Dramma in "Saras": non si può morire per 900 euro al mese

di Marco Murgia

 

Prima Pierluigi Solinas, 27 anni – dentro per controllare quali attrezzi servissero per la manutenzione del serbatoio dell’impianto di desolforazione: pochi secondi prima di sentirsi male e cadere dentro la cisterna. Poi Bruno Muntoni, 52 anni, sposato e padre di tre figli – senza pensarci un attimo con l’unica idea in testa di tirare fuori Gigi, come lo chiamavano gli amici: crollato in un attimo. Il terzo è Daniele Melis, 26 anni – il più giovane e la freddezza di indossare la maschera antigas: ma qualcosa non ha funzionato, ed è andato giù anche lui. Il quarto della squadra, Luca Fazio, siciliano da pochi mesi in Sardegna, si è salvato solo perché è svenuto prima di entrare: ricoverato in condizioni che non destano preoccupazione. Nei racconti dei colleghi c’è la cronaca dell’ennesima tragedia sul lavoro. Tre morti in pochi minuti alla Saras, a 30 chilometri da Cagliari: una delle maggiori raffinerie d’Europa, oltre mille lavoratori e una capacità di 300mila barili al giorno. Tre morti per un’operazione definita di routine, affidata a una ditta esterna specializzata in manutenzioni industriali. Fare luce sulla dinamica e sulle cause dei decessi spetterà alla magistratura e al medico legale. Asfissia per mancanza di ossigeno o gas letali che avevano saturato il serbatoio: le prime ipotesi in campo sono queste. Di certo c’è che non indossavano la maschera, raccontano alcuni testimoni, ma la procedura era corretta: la manutenzione in cui erano impegnati dovrebbe essere preceduta da una bonifica preliminare. Al di là di che tipo e se il gas abbia ucciso i tre lavoratori, anidride solforosa o asfissia per mancanza di ossigeno, resta che qualcosa non ha funzionato. Restano le dichiarazioni di cordoglio e resta la rabbia. Soprattutto quella degli operai: subito dopo la tragedia, è scattato l’allarme in tutta la raffineria. I dipendenti sono stati invitati a mettere in sicurezza gli impianti e ad abbandonare lo stabilimento. Solo fuori dai cancelli hanno saputo della morte dei colleghi. Pierluigi, Bruno e Daniele erano dipendenti della Comesa srl, una ditta cui la Saras affida la manutenzione ciclica degli impianti. Operazioni che nella raffineria si ripetono spesso: routine, appunto. Causa abitudine, la ripetizione: magari l’abbassamento della guardia rispetto agli standard di sicurezza. In questo senso le parole degli operai nel piazzale, davanti ai cancelli: «Non si può morire per 900 euro al mese», dicono, «rischiamo la vita tutti i giorni, con turni massacranti e senza riposi». Loro sono "gli esterni", quasi tutti lavoratori con contratti a tempo determinato. Lontani anni luce dalla fotografia sviluppata appena qualche giorno fa, quando è venuto fuori che Sarroch è il comune più ricco dell’isola. Meglio di Cagliari, lo dicono l’Osservatorio economico regionale e l’Agenzia delle entrate, e tutto grazie alla raffineria: oggi è inimmaginabile pensare a Sarroch senza la Saras, ma anche alla Saras senza Sarroch. L’altra faccia della medaglia sono i casi esponenziali di malattie tumorali, certificati da diversi studi, o gli sforamenti anomali dalle ciminiere. L’ultima denunciata appena qualche giorno fa da Legambiente Sardegna. Questioni che tornano ciclicamente: saranno riproposte anche questa estate, quando lo scirocco porterà dal mare verso le spiagge chiazze oleose scaricate da qualche petroliera diretta chissà dove. Perché la Saras si è sempre difesa: a colpi di certificati di qualità e con i numeri delle navi che approdano nei pontili interni. «Quelle che scaricano in mare», dicono i vertici dell’azienda dei fratelli Gianmarco e Massimo Moratti, «non passano da qui». Però è stata la stessa Saras a chiedere il sequestro del film "Oil", del regista Massimiliano Mazzotta: un documentario in cui si mettono in evidenza i rischi per la salute dovuti alla presenza della raffineria nell’area di Sarroch ma anche quelli legati ricorso alle ditte esterne. Nel film parlano gli abitanti della zona e gli operai: «Vanno al ribasso, la manodopera costa sempre meno, turni massacranti e la sicurezza… ciao». Racconta di corsi di formazione di due ore prima dell’intervento per i lavoratori delle ditte esterne, a esempio. Risultato: proiezioni bloccate per il ricorso dei legali della famiglia Moratti, con l’intento di verificare se la pellicola danneggia l’immagine della raffineria. Intanto resta la rabbia. Quella degli operai e quella dei familiari delle ultime tre vittime. Uno ha atteso l’arrivo del presidente Ugo Cappellacci fuori dall’industria: «Falla chiudere», ha gridato, «falli arrestare tutti»..

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