FABRIZIO DE ANDRE’ E L’ISOLA PARADISO: VENTICINQUE ANNI SENZA FABER

Il giorno delle nozze con Dori Ghezzi a casa di Franco Macciocco – foto esclusiva di Giovanni Gelsomino

Sono passati venticinque anni da quell’11 gennaio 1999, un quarto di secolo senza Fabrizio De Andrè. Se ne andava dopo una lunga malattia all’Istituto dei Tumori di Milano, alla soglia dei 60 anni uno dei più importanti artisti italiani del ‘900; cantautore influente e innovativo, capace di partire dalle radici della scuola genovese con influenze dal cantautorato francese, per approdare un importantissimo lavoro sulla musica del mediterraneo, con album come “Crueza de ma” e “Le nuvole” che si muovono nel territorio della world music. Nel 2024 per celebrare la sua opera, tutti i 14 dischi di De André saranno ripubblicati in nuove edizioni arricchite da note autografe dello stesso De André, commenti, estratti da interviste.

Ma è l’innamoramento per la Sardegna, lungo 24 anni, una terra che lo ha accolto e amato uno dei temi che tiene banco a un quarto di secolo dalla sua scomparsa. Talvolta non lo ha capito. E ha saputo perfino fargli molto male.

Nel libro del 2015 Fabrizio De André e l’isola paradiso, curato da Giovanni Gelsomino, saggista e giornalista, narra di un Faber quotidiano raccontato dai tanti amici che ne hanno condiviso il percorso, prima ancora umano che artistico. Dalla Genova degli ultimi, del letame da cui nascono i fiori alla Sardegna e alla Gallura. Alla luce e alla natura di quel popolo “fiero e silenzioso” così vicino alle corde più intime di Fabrizio De André.

Il libro dimostra come sia ancora possibile cogliere aspetti meno esplorati della vicenda umana di De André, nonostante su di lui sia stato detto e scritto praticamente tutto. E in ogni caso sia sempre possibile ridestare nel pubblico quell’affetto e quella dolce nostalgia che sempre si prova quando si parla del poeta sardo-genovese. Ancora di più quando il racconto è corredato – come nel caso del libro di Gelsomino – di una grande quantità di foto inedite, «Tolte per l’occasione dagli amici dal fondo dei cassetti».

La sua venuta in Gallura non è stata una fuga dal reale e neppure politica dello struzzo. Capriccio o espediente per sfuggire la noia della vita borghese, ma qualcosa di molto più profondo: la ricerca di un porto sicuro, da amare. Non da sfruttare. Un punto d’arrivo e di vedetta; un osservatorio per guardare la vita nei suoi ritmi primordiali e nei suoi valori più genuini, dove è possibile vivere serenamente parlando e stringendo amicizia con la gente del posto.

Imparando la lingua e immergendosi nella sua cultura e tradizione trovando nuovo humus che diventerà poesia, messaggio e ringraziamento. Nelle sue creazioni successive, canzone.

Disse a un amico fotografo che racconta nel libro il suo incontro con De Andrè in Gallura: «Credo non ci sia altro posto dopo Genova, dove mi senta a casa mia come qui». Nell’aprile del 1976 aveva acquistato in Località Baldu, a circa 12 chilometri da Tempio, i fondi agricoli Donna Maria, Tanca Longa e Agnata: 150 ettari di superficie complessiva. Qui ha ritrovato la campagna con le sue dolci colline che ricordavano la Liguria, “terra protesa sul mare”, per la quale ha sempre mantenuto un profondo affetto e dove aveva deciso di comprar casa. Proprio sul porto per avere un piede nell’isola e l’altro «Nella regione della mia nascita».
In Gallura realizzava uno dei suoi sogni. Definiva uno dei “passaggi di tempo” tra i più importanti della sua vita; il ritorno a quelle origini contadine cui tanto aspirava fin da quando, ancora bambino, a Revignano d’Asti frequentava la cascina che possedeva la nonna materna. E ha voluto che questo passaggio rimanesse nero su bianco con la domanda che nel febbraio del 1984 aveva presentato alla Comunità Montana di Tempio per ottenere l’iscrizione all’Albo dei Produttori Agricoli, a Titolo Principale.

Domanda che era stata accolta con grandissima soddisfazione. Egli andava molto fiero di questa riconosciuta qualifica ed esibiva la relativa certificazione come se si trattasse del più importante dei suoi documenti. In dialetto gallurese ha scritto due canzoni. Zirichiltagghia nel 1979. «Quattro anni in Sardegna» disse presentando la canzone «vuol dire, come minimo, se uno ci vive dentro, imparare il dialetto». L’altra è Monti di Mola.

Sfogliando le pagine del libro ecco De André nei molti momenti di intimità con Dori e i figli. Con gli amici galluresi, negli spuntini e nella tenuta di l’Agnata. Il libro narra gli ultimi 24 anni di vita di De André trascorsi in Gallura, ripercorrendo alcune tappe fondamentali della sua permanenza. Si narra di un Faber quotidiano raccontato da persone che lo hanno conosciuto da vicino e dalle quali lui si è fatto conoscere.

Si racconta la storia del “Contadino pieno di sogni” – diceva che l’agricoltura era il suo vero mestiere, poiché quella gli dava concretamente il pane quotidiano.

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