"Tra il dire e il fare", l'ultimo libro di Paola Atzeni

di Giovanni Mameli

 

È un libro che sfata un luogo comune duro da intaccare. Solitamente si pensa (erroneamente) che l’economia dell’isola sia sempre stata basata sul binomio agricoltura e allevamento del bestiame, con qualche marginale richiamo alla pesca. Mentre l’industria si sarebbe affermata, con alterne vicende, solo negli anni Sessanta del Novecento. In realtà c’è stata un’attività estrattiva, in Sardegna, già a partire dall’Ottocento che aveva un ruolo importante in campo nazionale. Le aziende minerarie, in particolare nel Sulcis, avevano dimensioni notevoli. Per avere un’idea di una realtà così complessa basta leggere il libro di Paola Atzeni "Tra il dire e il fare. Cultura materiale della gente di miniera in Sardegna" (Cuec editrice, pagine 210, euro 22,00). Ma soprattutto vanno osservate con molta attenzione le tante foto in bianco e nero che documentano l’esistenza di stabilimenti e di maestranze all’avanguardia in Europa nel settore dell’estrazione e la lavorazione di diversi tipi di minerali. La foto in copertina, scattata a Monteponi, che visualizza una batteria di crivelli, sembra appartenere a un’industria del nord. Anche il gran numero di operai e operaie (i primi con abiti da lavoro, le seconde con l’abbigliamento tradizionale) sembrano in sintonia con l’ambiente di lavoro. Ma come si viveva nelle miniere sarde? Decisamente male, con salari appena sufficienti per sopravvivere. Anche se l’alternativa era la disoccupazione o la precarietà di lavori saltuari. Molte informazioni riportate nel libro di Paola Atzeni sono dovute a testimonianze di persone (quasi tutti anziani) che hanno lavorato nelle miniere nei tempi andati. Ma la miniera non era solo un ambiente di lavoro come gli altri. I rapporti tra gli operai andavano oltre l’orario che li impegnava in turni massacranti. Al riguardo l’autrice del libro osserva: "In molti informatori è evidente la tendenza a presentare le amicizie praticate in luoghi e momenti non lavorativi come una prosecuzione, un prolungamento delle amicizie di miniera: essi raccontano come il compagno di lavoro diventasse anche amico: amico di bevute al bar, amico di famiglia, di vicinato, compare, amico-compagno nel sindacato e nel partito". I minatori sardi dimostrano soprattutto di avere una consapevolezza dei loro diritti di fronte all’azienda, che si manifesta con scioperi e rivendicazioni legittime, superiore a quelle dei contadini e dei servi pastori. Per questi ultimi la subalternità nei confronti dei prinzipales e degli allevatori con proprie greggi era pressoché totale. Attorno al mondo delle miniere è fiorita anche una ricca letteratura in versi e in prosa, che fa parte del patrimonio culturale isolano del passato e del presente. Basti pensare a un romanzo di Sergio Atzeni, "Il figlio di Bakunin", da cui è stato tratto un film di Gianfranco Cabiddu. Il libro di Paola Atzeni non ha un taglio giornalistico. È un insieme di saggi che hanno un’impostazione accademica, in sintonia con gli interessi di ricerca dell’autrice che è stata docente della prima cattedra in Italia di Storia della Cultura Materiale (istituita nel 1986 presso l’Università di Cagliari). Il che non toglie che queste pagine siano chiare e accessibili a tutti. L’autrice non scrive per un gruppo ristretto di specialisti o di studenti universitari. Il suo intento è quello di raccontare a larghe schiere di lettori la storia di una realtà scarsamente conosciuta o proposta senza soffermarsi su aspetti della vita dei minatori finora trascurati. In tutte le scuole del Sulcis, dalle medie ai licei, questo libro dovrebbe essere adottato, letto e commentato nelle classi. C’è la storia di diverse generazioni che hanno conosciuto l’espansione e il declino di un’attività industriale all’avanguardia per diversi aspetti. Come anche dimostrano le foto storiche che corredano il volume.

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Un commento

  1. Paolo Pulina, Pavia

    Caro Max, solo oggi, 12 gennaio 2009, mi è finalmente arrivata l’edizione cartacea del “Messaggero Sardo” datato novembre-dicembre 2008 e lì ho potuto leggere l’articolo di Giovanni (non Giacomo!) Mameli, collaboratore da tempo del mensile della Regione sarda per gli emigrati, articolo che tu evidentemente avevi ripreso dall’edizione on line del giornale. Dando a Giovanni quel che è di Giovanni Mameli (che è soprattutto un critico letterario), non si intende naturalmente correggere in alcun modo il giudizio positivo di “QuintaMora” (interlocutrice di questo Blog) su Giacomo Mameli e sul suo libro “La ghianda è una ciliegia”.

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