IN PUNTA DE BILLETTO: NINO LANDIS, DA GARCIA LORCA ALLA SCUOLA POETICA LACONESE

Nino Landis

E se ci fosse un paese di poeti, oltre a santi, pastori, emigranti. Verrebbe da dire navigatori…No, navigatori proprio no, il mare non è vicinissimo al Sarcidano, e non ci sono fiumi o laghi di rilievo. Credo anche che a Laconi, perchè di esso si parla, dove anche io sono nato, i nuotatori professionisti siano pochi…o è un luogo comune visto che abbiamo oggi le piscine di Isili e Nureci vicine? Ma, dicevo, poeti, si, di quelli alla buona, alla sarda, senza grandi maccheroniche o ateneiche pretese. Ecco, un paese di poeti, di quelli che cantano e scrivono in sardo, e che sardo! Un sardo popolare, ma infine colto. Un sardo raffinato, ma comprensibile. Un sardo che racconta il mondo semplice, ma intenso del villaggio, della campagna, del vicinato… Che scompare? No, questo è solo un altro cliché, in realtà non scompare, si adegua e lo potete ancora trovare, nei vicoli, nelle vigne, negli orti, nelle tanche enormi e nei boschi non bruciati. Nelle parole timide, ma orgogliose, dei laconesi di oggi. Nelle abitudini posate degli abitanti più in contatto con la natura o con lo spirito del luogo. Non se ne è andato quello stile di vita e di lingua, ma resta. Continua a vivere insieme a chi, in barba ai flussi secolari di popolazione, ha deciso di restare nel paese che si spopola. Non per resistere, ma per esistere. Forse desistere dall’inutile correre cittadino e globale. 

Questo stile di vita semplice ma complicato, bucolico ma incivilito, molto educato, riservato, solitario ma comunitario, antico… No antico no, perchè sarebbe un cliché, anzi è molto contemporaneo, come i suoni della poesia che esprime.

Degli attimi irripetibili di vita del villaggio, almeno secondo la sua esperienza e sensibilità, si nutre la poesia di Nino Landis, ultimo, ma non meno importante, poeta laconese nato nel Novecento, che pubblica di recente la sua silloge ‘In punta de billetto’ per l’editore Domus de Janas. Una raccolta di poesie di vario metro e argomento, uno zibaldone preziosissimo di amicizie, sentimenti, nostalgie, motteggi che vengono offerti al lettore con un’autenticità che disarma, sorprende, allieta a tratti. Per generazione Nino ha vissuto anche stagioni difficili al paese, ha conosciuto, insieme ai nostri nonni e bisnonni, forse il fantasma dell’indigenza, sarà stato sfiorato e avvolto dalle difficoltà economiche e sociali del secondo dopoguerra, visto anche che la sua famiglia si è trasferita, in massa, a San Sperate, dove ha felicemente prosperato. 

Ma nonostante la perfetta integrazione nel nuovo mondo cagliaritano e campidanese, tra pesche, vigneti, Sciola, murales, una vivacità culturale con pochi pari, Nino non ha mai smesso di pensare al suo mondo primigenio. Oltre che a tornarci regolarmente osservando le mutazioni, le nuove generazioni, lo svuotamento. Oggi Laconi è meno polverosa, meno rozza dal punto di vista edilizio e archittetonico, più bella, ma più vuota, quasi arida rispetto al brulicare delle famiglie e dei rioni ai suoi tempi fino agli Anni Settanta. Molti laconesi hanno continuato a far vivere questa identità fuori, come molti sardi in tutto il mondo. È nella vita di Landis va registrato anche un periodo medio lungo di residenza in Spagna dove entra in contatto con la lingua e con la poesia di Lorca. Di cui è perennemente innamorato, come del vino (che si autoproduce). 

La lingua poetica di Landis, basata essenzialmente sul dialetto parlato a Laconi, si muove però senza grandi scenari roboanti o declamazioni altisonanti, in punta di piedi, con circospezione, provando a rendere evidenti stati d’animo e sentimenti privati. Una poetica del quotidiano attraverso la memoria, la conversazione immaginata o finanche la corrispondenza poetica, genere tradizionale quasi scomparso.

È il teatro il mondo di Nino: lui scrive per poter recitare. E va in scena la Laconi esistenziale dei suoi ricordi. Roba chic per pochi, uno splendore lirico. L’obiettivo è raggiunto, quel mondo laconese quasi mitico, risuona quasi per incanto anche con le sue particolarità fonetiche e lessicali. Un patrimonio linguistico che l’autore conosce bene, pur al di là della difficoltà oggi, in Sardegna, anche per editori affermati, di renderlo con grafie coerenti e normali. Purtroppo. 

Nino Landis si inserisce, con la sua silloge, su un filone abbastanza non allineato all’accademia poetica sarda dominante. Un po’ eccentrico, molto solista, interessato a dire cose e raccontare sensazioni, piuttosto che vincere premi. Quindi non appartiene a nessuna corrente regionale. 

Si potrebbe invece parlare di una scuola laconese di poesia e lingua sarda che si snoda su due secoli con Nicheddu Fulghesu ‘Crocòcia’, Franciscu Lai, Elias Lai, Ignazio Fulghesu ‘Frana’ e i poeti dell’Antologia pubblicata dal Comune qualche anno fa. Ci butterei dentro anche Carmelo Argiolas, autore di un glossario municipale di rilievo, serbatoio indiscusso di lessico e espressioni idiomatiche. Oltre a una sempre forte riserva di ‘amatori’ d’eccezione che scrivono senza sosta in sardo: citerei Cicciu Manca e Cicinu Fulghesu (recentemente scomparsi), Livio Serra, Fausto Marongiu e altri, più o meno nascosti e riservati che citerò in seguito. Tutti autori in cui l’uso della variante locale comunale, si alterna con il modello nazionale sardo di Araolla, conosciuto come ‘logudorese’, termine che, come è noto, non uso mai perchè impreciso, fuorviante e foriero di tensioni localistiche. Nessuno chiamerebbe mai oggi l’italiano letterario ‘toscano’, per i motivi di politica linguistica che vi lascio immaginare. Però va detto che a Laconi, quando, nell’ambito del sardo, si parla di registro della lingua o del dialetto locale, il concetto è chiaro. I poeti lo sanno e alternano i due strumenti con alterne vicende. Va di moda il termine ‘varietà’ che per me è autocoloniale. Oggi poi abbiamo anche, con epicentro Laconi, la prosa romanzesca in lingua sarda. Che, come si vede, non nasce dal nulla. L’humus è dato dai tanti Nino Landis che il paese ci ha regalato. Ognuno singolare e straordinario a suo modo. 

Per tornare al bravo Nino, l’invito rivolto a tutti è di leggere questa raccolta con amore devoto. Lo stesso che ci ha messo lui nello scriverla, in anni e anni di passione. Si tratta di una preziosità unica, fuori dal professionismo dei cantori più noti e sostenuti dagli studiosi interessati alle classificazioni. 

La sua è un’anima vera che ci regala la sua interiorità, magari con qualche ingenuità stilistica, ma senza veli, senza rete, senza scaltrezze.  Perché troppa poesia sarda in sardo di oggi sembra proprio un belletto artificiale di scuola. Esattamente come rischiano di sembrare i nostri paesi spopolati: bellini che le strade sembrano salotti, ma irrimediabilmente vuoti. Nelle case, nelle strade, nelle campagne. Il vuoto. Come la  poesia quando è solo rituale e perde l’innocenza conformandosi allo sguardo, al gusto e ai voleri dei regimi culturali dominanti. Landis invece ce la ripropone popolare, arguta e brillante come in un classico ribaltamento di senso: in punta de billetto, un fuoriclasse del verso laconese e sardo.

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2 commenti

  1. Gianni Fulghesu de frana

    Sono orgoglioso di essere un laconese,di essere stato un Maniscalco,tra la Sardegna e il continente!..di essere un paesano di tutti questi grandi poeti che hanno fatto storia,e che continuano a Fare storia, sono orgoglioso di essere unu lacunesu

  2. Custa recensione est ispantosa, solu non mi torrant sos contos cun sa poesia!!

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