Bonaventura Licheri

di Sergio Portas

 

Inverno. La neve trasportata dal vento brucia la faccia dei pellegrini che arrancano, male vestiti. Il cielo serotino lascia intravvedere le stelle che paiono fredde anch’esse. E’ una carovana di derelitti quella che si aggira per il Limbara, alla disperata ricerca di riparo. Di un covile. Vi sono storpi, brucianti di febbri, orfani affamati, nel vero senso della parola. Intorno alla fine del settecento, in Sardegna, e abituati come siamo da immaginarcela soleggiata, agostana, questa nostra isola, quasi non la si riconosce. Alla guida di simile compagnia di ventura, due uomini che il saio non riesce a riparare sufficientemente. Due gesuiti, forse. Padre Vassallo, proveniente dal cuneese, e padre Bonaventura Licheri, figlio di Neoneli, nel Barigadu. E’ quest’ultimo ad averci lasciato questa istantanea, insieme a molte altre, nei suoi componimenti di poesia, che un suo paesano di oggi si è fatto carico di ricercare, finalmente. E di riportarcene testimonianza scritta in suo libro benemerito:"Deus ti salvet Maria"( Ed. s’Alvure, Oristano 2005), come la famosa canzone che tutti i sardi conoscono . L’ha per lo meno tradotta, se non composta del tutto, lui, il Licheri che dicevamo. E Eliano Canu è il neonelese di oggi. Di mestiere sarebbe insegnante a Sorgono, ma a cinquant’anni, accecato sulla via di Damasco come quel tale Saulo, si è gettato nel campo della ricerca storica, non foss’altro che per capire una buona volta a chi fosse veramente intitolata la strada che lo portava da casa a scuola, da fanciullo. Girando per sagrestie, biblioteche, archivi  vescovili, munito di lente d’ingrandimento  come un moderno Sherlok Holmes, si  è davvero fatto investigatore. E la fortuna gli ha dato una mano, come fa di solito agli audaci.Le poesie che ha pubblicato in anteprima sono davvero notevoli, sotto vari punti di vista. Quello che appare più luminoso, verrebbe da scrivere numinoso, dato il carattere sacro delle pagine, è il quadro di questa Sardegna dolente, invernale, oberata dalla neve ( siamo in un periodo che i metereologi chiamano :"piccola glaciazione", e ci sono riferimenti storici di una nevicata a Tonara di dieci metri di "bianca coltre")in cui la fatica del vivere è fortemente acuita dai rigori del tempo. I fuochi che a S. Antonio preannunciano la fine dell’inverno riflettono allora una gioia quasi animale, tanto è stato il patire dei mesi precedenti. E le maschere dei paesi che venivano indossate, le facce dipinte di biacca, di oro a  Cuglieri, le spalle tormentate da sacchi ripieni di ossa, il calpestio dei piedi tutti con lo stesso ritmo, sulla neve fradicia, ci riportano  ad un tempo di  culti ctonici, pagani, in cui occorreva allontanare la morte. Per sopravvivere. "…E in su fogulone/ ballant sos Colonganos/ cun urteddos i n manos/de bardaneris". Siamo ad Austis, sant’Antoni in s’ierru nel 1770. Ai due religiosi, a cui viene dato ristoro e cibo, e vino, tocca di condannare tali riti. Con voce forte, che ha dietro una chiesa imperante, che salva in altro modo. E che non abbandona i miserabili alla incuria dei più. Ma li tratta come fratelli in Cristo, degni di umana pietade. Molte delle poesie del Licheri agghiacciano il sangue quando trattano di maghe e accabadore. Queste ultime particolarmente attive nel liberare questo mondo non solo degli agonizzanti, e a questo scopo ogni zona della Sardegna sembra caratterizzata da un suo infernale attrezzo alla bisogna: mazzuccu, giuale (giogo di buoi) e,  quello che più mi ha colpito, il sottile osso del maiale che, diremmo con chirurgica efferatezza, era pronto a bucare il cervello dei moribondi,  ma anche degli "storpi" e dei "pazzi". Sarà che il dibattito sull’eutanasia sta attraversando il nostro paese con stridio  di televisioni e giornali. Sarà che la chiesa cattolica si distingue per tutta una presa di posizione che contesta allo stato italiano una pretesa di regolare i valori ultimi che non si possono negoziare. Insomma  questo aspetto delle poesie del Licheri è particolarmente attuale. Ci parla del nostro interagire con i più sfortunati, gli orfani, i vecchi, i malati. "…E s’orfaneddu iscurzu/ chi ‘enit dae luntanu/ e ti tendet sa manu/ lemusinante// miralu pro un’ istante/ fagheli sa partzida/t’at a crescher sa vida/ in saltu situ". L’altra vita nell’aldilà è presente come cosa certa, il paradiso tocca meritarselo, e a intercedere per noi sono angeli e santi. E Maria, naturalmente, "matrona soberana, santa intercessora". Che si ricordi di pregare a "…Fizzu Ostru/pro nois peccadores/chi totus sos errores/ nos perdonet". A leggere il Licheri, anche lui si dichiara peccatore e sembra che a Busachi, mentre predicava dal pupito, sia stato trafitto dal sentimento d’amore scagliatogli dagli occhi di una bella donna, nobile. Le malelingue parlano di un legame che ha generato un figlio, e una poesia  molto accorata del ’65, il Licheri aveva tret’anni, apre e chiude con "fizu e su pecadu", ma ogni rima comincia con "fizu", a invocazione, a rimarcare che il bimbo di cui si parla  è "fizu de s’amore". Non è sempre inverno nelle poesie di Bonaventura Licheri, c’è spazio per cantare dell’acqua e delle onde marine, della luce di maggio e dei campi di grano.  Ma , almeno quelle che sono scritte in questo libro, e non sono tutte, le più  vertono su di una itinerante vita, condivisa con decine e decine di miserabili, aggrediti dalla malattia, bruciati dalla febbre, che i due sacerdoti portano avanti "ad maiore gloriam dei". Il Licheri scrive in gallurese e la sua è una poesia cantata e ruscellante, che ben si presta a farne rima di canzone, di coro. A Neoneli il fratello di Eliano, Tonino Cau, fa parte dei tenores che si sono conquistati fama e consensi anche all’estero, non solo in Italia e Sardegna.  Cantando anche canzoni coi testi del Bonaventura neonelese. Eliano Cau, qui a Milano nel circolo sardo, ci regala una "performance" davvero regale. Intanto occorre dire che, da buon insegnante d’italiano, sa davvero tenere la platea col fiato sospeso, l’eloquio ricco e sorprendente. Una memoria di ferro che lo porta a citare versi e quartine come fa Benigni con Dante, è stato davvero  colpito da una vera e propria follia narrativa all’incontrarsi con la figura del Licheri. Ha già pubblicato due romanzi che si ispirano al gesuita di Neoneli ("Dove vanno le nuvole " e "Adelasia del Sinis") e ora, tempo due anni dice, ne vuole pubblicare l’opera omnia. Ci sono centinaia di inediti, ricopiati a mano, misti di sacro e profano, che si possono trovare nel fondo del canonico Raimondo Bonu. E questo Bonaventura Licheri è poeta grande grande grande. Che riesce a cantare delle maschere di Mamoiada dalle facce tinte di sangue e di quelle di Cuglieri che per fare fracasso usano le conchiglie, nonché  di prostitute dei covili e di acabadore munite del loro terribile "s’ossu sanadore", a sanare ogni malformazione che non trovava pace in questa terra. Stante l’opera di risanamento delle finanze regionali per cui il governatore sommo di Sardegna, Soru Renato da Sanluri, ha tagliato i fondi con cui i circoli sardi  finanziavano gli avvenimenti culturali, non ci sono i soldi per ospitare il coro di Neoneli che pure doveva essere presente a questo evento. Ci si deve accontentare di un più prosaico CD (leggi compact disk)i
n cui le note del "Deus ti salvet" fanno inumidire le ciglia dei presenti. La canzone   ha due strofe in più della "versione originale", ammesso che ne esista una codificata, apre con "Matrona Soberana/ santa intercessora/ Bos supplico Segnora/Sola e Pia". Chiude con "Oremus de prezisu/Remediu ‘e d’ogni male/sa gloria universale/dade Maria/". "E gasi siat".

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