IL SEQUESTRO DI PERSONA E LA MEMORIA COLLETTIVA: DIBATTITO A NUORO PER LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “PRIGIONIERO DEL MIO NOME”

Nel Teatro San Giuseppe a Nuoro è stato presentato il libro “Prigioniero del mio nome” –edizioni Il Maestrale-, coordinatore Giuseppe Deiana caporedattore dell’Unione Sarda, relatori Mauro Pusceddu, Presidente tribunale di Nuoro e don Francesco Mariani direttore de “L’Ortobene”, presenti gli autori. Letture di Sandra Tatti e Max Loche.

“La storia narrata nel libro ci insegna che agli eventi si risponde e non si subiscono anche quando bisogna farlo a muso duro” così don Roberto Carta nei suoi saluti.

“Quale è stato il ruolo della chiesa in merito ai sequestri”? chiede Deiana a don Mariani.

“Nella maggior parte dei sequestri – risponde il sacerdote -, il ruolo di emissario veniva affidato a un prete perché spesso l’intermediario veniva massacrato di botte o trattenuto come ostaggio dai sequestratori. Da qui la scelta nella speranza che i sequestratori lo rispettassero. Fare l’emissario stava diventando in molti casi una professione, nel senso che alla famiglia del rapito si chiedeva un compenso e talvolta i conti non tornavano. Questo rischio con i preti non si correva. Infine il prete era meno individuabile e intercettabile di qualsiasi altro emissario e quindi meno esposto a controlli da parte delle forze dell’ordine. Nel ’91 la legge 82 – prosegue -, aveva dichiarato l’emissario correo per favoreggiamento e la Conferenza Episcopale Sarda impose il divieto ai preti di fare l’intermediario impedendo anche di leggere eventuali lettere pervenute, così come la legge sul sequestro dei beni rendeva molto più complicata qualsiasi trattativa. La chiesa ha combattuto a viso aperto e con coraggio i sequestri di persona e per amore delle famiglie dei sequestrati ha fatto cose incredibili. Ha speso tanto in termini di rischi e molti preti hanno subito attentati e danneggiamenti ove non era andato tutto secondo le attese dei sequestratori”.

Deiana ha invita Pusceddu a dare la sua testimonianza come figlio di un maresciallo di Polizia e come magistrato.

“Due sono le parole fondamentali in questo libro –  ha spiegato Pusceddu -.  La parola memoria che contempla il ricordo di un padre assente per settimane intento a pattugliare la campagna palmo a palmo, non c’erano i GPS, non c’erano i droni, solo la conoscenza del territorio e delle persone. Per me il sequestro era mio padre che di notte andava via e la liberazione, se avveniva, era associata a mia madre che preparava il thermos di caffellatte da offrire a qualche sequestrato. C’è la memoria individuale, quella che ognuno ha, quella di chi dai sequestri non è tornato e di chi li ha vissuti e subiti. Ma la memoria collettiva del sequestro di persona cos’è? Chi ha guardato alla memoria collettiva in questi ultimi 30 anni ha guardato a un fenomeno in qualche modo assolvendolo, non valutandolo per quello che era cioè un bieco ciclo economico sostituito poi da quello dell’assalto ai portavalori e da quello della coltivazione della marijuana? La memoria collettiva, ahimè, ha anche un grosso limite, noi tendiamo a dimenticare le vittime di questi sequestri, non mi risulta che in tutta la Sardegna ci sia una via dedicata a un sequestrato non tornato, come non mi risulta che la memoria collettiva abbia finito di fare sparire gli strascichi di quel pensiero schifoso e colpevolizzante che è alla base della legittimazione del sequestro.

il sequestro di persona è una cosificazione dell’uomo, forse è giusto usare proprio la parola sequestrato, perché viene privato non della la libertà ma della dignità con le umiliazioni, le violenze e le torture che gli vengono inflitte.

Dal punto di vista giuridico – ha concluso -, la legge del blocco dei beni, crudele e ingiusta perché colpiva il patrimonio di chi subiva il sequestro, è stata una legge che ha agito su questo meccanismo e in qualche modo l’ha cambiato e questo dato va riconosciuto”.

“Sottoscrivo quanto detto sulla memoria – ha affermato Tatti coautore del libro -. Inseguendo la cronaca anche noi spesso ci siamo dimenticati degli uomini e delle vittime che per una sorta di vergogna si sentono colpevoli del loro stesso sequestro, solo in questi ultimi anni alcuni sequestrati hanno cominciato a raccontare. Raccontare è una tragedia immane, confesso di aver avuto molta difficoltà a far parlare Riccardo. Ma oggi la vostra presenza così numerosa dimostra la voglia di interrogarci e come opinione pubblica abbiamo una grossa responsabilità”.

“Noi siamo stati vittima di un terzo sequestro da parte delle banche – ha dichiarato Ricardo Devoto -, da quella famosa notte del 1985 quando la banca d’Italia ci ha consegnato la valigetta con 800 milioni poi finiti nelle mani dei sequestratori. Era un fido bancario che ci comportava degli interessi passivi del 23 % pari a 160 milioni l’anno. Da quel momento mio padre ha cominciato a morire. Voleva salvare la torrefazione ma per fortuna noi fratelli abbiamo preso la decisione di convertire l’azienda da manifatturiera in immobiliare.  E ce l’abbiamo fatta”.

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