L’ARCAICA RITUALITA’ DI SU PRUGADORIU: LE ANTICHE TRADIZIONI DI SEUI IN PIAZZA DUOMO A MILANO

Sono giorni questi in cui la barbarie dell’homo sapiens si dispiega in tutto il suo orrore e gli aerei d’Israele continuano imperterriti a bombardare una popolazione di due milioni d’abitanti che non ha via d’uscita, né nessuno veramente vuole a casa loro, né i “fratelli” giordani, né i “cugini” egiziani. Mandria di popolo che non ha acqua da bere, pane da mangiare, elettricità per far funzionare almeno gli ospedali, le culle dei neonati prematuri. Muoiono a grappoli, “effetti collaterali”: Israele mira ai topi di Hamas rifugiatisi nelle loro tane, dopo aver massacrato in un impeto di follia omicida altrettanto innocenti bimbi e donne e anziani, 1400 sembra, e aver rapito a centinaia sempre bimbi e donne e anziani. Ho la sindrome che Valeria Parrella ben descrive sul “Manifesto” del 29 ottobre, questo il suo incipit: “Penso sempre a Gaza. Sì è vero mi alzo, esco, faccio le mie cose e penso sempre a Gaza. Più cose faccio più penso a Gaza. Se apro il rubinetto penso a Gaza che non ha acqua, se mio figlio ha la febbre penso a Gaza che non ha medicinali, se viene una scossa di bradisismo penso che a Gaza esplodono le bombe…”. Per orrore della stampa nazionale, delle televisioni pubbliche e private che trattano l’argomento con una vacuità che genera solo disgusto, mi capita di rifugiarmi spesso sull’agenzia “Ansa” e, con sorpresa, tra le notizie che incalzano dal Medio Oriente, mi imbatto, il 30 di ottobre, in una che rimanda alla Sardegna: “A Seui niente Halloween ma l’antica ritualità di Su Prugadoriu”. Scrive Maria Grazia Marilotti: “Tempo di Halloween, ma a Seui, sud Sardegna, si celebra un’altra storia. Il paese della Barbagia di Seulo si veste di un’antica ritualità in una dimensione di festa. Dal 31 ottobre al 1° novembre si rinnova “Su Prugadoriu”. E’ la rievocazione autentica del culto ancestrale delle anime, nato per esorcizzare le inquietudini intorno all’eterno mistero dell’aldilà. I bambini girano di casa in casa all’imbrunire. Coi volti anneriti bussano alle porte per chiedere un’offerta per “is animas”, le anime del purgatorio. Secondo la tradizione popolare, nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, le anime del purgatorio violerebbero, dal tramonto all’alba, il confine tra il mondo delle ombre e quello dei vivi, a cercare conforto. Agli adulti spettava di propiziare pace ai trapassati attraverso un dono, frutti di stagione o un dolce. “Su prugadoriu è un atto di resistenza culturale, attraverso un rito che resiste alla globalizzazione per affermare e difendere un’identità…in un’atmosfera quasi magica e fantastica, alle luci dell’imbrunire con i fuochi accesi, antichi saperi e usanze rivivono e si intrecciano alla contemporaneità…”. Ricchissimo il cartellone di eventi che trasforma il paese in un palcoscenico a cielo aperto per spettacoli, musica, incontri, gare poetiche, giocoleria, arte della falconeria, arte di strada, esibizione della Seuinstreet Band e delle maschere S’Urtzu e sa Mamulada. Non ci crederete ma la Seuinstreet band era a Milano ai primi di settembre e il pomeriggio della domenica 10 si è esibita in quella che è indubbiamente lo spazio più prestigioso della capitale meneghina: piazza del Duomo. Non è un caso che la mattina dello stesso giorno a occuparla tutta fosse stato Roberto Bolle con più di 1600 ballerini provenienti da tutt’Italia per un’eccezionale lezione di danza classica. Con la diretta sui canali Rai nazionali. Ma, come scrive Anna Maria Turra sul net di “Costa Smeralda”: “Calata al nord d’Italia, come hanno fatto i Barbari, la SeuiStreetBand si infila, divertita e chiassosa, tra le più note manifestazioni, passando dal Gran Premio di Monza alla Mestre operosa che si appoggia sulla laguna di Venezia. Arrivano dalla Sardegna e, se dal mare salpavano gli Shardana, loro raggiungono il Nord in aereo, portando in giro con un bus la prima banda di strada sarda”. L’impressione che fanno è davvero enorme, sarà che a sfondo hanno un Duomo che i raggi del sole meridiano tingono di tinte d’oro, sarà anche il loro numero, una quarantina, tutti vestiti a maglietta giallo-canarino, jeans azzurro chiaro e scarpe da ginnastica bianche, il logo della “band” stampato grande in nero dietro le spalle. Trombe e sassofoni esibiti come armi d’arrembaggio, si muovono coralmente eseguendo coreografie sinuose, le percussioni dettano il ritmo e generano intorno un contagio d’allegria che fa ballare anche il pubblico presente, come fosse stato morso da invisibili tarantole. Niente partiture scritte, tutti suonano “a memoria”, e se anche qualcuno improvvisa o non è a tempo con gli altri tutto si ricompone in un’orgia musicale che mischia jazz, rock, punk e funk, senza che la musica classica non s’infili essa pure, anche perché molti di loro sono musicisti veri, o aspirano a diventarlo seguendo i corsi del Conservatorio di Cagliari. D’ogni età, giovani e meno giovani, molte anche le ragazze. La banda storica di Seui è la “Gioacchino Rossini”, fondata ai primi del novecento dai nonni dei ragazzi che sono oggi a Milano; Seui, vale ricordarlo, conta a mala pena 1200 abitanti, arrampicata com’è sulle pendici meridionali del Gennargentu a ottocento metri d’altitudine, si pregia di una natura sontuosa che giocoforza aveva attirato ad abitarla genti già tremila anni fa, la sovrasta la foresta di Montarbu coi suoi 2800 ettari di boschi interrotti da pareti verticali che richiamano gli amanti del trekking e vallate solcate da cascate e ruscelli, annovera un enorme numero di lecci che ricoprono metà dei 15.000 ettari del territorio seuiese. E’ oasi faunistica per aquila reale, cervo, daino e muflone. Chi avesse l’opportunità di un viaggio col “trenino verde” potrebbe tranquillamente assaporare un’atmosfera di serenità capace di   riportarti indietro di secoli, di quando in Sardegna ci si spostava a cavallo e le donne dei paesi tutte rigorosamente a capo coperto solevano, per le feste solenni, addobbarsi di costumi sontuosi. A mille metri d’altezza il nuraghe Ardasai, una torre centrale cinta da mura, a cui sono addossate altre torri minori, ti ricorda che stai percorrendo le terre dei sardi che qui hanno signoreggiato per millenni, lasciandosi dietro a eredità che non muoiono costruzioni in blocchi di pietre che solo dei giganti avrebbero potuto assemblare. Ai tempi in cui era attiva la miniera d’antracite di “Fundu ‘e Corongiu” la cui scoperta è attribuita al La Marmora, è durata dal 1870 e chiusa nel 1960, il paese aveva quasi tre volte gli abitanti di adesso, inevitabile domandarsi come agire per tentare di fermare lo spopolamento in atto. Il “nuovo” sindaco ( eletto nel maggio 2023) Fabio Moi con il logo della sua lista civica: “Progetto Seui” sembra avere le idee chiare: supportare tutte le energie rimaste nel paese per ribadirne l’identità culturale che lo ha retto sinora, a sottolinearne la peculiarità tipica di un paese sardo che, a somiglianza del soprannome con cui era noto lo scrittore e saggista Filiberto Farci a cui ha dato i natali, deve essere riconosciuto come “sardissimo”. Percorso scolastico obbligato quello del Farci, scuole secondarie in paese, poi il classico “Dettori” a Cagliari, una prima laurea in giurisprudenza, poi una seconda in lettere, la terza in filosofia interrotta nella sua fase finale dall’avvento del fascismo. Farci era stato da sempre un antesignano dell’autonomia della Sardegna, grande amico di Emilio Lussu, uomo davvero tutto d’un pezzo, figurarsi se per discutere la sua tesi di laurea si sarebbe assoggettato ad indossare la camicia nera. E’ un esponente di spicco della cultura sarda del primo ‘900, scrittore di poesie, novelle, anche romanzi, il suo “Rusticane” pubblicato nel 1903 ha la prefazione di Grazia Deledda. Amico di Sebastiano Satta, di Francesco Ciusa. Anima e firma del giornale “Popolo sardo”, aderisce da subito al Partito sardo d’azione, tra i suoi rifondatori del 1948 a Cagliari ne diviene il primo segretario cittadino del dopoguerra. Una visita al museo “la casa Farci” è d’obbligo quindi, come pure al carcere baronale spagnolo, sede dell’amministrazione della giustizia per oltre tre secoli, chiuso solo nel 1975. Ma c’è anche la galleria civica, contenete un centinaio di opere di artisti sardi contemporanei dispiegate in quattro sale espositive. E “S’omu de sa maya”, un edificio fine ‘600 in cui l’allestimento museale ruota attorno alla “strega” Caterina Lay di Seui, processata con autodafé dinanzi al giudice inquisitore nel 1853. Insomma Seui ha tutto puntato sulla cultura, un centro storico  completamente restaurato, numerose fontane e le due chiese principali ( San Giovanni Battista e Santa Maria Maddalena) completano l’offerta turistica. A portare alta nel “mondo” la voce del paese, la “streetband” che vi dicevo, a riprova che la gioventù di Seui, pur partecipando in maniera organica alla vita del paese, con le sue sagre, le sue feste patronali, sa declinarsi anche nella modernità d’espressione musicale tutt’altro che ancorata al passato. Molti meriti vanno al maestro Adriano Sarais che la dirige, al docente di percussioni Francesco Oppes, ma l’anima che esprime la “band” è tuto merito dei suoi strumentisti, parecchi gli studenti del liceo scientifico “Farci”. Faccio in tempo a scambiare due chiacchiere con alcuni di loro: Matilde Loi è al terzo anno di liceo e al decimo nella banda. Da 12 è Carla Giulia Striano che, mi dice , è anche cantante jazz, da due anni studia il trombone a Cagliari e intanto insegna canto nelle scuole di Seui. Parlano poco sardo ma sanno esprimersi con il linguaggio universale della musica. Seduti sulle gradinate del Duomo per la foto rituale, nel mezzo del gruppo ridente, ben tesa, fa bella mostra di sé la bandiera dei quattro mori.

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