VENITE IN SARDEGNA E TORNERETE A RIVEDER LE STELLE: IL “CAMMINO DELLE 100 TORRI” SARDE PRESENTATO A MILANO

di SERGIO PORTAS

Parafrasando il celeberrimo verso della “Commedia”  per cui Dante e Virgilio si lasciano finalmente alle spalle l’inferno e rivolgendomi alla gran massa dei “cittadini” che si sono oramai scordati di cosa sia la magia di un cielo stellato, della via lattea che fa la corte a una falce di luna, mi verrebbe da dir loro: “Venite in Sardegna, e tornerete a riveder le stelle”. Insomma giocherei la carta dell’astroturismo per catturare l’immaginazione di quelli che un viaggio prima di praticarlo realmente se lo vedono in fantasia, lo percorrono “lentamente”, prefigurandosi tappe le più sorprendenti possibile. Quelli che camminano a piedi, al più in bicicletta o a cavallo, che più che l’hotel pentastellato apprezzano la convivialità di un agriturismo, più che la piscina riscaldata l’incredibile bellezza di un bagno in mare alle prime luci dell’alba. Nella bella stagione; nella “brutta” anche andare per spiagge e lasciare che la risacca ti lavi continuamente i piedi dalla sabbia, il mare che mischia la sua voce allo stridio dei gabbiani, sull’alto pendio contornato dalla vegetazione sempreverde, una delle cento torri d’avvistamento che i sardi del medioevo tirarono su a somiglianza di nuraghe, per visionare l’arrivo dei barbareschi allora imperanti e vogliosi di schiavi e di razzia. Che non v’era allora autorità statale capace di fermarli nel Mediterraneo tutto. Il “Cammino 100 torri”, sarde, che qui a “Fà la cosa giusta” in Milano viene presentato con altri che poi vi dirò, promette questo e molto altro contribuendo a fare dell’isola nostra una “island of many trails”: Sardegna: isola di Cammini. E molto ha scommesso la Regione su questa parola d’ordine, investendo in visibilità per quello che concerne i vari “cammini” che qui vengono sponsorizzati, illustrati, raccontati, con uno sforzo visibile in spazi occupati, davvero notevolissimi, con gigantografie le più spettacolari, che del resto è sempre una scelta che costringe a selezionare quella che tocca fare nel tentativo di fissare per istanti la magia di una terra dalle mille diverse sfaccettature. Ci vorrebbe un’enciclopedia dai mille volumi, e non basterebbe neanche. Venerdì mattina è il giorno delle scolaresche che impazzano, centinaia di piccoli visitatori, invano rincorsi da maestre dal volto tirato, che se non li riporti indietro tutti ti sei giocato il posto di lavoro, i visi aperti alle meraviglie esposte, gelati biologici, pistacchi afgani, decine di tipi di cioccolato, italiano e iraniano, pane e pizza e biscotti, i mille libri illustrati per loro, e i giochi di legno, come usava ai miei tempi campidanesi. In tre giorni dicono i comunicati stampa ufficiali, saranno 34.000 i visitatori di questa fiera della sostenibilità (leggi: un mondo senza petrolio e gas è possibile) raccontata grazie alle 450 realtà espositive provenienti da tutto il territorio nazionale. Non vi dico i giornalisti accreditati: trecentoventi! Le 15 messe in onda televisive, le radiofoniche: radio Popolare che ha trasmesso da qui per tutti i tre giorni della manifestazione, quando arrivo al loro stand venerdì mattina c’è Vittorio Agnoletto che per “trentasette e due”, la sua rubrica fissa settimanale sulla sanità regionale e nazionale, dà voce a una signora a cui è stato diagnosticato un tumore, che si è vista proporre l’inizio della cura nel febbraio del 2024. Neanche fossimo in Sardegna, verrebbe da dire, a leggere l’articolo di Costantino Cossu sul “Manifesto” di mercoledì 12 aprile a titolo: “Disastro sanitario sull’isola”, liste d’attesa infinite e c’è chi rinuncia alle cure, in Sardegna monta la protesta. Perché che la sanità nazionale debba essere altra cosa da quella sperimentata durante il covid e debba essere opportunamente finanziata, lo pensano appunto gli organizzatori, i visitatori, gli attivisti del clima, quelli che se ora vai a dipingere con vernice lavabile il cavallo del re Vittorio in piazza Duomo ti costa  60.000 euro, e pensare che si è  presentata anche la ministra del turismo Santanchè Daniela che a questi giovinastri sì scostumati ha lanciato parole di fuoco, manco fossero tutti patiti dei “rave” che sono già stati “sistemati” da apposita legge. Intanto il pianeta va a fuoco, lentamente ma inesorabilmente, chi si permette di ricordarlo troppo spesso e con metodi non concordati con le superiori autorità, disturba il guidatore e va silenziato, adesso con multe salate, poi con la galera di sempre. E che i seguaci di Greta Thunberg siano sempre più giovani, del resto è il loro futuro che se ne sta andando in frantumi mica il nostro, non sembra turbare il governo emerso dalle ultime elezioni nazionali, superlegittimo per carità, durerà per cinque e più anni per carità ( visto anche il campo di Agramante che fa l’opposizione). Ci si deve aggrappare alla “Laudato sì” del papa argentino per leggere un testo che tratti il problema con un minimo di obiettività, e a rappresentare Francesco qui è venuto l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini. La Santanchè e Delpini: il diavolo e l’acqua santa. Mi verrebbe da dire, ma è un gioco di parole un po’ scontato. La verità è che oramai a gridare, come invano fanno i nostri giovani è tutta la comunità scientifica internazionale, e ora qui in val Padana anche gli agricoltori che vorrebbero iniziare a irrigare i loro campi di sempre e si ritrovano fiumi e canali mutati in pozzanghere, nelle altre parti del mondo, sempre a causa di siccità, pastori nomadi e contadini, vanno scannandosi l’un l’altro: vedi, sempre nel “Manifesto” del 12, l’articolo di Stefano Mauro: 150 morti in pochi giorni nello stato del Benue: “La siccità infiamma il conflitto pastori-agricoltori in Nigeria”. E per quale motivo credete che nigeriani siano moltissimi tra quelli che riempiono le “carrette del mare” che sbarcano a Lampedusa e rischiano la pelle tra i marosi del Mediterraneo? Per aiutarli davvero a casa loro, dovremmo immediatamente smettere di finanziare all’estero i progetti energetici relativi all’estrazione dei fossili, si dice finanziare e si legge regalare soldi, l’Italia lo fa per 2,8 miliardi all’anno, è buona sesta nel mondo, davanti persino ad Arabia saudita e Russia, rispettivamente all’ottavo e nono posto. Scrive Marco Deriu nel suo “Rigenerazione”, per una democrazia capace di futuro ( Castelvecchi editore 2022): “…se come abbiamo visto, i moderni regimi democratici si sono costruiti attraverso una stretta dipendenza dal carbone e dal petrolio, il superamento della dipendenza dai combustibili fossili, pone allo stesso tempo la questione del superamento di una “democrazia fossile”…che funziona fino a esaurimento, che consuma le proprie risorse di libertà democratica a spese della libertà di altri popoli (vedi Nigeria, ndr.) o delle generazioni future” (pag.84). E’ venuta l’ora che queste ingenti risorse di denaro vengano convogliate su progetti di energia solare ed eolica, se non ora quando? La scrittrice di fantascienza Clelia Farris, cagliaritana del ’67, suoi libri pubblicati anche negli Stati Uniti, nel suo ultimo: “I vegumani” (Future Fiction 2020) immagina un’isola del Mediterraneo (indovina quale?) in cui le persone sono costrette a vivere di notte, e a ripararsi dai raggi solari che le brucerebbero, di giorno, la pioggia, quando viene, poca e una o due volte l’anno, l’organizzazione Mondiale del Clima aiuta le popolazioni a spostarsi a Nord, verso le terre artiche, le uniche coltivabili. Ma ci sono quelli che si ostinano a rimanere. Nell’isola del Mediterraneo a nome Sardegna si va immaginando oggi un turismo possibile “dolce”, non inquinante, capace di immergersi nella natura dei posti, capace di fermarsi a parlare con la gente che li abita, che li coltiva, che pascola lì le sue pecore, e ti offre ospitalità a prezzi non da strozzo. Si chiama turismo responsabile. Qui a Milano una delle “piazze” della fiera di quelle adibite a dibattiti e convegni, la piazza “Grandi Cammini”, si legge sotto è stata “Dedicata a Giampiero Pinna, ideatore e autore del Cammino minerario di Santa Barbara”. Che se ne è andato da questa terra a 72 anni solo sei mesi fa, lutto nel mondo della politica sarda, dice l’ANSA nel suo scarno comunicato, ma lui è stato ben più di un politico, è stato un sognatore ostinato, che è riuscito grazie a una tenacia ereditata dalla terra che lo ha visto nascere, in quel di Carbonia, a mettere in rete sindaci, ristoratori, albergatori, tutti come lui innamorati del proprio paese, in un progetto che dir fantastico è poco. Il cammino che unisce le miniere sarde, con le loro storie anche millenarie (vedi Montevecchio), le genti che le hanno lavorate. I nipoti e pronipoti di quelle genti, che mai potranno scordare le silicosi che si sono portati via i loro avi. Ma si può andare anche per monasteri francescani, o seguendo una via dei santuari, c’è un Cammino di San Giorgio, vescovo di Sardegna, uno di Santu Jacu, uno di Sant’Efisio, tutti coperti da un numero crescente di guide ambientali che, a piccoli gruppi, indirizzano, spiegano la storia del territorio, intessono percorsi culinari e quelli legati a autoctoni vitigni, raccontano dei paesi che si vanno calpestando. Delle chiese campestri, degli splendori e misteri del romanico sardo: uno per tutti il Monastero San Pietro di Sorres a Borutta. Delle case di terra cruda del Campidano assolato. Ne incontro una qui allo stand regionale: Laura Sedda di Villacidro, è come dice lei una archeoguida, anche lei guida gruppi in posti come Monteponi o Montevecchio e, facendo base a Nurachi, girovaga tra un agriturismo di Turri e una sosta notturna a Villamassargia. Andando anche per pozzi sacri, nuraghi e tombe di giganti. In Montevecchio preziosa la collaborazione col guspinese Mario Pilloni che, mi dice, figlio di minatore. Sta maneggiando tutta una serie di vasetti in vetro trasparente contenenti una serie di “terre”, tutte prelevate da vari paesi sardi che “l’architetta di intonaci” Isabella Breda usa per i suoi lavori sin dal 2018. Mi dice che ognuna ha una sua caratteristica ben particolare, per saper assorbire umidità o per meglio coibentare gli ambienti, ne ha campionato ben 17 e, a secondo dei posti in cui le ha prelevate, ha dato loro dei nomi in base al colore, vedo che quella di Pabillonis è denominata: cuoio, Iglesias è rosso ruggine, Serramanna miele, Guspini, sappiatelo, ha la terra colore del marsala.

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