapacità di rielaborarsi collettivamente ne ha fatto delle signore un po’ patetiche, povere di dignità coi loro jeans skinny e le "ironiche" collane di plastica colorata, ebbre della possibilità di labbra ancora gonfie e prodighe di occhiate dolci in tralice agli uomini che sorridono alle loro figlie. Narrare di loro, con tutto il rispetto, mi è impossibile senza farne macchietta, dei san sebastiani involontari, martiri senza mai essere diventate eroine, trafitte indecorosamente ai moncherini dell’albero dove avremmo dovuto innestarci noi. Raccontare delle loro madri invece, e farlo mettendole dentro una relazione di traditio con le bambine, è un atto riparatorio sul piano culturale, la necessaria riconciliazione con una memoria che quando ha smesso di essere rivoluzione ha finito per farsi furto. Mentre la pubblicità, la televisione e in misura minore anche il cinema mettono in scena donne che non invecchiano, che non cambiano, che non muoiono, in definitiva che non insegnano, il romanzo può scegliere di restituirle all’immaginario per via traversa, inventandole fertili in altri modi, a dispetto del loro stesso grembo. Sottrarre un personaggio femminile all’età di mezzo, quella in cui la donna è considerata produttiva di beni, servizi, immagine impeccabile e all’occorrenza figli, significa anche liberarla dai codici collettivi, poterla gestire su un piano in cui – sterile in ogni altro verso sociale – può invece ancora generare senso, e senso in relazione. Nessuna rivoluzione, anzi. Sul piano simbolico è una restaurazione generazionale che si realizza seguendo canoni già lisi; la donna sciamana, custode o maestra, poco importa che sia dei dolci o dei rituali umani, è un modello femminile il cui potere è sempre stato pacificamente accettato. Regina, ma dei fornelli. Padrona, purché della casa. Sacerdotessa, ma soltanto dei riti più intimi. Queste storie sono epifania nemmeno troppo celata del femminino lunare dal volto ambivalente, sarta e portinaia in apparenza, sapiente parca o cuoca mistica nel segreto dei sussurri, una doppiezza espressa perfettamente dai confini nebulosi dei pensieri delle vecchie, in bilico costante tra memoria e visione. Ma se questo è un percorso familiare, lo è molto meno il modo in cui è sviluppata nel narrato la relazione tra le due generazioni, le vecchie e le bambine, un legame liberato totalmente dalle leziosità delle carezze tra la nonnina e la nipotina che tanto piacciono a chi disegna le stucchevoli campagne sociali sugli anziani. È una relazione divenuta possibile solo ora perché solo ora le vecchie e le bambine sono riconoscibili come estremi della stessa negazione, entrambe emarginate dalle rappresentazioni dominanti, che impediscono alle une di invecchiare e alle altre di vivere l’infanzia fuori dalla pressione dei modelli adulti. Sotto il peso costante di questo genocidio simbolico, quale altra scelta può esserci per le sopravvissute se non quella di divenire solidali?

Michela Murgia

 

IMBROGLI SULLA "CONTINUITA’ TERRITORIALE" PER VOLARE A PREZZO SCONTATO

I FALSI SARDI

La tentazione è evidentemente troppo grande. Perché, se basta dichiararsi residenti o nati in Sardegna, non approfittare dei vantaggi assegnati dalla legge sulla continuità territoriale? Meridiana e Alitalia, in controlli che per ora vengono effettuati solo a campione, ogni giorno scoprono una settantina di "falsi sardi" che, per risparmiare sul costo del biglietto aereo, dichiarano di possedere i requisiti previsti dalla legge: Spesso, una volta smascherati, tirano fuori scuse assurde. E non si rendono conto di poter incorrere in una denuncia penale per il reato di truffa ai danni dello Stato. Agli sconti hanno diritto (oltre ai cittadini sardi) i disabili, gli anziani over 70 e gli studenti under 27. Ma, statistiche alla mano, a cercare di ottenere una riduzione sul prezzo dei biglietti sono molti di più. «Ogni giorno scopriamo una cinquantina di questi casi – dicono da Meridiana – i "furbi" acquistano il biglietto e fanno il check-in su internet, saltando almeno una prima verifica in aeroporto. Dichiarano di possedere i requisiti per l’acquisto del ticket a prezzo scontato e poi si presentano al gate per l’imbarco ». È lì che qualche volta vengono intercettati dal personale che la compagnia incarica di effettuare i controlli: «Quando scopriamo l’assenza dei requisiti indicati dalla legge quasi sempre si scatena una polemica dura – racconta ancora l’addetto stampa di Meridiana – e saltano fuori le scuse più impensate: c’è chi, con cognome e parlata che facilmente non si possono confondere con il sardo, assicura di aver da tempo presentato richiesta di residenza in un piccolo Comune isolano e chi giura di aver sbagliato al momento della prenotazione, non rendendosi conto di aver scelto l’opzione riservata ai residenti». E qualche volta, visto l’andazzo, ci passa anche chi è in buona fede. In estate i passeggeri che la compagnia dell’Aga Khan "movimenta" (orribile termine tecnico utilizzato dagli operatori del settore) su Cagliari (collegata con 13 altri aeroporti) sono circa 7mila, mentre i controlli vengono effettuati massimo su 800/1000. Per quel che riguarda Meridiana, chi prova a bluffare sulla regione di residenza può arrivare a risparmiare anche 100 euro a tratta. Sul Roma-Cagliari, ad esempio, un biglietto di sola andata per i residenti può costare dai 70 (tariffa promo) ai 110 euro (flex), mentre quello pieno dai 110 (promo) ai 200. Per il Bologna- Cagliari, invece, un sardo spende 85 euro, mentre a un passeggero della Penisola o straniero viene richiesto di versare 134 euro. La tendenza è confermata dai responsabili delle relazioni esterne di Cai, società che da tempo gestisce i marchi Alitalia e Air One: «Per ora i controlli vengono eseguiti a campione e da personale che non appartiene alle nostre società ma a quelle che gestiscono gli aeroporti – dicono – il fenomeno ha assunto una portata tale che presto le procedure cambieranno. Visto che non è facile effettuare un controllo serio all’atto della prenotazione, che sempre più spesso avviene su internet, Alitalia ha deciso di rendere sistematiche le verifiche che verranno svolte al momento dell’imbarco dei passeggeri». Sono 2300 i viaggiatori che ogni giorno arrivano o partono da Cagliari, collegandosi con i tre scali che vengono serviti dall’ex compagnia di bandiera. Da Meridiana, Alitalia e Air One si fa notare che chi dichiara il falso per risparmiare sul prezzo del biglietto aereo spesso non si rende nemmeno conto di mettere in atto una truffa ai danni dello Stato: Perché a rimetterci non sono tanto o solo le compagnie che effettuano i voli ma le casse pubbliche visto che, per sostenere l’onere di servizio, vengono erogati dei contributi. La denuncia è automatica anche se si valuta caso per caso. Quando la buona fede è evidente, è sufficiente far acquistare al passeggero un biglietto a tariffa piena.

 

 

AD AGOSTO POSTI BARCA AL COMPLETO NEGLI SCALI ISOLANI

I GRANDI YACHT RISCOPRONO LA SARDEGNA

Sardegna meta di vacanzieri e soprattutto di diportisti. Secondo i dati forniti dalla "Rete dei porti della Sardegna", infatti, i 15 approdi aderenti al consorzio hanno registrato il tutto esaurito durante il mese di agosto e in particolare a cavallo di Ferragosto. L’incremento ha riguardato il Nord e il Sud dell’Isola e ha invertito la tendenza negativa annunciata all’inizio dell’anno, basata sulla crisi internazionale. Le stime fatte durante l’inverno mostravano un calo della richiesta di approdo e soprattutto il crollo delle vendite da parte delle più grandi società di costruzione di barche, con i conseguenti licenziamenti del personale che in alcuni casi hanno raggiunto anche il 50%. Per l’estate, quindi, il consorzio stimava un calo del 20% delle presenze in banchina. La realtà, in attesa dei dati certi a fine stagione, ha portato una crescita degli approdi di circa il 15%. Le imbarcazioni che giovano all’economia sarda, sono ovviamente i grandi yacht che sebbene stazionino per poco tempo danno un bel contributo. Secondo i calcoli, ogni persona imbarcata su queste navi spende a terra circa mille euro al giorno. Elevato quindi l’indotto: si va dal ristorante, al fioraio, dai bar ai supermercati. Non ultimi i rifornimenti di carburante: gli yacht sono infatti in grado di acquistarne grandi quantità in una sola volta. La rete dei 15 porti (composta da Alghero, Stintino, Porto Torres- l’Asinara, Castelsardo, Isola Rossa, La Maddalena, Santa Maria Navarrese, Arbatax, Marina di Capitana, Perd’e Sali-Sarroch, Teulada, Portoscuso, Carloforte e Torre Grande-Oristano) mette a disposizione circa 3.500 posti barca, ovvero il 45% dell’intera offerta isolana (pari a circa 7.500 posti per un totale di 48 porti). Posti esauriti anche a Villasimius il cui approdo non fa più parte del consorzio. L’andamento positivo dei porti turistici ha riguardato tutta Italia con qualche eccezione, tra cui Portofino e Brindisi, come ha sottolineato anche una ricerca del Sole 24 Ore, ma in Sardegna il fattore determinate potrebbe essere la cancellazione della tassa sul lusso. L’anno scorso numerosi diportisti avevano scelto altri lidi, lasciando proprio il Mediterraneo occidentale per scegliere le isole greche, la Croazia e la Turchia. Molta anche la concorrenza del Mar Rosso e del Golfo Persico con Dubai che mirerebbe a dirottare nei sui porti il 40% dei diportisti che ora viaggiano nel Mediterraneo. Piani falliti a causa della crisi che ha fatto scegliere mete più vicine agli europei. Ad approdare nei porti sardi sono soprattutto i turisti tedeschi, tradizionalmente attratti dalle coste croate, dall’Adriatico e della isole Baleari. In Sardegna anche i diportisti francesi e svizzeri. I mega yacht russi, invece, hanno fatto tappa in Costa Smeralda. E proprio sui porti sta per essere presentato il progetto comunitario "
Odissea", che mira a trasformare gli approdi turistici da semplici parcheggi di barche a luoghi di accesso al territorio. Chi arriva nell’Isola, ad esempio, potrà immergersi subito nella cultura locale gustando la zuppa gallurese o i malloreddus alla campidanese al posto dei più industriali panini o hamburger. Quattro i porti pilota su cui il progetto verrà messo alla prova: Carloforte, Castelsardo, Alghero e Santa Teresa. Il piano, piazzatosi al primo posto nella progettazione Ue per il 2007-2013, verrà preso come esempio anche da altre nazioni. Prime fra tutti Francia e Spagna dove sono state già avviate le pratiche.

Annalisa Bernardini

 

VISIBILITA’ E RILANCIO PER L’ARCIPELAGO DELLA MADDALENA

ARRIVA LA "LOUIS VUITTON CUP" DI VELA

Saltati il G8 e la Coppa America, ecco la Louis Vuitton Cup, un grande evento per risarcire e rilanciare La Maddalena. Se la seconda regata velica più importante del mondo si farà, nella primavera del 2010, una tappa potrebbe avere come base l’ex arsenale militare e come campo di gara le acque tra l’arcipelago e la Costa Smeralda. L’ipotesi – che si affianca alla certezza del vertice a metà settembre tra Berlusconi e Zapatero nella struttura che doveva ospitare il G8 – è emersa con forza a La Maddalena, accompagnati da Guido Bertolaso, commissario del G8 (ha ancora la pienezza dei poteri), sono arrivati Vincenzo Onorato (armatore e patron di Mascalzone Latino), Edoardo Recchi (segretario generale dello yacht club dell’Aga Khan) e i dirigenti della Louis Vuitton Cup, la manifestazione velica che è l’anteprima della Coppa America in programma negli Emirati Arabi Uniti (così ha voluto Ernesto Bertarelli). La regata. Onorato, Recchi e i dirigenti francesi hanno visitato l’ex ospedale militare (oggi hotel, senza un titolare) e il complesso dell’ex arsenale, che sarà gestito per 40 anni dal gruppo Marcegaglia. In particolare, hanno messo gli occhi sul porto: un chilometro di banchina che ospiterà 300 maxi-yacht e magari gli scafi della Vuitton Cup. La regata dovrebbe tenersi nella primavera del 2010, divisa in più tappe. Il condizionale è legato all’incertezza economica, e agli scontri con gli organizzatori della Coppa America, che hanno messo in difficoltà il modello della Vuitton (vinta nel 1992 dal Moro di Venezia e nel 2000 da Luna Rossa). Ma, evento velico a parte, i tre gruppi stanno ragionando anche sulla possibilità di gestire il porto dentro l’ex arsenale. La Marcegaglia, che è attiva nell’accoglienza alberghiera con il Forte Village, non hai investito nel settore della nautica e quindi potrebbe stringere un accordo con un grosso gruppo per curare gli yacht. Tanto è vero che, da mesi, nella struttura si sono presentati numerosi rappresentanti di società di alto livello. La novità nella novità è l’interesse (rinnovato) di Karim Aga Khan per La Maddalena. A luglio, i dirigenti dello Yacht Club Costa Smeralda erano andati in missione (riservata) nell’ex arsenale. Che l’Aga Khan punti sull’ex struttura militare solo per le manifestazioni sportive, o anche per l’accoglienza degli yacht, è difficile da dire. Prima del G8, Karim aveva predisposto dei piani per il rilancio dell’ex arsenale, ma non aveva avuto alcuna riposta dal ministero della Difesa. Ora la seconda chance: potrebbe unire, via mare, La Maddalena e la Costa, eterne rivali.

 

 

LA REGIONE SARDEGNA A CACCIA DI FINANZIAMENTI PER RILANCIARE IL "POLO LAWRENCE"

IL TRENINO VERDE NON SI FERMA

Il binario non è morto, il trenino verde della Sardegna continuerà a correre sulle rotaie e attraversare il cuore dell’Isola, magari sempre più carico di turisti e visitatori. Lo ha assicurato l’assessore regionale al Turismo, Sebastiano Sannitu, che ha voluto così smentire categoricamente le voci, sempre più insistenti, della fine inesorabile del vecchio treno e delle storiche strade ferrate. Una previsione sbagliata che nulla ha a che fare con il programma interregionale 2007-20013 Pain Fas approvato a fine giugno dalla Giunta. «Il Trenino verde – dice Sannitu – è uno degli attrattori centrali del progetto, ma non l’unico. La Regione ha infatti proposto una grande azione di valorizzazione turistica integrata che riguarda tutti i territori dell’Isola». Insomma, il Trenino verde non ha per nulla spento i motori e non lo farà neppure nel prossimo futuro. Ha invece necessità di nuovo carburante per poter correre e fischiare sempre più forte. Per questo la Sardegna si è candidata al Programma attuativo interregionale sui fondi aree sottoutilizzate relativo ai cosiddetti attrattori culturali, naturali e al turismo. «In questa fase è necessario rispettare i requisiti richiesti dal bando che possono consentire alla Regione di accedere ai benefici economici dopo aver superato la selezione. Il fondo complessivo stanziato dalla Stato e precisamente dal Cipe al quali possono accedere le regioni del Mezzogiorno, Sicilia, Basilicata, Puglia, Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria e naturalmente la Sardegna – racconta l’assessore Sannitu – ammonta a ottocentonovantotto milioni di euro». Per capire quanti di questi soldi arriveranno nell’Isola per far diventare concreti i progetti sardi bisognerà ancora attendere, dal momento che ogni proposta deve essere assoggettata a una valutazione del Comitato tecnico. «Tra i requisiti richiesti vi è la diversificazione dei poli territoriali nei quali ricadono gli attrattori turistici interessati dalle azioni di rafforzamento. Maggiore è la diversificazione, superiore sarà la possibilità di accedere ai finanziamenti». È così che il "vecchio" e unico Polo Lawrence, comprendente i territori dei comuni attraversati dalla linea del trenino verde Mandas-Sorgono-Arbatax e che abbraccia idealmente il massiccio del Gennargentu e attraversa le zone marine e montane centro orientali dell’Isola, "viaggerà" di pari passo con gli altri tre programmi voluti dalla Regione: il Polo delle Rotte fenicio-puniche (che comprende il versante occidentale e sud occidentale della Sardegna, da Tharros a Nora a Cagliari, passando per l’intero Sulcis-Iglesiente); il Polo della Memoria e dell’Identità (comprende parte dei territori della parte centro occidentale dell’Isola attraversati dalla linea ferroviaria Nuoro-Macomer-Bosa e caratterizzati da tradizioni popolari legate, tra l’altro, ai giochi equestri e alla cultura del cavallo); il Polo Maddalena-Limbara  Cor
allo (comprende i territori che vanno dall’Arcipelago della Maddalena alla Costa Smeralda, ad Alghero e al Golfo dell’Asinara, passando attraverso le aree montuose del Limbara. Una vasta area caratterizzata – spiega l’assessore al Turismo – da mare, spiagge, colline e montagne interrotte da creste di granito, dal verde delle sughere, la macchia, i vigneti, nonché eventi importanti legati alla musica e al cinema). «Lo sforzo dell’assessorato – aggiunge Sannitu – è stato quello di mettere insieme prospettive diverse in un unico grande progetto di valorizzazione turistica che potrebbe davvero consentire alla Sardegna di ottenere un’opportunità di sviluppo».
 Insomma, un programma nuovo di zecca che nulla toglie al precedente progetto voluto dalla Giunta Soru e condiviso dai sindaci.

 

LA DOLCE SOFFERENZA DEI MARATONETI SCALZI SOSPINTI DALLA FEDE

CURREI IN NOMINE ‘E DEUS

Il Santo è tornato dopo un pellegrinaggio di appena due giorni. Gli scalzi di San Salvatore hanno rinnovato la tradizione della corsa a piedi nudi. Il ritorno a Cabras degli ottocento corridori, avvolti in un semplice saio bianco, è forse il momento più emozionante, sia dal punto di vista degli spettatori (la corsa offre un’immagine romantica che è impossibile dimenticare) sia da quello degli scalzi, che danno vita a uno spettacolare momento di fede e folklore. Conclusa la corsa, tra le tuniche bianche echeggia un semplice augurio, figlio della tradizione sarda e del sentimento di conservazione di una festa religiosa che fa brillare gli occhi a grandi e piccini. «Attrus annus mellus», sono questi gli auspici che ogni scalzo scambia con i suoi compagni d’avventura. Poco importa se i muscoli sono induriti dalla fatica e i piedi sono gonfi per via del continuo strofinio con l’asfalto e con la terra battuta. La testa è già rivolta al prossimo anno, quando il rito sarà rinnovato ancora una volta. Proprio come impone la tradizione. Un pensiero che si affaccia già dalla mattina del sabato, quando gli scalzi muovono i primi passi. Il segnale è il tradizionale augurio gridato dal parroco che accompagna il simulacro dalla pieve di Santa Maria agli ultimi tratti della via Tharros, da dove parte la corsa: «Currei in nomine ‘e deus!», ovvero «Correte in nome di Dio!». Da quel momento in poi scatta la corsa di San Salvatore. Il sabato va in scena l’andata: da Cabras a San Salvatore un folto gruppo di corridori, meno numerosi rispetto alla corsa della domenica, copre i sette chilometri e mezzo seguendo il ritmo cadenzato da is mudasa, i terzetti di corridori a cui, a turno, spetta il compito di brandire la bandiera del Santo, che indica la strada da percorrere, e il simulacro del Salvatore, racchiuso in una pesante portantina. L’arrivo tra le case del borgo di San Salvatore, che da queste parti tutti chiamano domigheddas, segna la conclusione della prima giornata di corsa. Durante la notte, mentre il Santo attende all’interno della chiesa paleocristiana, si svolgono i festeggiamenti civili. Dopo ore di allegria, debitamente annaffiate da fiumi di vernaccia, gli scalzi di San Salvatore indossano nuovamente il saio bianco e, dalle 17.30 della domenica sera, affollano la chiesetta e lo spiazzo antistante, in attesa di completare la cerimonia con la corsa di ritorno. La domenica è il giorno del percorso inverso. Chi aveva ancora la gambe imballate dal giorno prima, chi era costretto a convivere con il dolore alla pianta dei piedi, ma una cosa è certa, tutti erano ansiosi di compiere l’ultima fatica. Il corteo ha abbandonato San Salvatore subito dopo la conclusione della processione che chiude la messa. Dopo circa quaranta minuti di corsa il simulacro è entrato a Cabras accolto dagli applausi della folla. Una liberazione per tutti i corridori che corrono per fede e per ricordare chi non c’è più. Quest’anno è stata la volta di Daniele Trifollio e Fabio Manca, due giovanissimi scalzi scomparsi pochi giorni fa in altrettanti incidenti stradali. La solidarietà degli scalzi si manifesta anche così, «in nomine ‘e Santu Srabadoi».

 

PERCHE’ NON POSSIAMO NON PARLARE DI SCUOLA

ISTRUZIONE ALLA DERIVA

Anche in Sardegna, sembra con qualche motivo di sorpresa, comincia a manifestarsi in tutta la sua evidenza quella che può definirsi una delle vere emergenze sociali, culturali, politiche ed economiche di questi tempi. Benché altre fanfaluche, abilmente propalate, occupino più facilmente le prime pagine dei notiziari, non si può negare che la destrutturazione sistematica e deliberata della scuola pubblica in Italia – e di conseguenza, con effetti addirittura più dirompenti, in Sardegna – abbia ormai acquisito i tratti di un vero dramma civile. Quale sia il disegno complessivo dietro le varie misure adottate dall’attuale governo italico e da quelli che l’hanno preceduto negli ultimi quindici anni mi pare abbastanza chiaro: il perseguimento della deprivazione culturale, cognitiva e critica della gran parte della popolazione. Il perché è altrettanto evidente: uno Stato per sua origine e natura debole, mal assemblato e di matrice smaccatamente classista come l’Italia non può garantire il livello di controllo delle risorse e i privilegi acquisiti alla propria classe dominante se non basandosi sull’ignoranza generalizzata, la mancanza di senso critico e la disarticolazione sociale. In quest’ottica, il lavorio mediatico degli ultimi trent’anni è stato piuttosto efficace. Demolire uno dei pochi contraltari esistenti (una scuola pubblica potenzialmente libera, aperta ed efficiente) è un metodo efficace di debilitare il sistema immunitario collettivo. I risultati li stiamo già vedendo. Per la Sardegna le conseguenze sono inevitabilmente di portata più ampia. Oltre a privare di strumenti cognitivi una popolazione già largamente penalizzata culturalmente, con i tagli e i ridimensionamenti del sistema scolastico pubblico si contribuisce al depauperamento demografico in corso, specie nelle aree interne dell’Isola. Corriamo il serissimo rischio che la famosa maledizione dei
"pocos, locos y mal unidos" trovi compimento sub specie scholae: "pochi" (abbandono dei centri abitati minori, con conseguente abbandono del territorio e perdita netta di cultura e di coesione sociale); "scemi", ossia intellettivamente inadeguati a comprendere ciò che ci circonda, privi di strumenti cognitivi e critici per vivere nella complessità del mondo contemporaneo; "disuniti", infine, dal crescente impoverimento delle strutture di base della convivenza civile e dalla alienazione dovuta all’abbandono forzato dei propri luoghi d’origine, nonché dalla totale ignoranza della nostra storia e dei processi che la determinano. La scuola pubblica, la scuola pubblica italiana per essere più precisi, in Sardegna ha una grave responsabilità  culturale e politica. Non per questo si può negare che, nel lungo periodo, l’alfabetizzazione di massa, benché avvenuta in forme e secondo criteri alquanto discutibili, abbia contribuito all’aumento di consapevolezza dei sardi, tra anni Sessanta e Novanta del secolo scorso. Attendersi che sia l’Italia a mettere rimedio ai guasti da essa stessa prodotti è utopico, certo, ma almeno pretendere che lo stato non distrugga quel minimo di strutture fondamentali che, a malincuore e sempre con risparmio di risorse, ha comunque messo in piedi sull’Isola, in questo momento mi sembra il minimo. In attesa di poter decidere noi anche su questo aspetto fondamentale della nostra vita associata.

Omar Onnis

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Un commento

  1. redazione "Tottus in Pari"

    dopo la pubblicazione del numero 259 di Tottus in Pari distribuito a tutti i circoli degli emigrati sardi nel mondo, riportiamo la testimonianza telefonica del presidente del circolo “Su Nuraghe” di Alessandria, Efisio Ghiani che ci ha ringraziato per lo spazio dato alle manifestazioni del trentennale del sodalizio da lui presieduto. Cogliamo l’occasione per invitare tutti a partecipare alla due giorni musicale che si svolgerà il 26 e il 27 settembre presso il circolo “Su Nuraghe” in via Sardegna 2 ad Alessandria

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