Dal convegno di Como sulle "morti bianche", l'esempio isolano nella normativa sulla sicurezza

di Ottavio Olita

 

Non c’è nulla di ‘bianco’ nella morte di un uomo sul posto di lavoro, e basta con l’ipocrisia delle ‘fatalità’. Parliamo invece di responsabilità, sia degli imprenditori, sia degli stessi dipendenti che a volte si sentono troppo sicuri o rinunciano alle misure di sicurezza per fare più in fretta. Non ci sono state reticenze nel dibattito sulle vittime del lavoro che si è svolto a Como per iniziativa del circolo dei sardi e della Federazione delle associazioni dei sardi in Italia (Fasi), con la partecipazione della Regione Sardegna, della Regione Lombardia e di Articolo 21. La manifestazione, che si è tenuta nella prestigiosa Villa Olmo, è stata un modello dei contenuti che vogliono avere le tappe della "Carovana per un lavoro sicuro" che sta toccando tante regioni italiane: la denuncia, ma anche la ricerca di iniziative e proposte. Una prima risposta è venuta dalla Sardegna, regione che, per prima in Italia, si è dotata di una legge che assiste le famiglie delle vittime del lavoro prevedendo un contributo massimo di 30 mila euro. Ma non solo questo, ha precisato il consigliere regionale Luciano Uras, del gruppo di Rifondazione Comunista, primo firmatario del testo, poi votato all’unanimità dalla massima assemblea legislativa sarda. La legge, approvata nel maggio scorso, oltre alla solidarietà, prevede finanziamenti per il coordinamento dei poteri e delle attività di prevenzione, di controllo e repressione delle cause di incidente; e indica progetti di formazione mirata agli operatori addetti alla sicurezza pubblica e privata, ai lavoratori e ai datori di lavoro. Su questo punto si è poi soffermata molto l’assessore regionale del lavoro, Romina Congera, la quale pochissimi giorni dopo la promulgazione della legge l’ha resa operativa disponendo i primi sei interventi a favore di famiglie di caduti sul lavoro. Preparare in modo adeguato gli operatori della sicurezza e, quindi, i lavoratori, deve essere una strada obbligata se si intendono ridurre gli incidenti che nel solo 2007 hanno causato in Sardegna 36 morti e una spesa complessiva in Italia di oltre 45 miliardi di euro. Formare, ha concluso l’assessore, significa anche costruire nuove sensibilità, nuovi sensi di responsabilità. Diverso l’approccio al problema da parte della Regione Lombardia che punta soprattutto ad incentivare le imprese perché siano motivate ad aumentare le misure di prevenzione. Ne ha parlato un funzionario della Regione, Patrizio Tambini, che è anche assessore ai lavori pubblici della Provincia di Como. Oltre a premiare le aziende meritevoli sul terreno della sicurezza, la Lombardia intende aumentare la vigilanza e semplificare le normative che a volte risultano troppo complesse.  Nel dibattito l’Associazione Nazionale dei Mutilati e degli invalidi del lavoro ha espresso un giudizio molto positivo sulla legge regionale sarda, giudicandola la migliore normativa esistente. L’ex parlamentare Adriana Bartolich ha suggerito che tra le strade seguite dalle due Regioni – apparentemente così diverse – si possa trovare una mediazione e che particolare attenzione si debba porre alle piccole e medie aziende dove le violazioni delle norme di sicurezza sono più frequenti. I rappresentanti di vari circoli sardi della Lombardia hanno sottolineato quanto siano condizionati i lavoratori dall’incessante ricatto dei tempi produttivi imposti dai datori di lavoro. Articolo 21 ha sottolineato infine l’importanza che questi confronti hanno per far crescere una nuova coscienza del problema, in modo da riuscire a raggiungere, anche in Italia, quella drastica riduzione degli infortuni sul lavoro ottenuta in altri Paesi europei – in particolare in Gran Bretagna – grazie soprattutto ad una capillare azione informativa e formativa.

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