PAPA BENEDETTO XVI, IL LUNGO ADDIO. OLTRE IL CAPITALISMO, PER UNA NUOVA UMANITÀ

Papa Benedetto XVI

di GIANRAIMONDO FARINA

Capire il pensiero economico di Joseph Aloisius Ratzinger, al secolo Benedetto XVI, in quei decisivi e travagliati  anni in cui si trovò a governare la “barca di Pietro” (2005-2013), ci porta ad “entrare nel cuore” del pontefice che, con più fondamenti teologici, ha cercato di portare la critica della Chiesa agli eccessi della modernità. Teologia riservata, schiva, la sua, ma tale da andare alla sostanza dell’azione di Dio nella storia. Andando oltre il gesto epocale delle dimissioni del 2013, stiamo scrivendo e parlando di un Papa ed uomo connotato da un acume critico ed intellettuale proprio di pochi nell’ Europa contemporanea. Questa propensione gli ha permesso di dedicarsi, “anima e corpo”, all’attenzione alla persona nella sua totalità. Includendo come totalità anche la dimensione storica, politica, sociale ed economica. Tutti aspetti che già emergevano, si badi bene,  nei precedenti scritti sociali del predecessore San Giovanni Paolo II, la cui lettura risente dell’enorme e profondo influsso dell’allora attento e fidato collaboratore tedesco del Pontefice polacco. Il primo dato che occorre evidenziare è quello che rileva come Ratzinger si sia trovato, con spirito pungente e graffiante, a parlare di “umanità” in un mondo “che cerca di vivere senza Cristo”. In secondo luogo è stato colui che, meglio, ha saputo incarnare la lotta e l’impegno della Chiesa cattolica per il “nuovo umanesimo ” contro  un nuovo modernismo e le sue conseguenze materiali. In  base alla sua convinta e giusta posizione sul dialogo fra fede e ragione, Benedetto XVI ha indicato l’uomo come “fine ultimo” di questo percorso. In questo modo il suo decisivo contributo ha arricchito la dottrina sociale della Chiesa in campo economico con  una maggiore attenzione alla tutela della centralità umana nel processo produttivo, con il rifiuto dell’accumulazione di capitale a spese dei diritti e con un’ attenzione decisa alle logiche della carità, della gratuità e del dono rispetto a quelle dominanti dell’economia globalizzata. Centro e culmine di questo maturato “percorso” sociale del Papa teologo è l’enciclica “Caritas in Veritate” del 2007. Benedetto vi era arrivato, però, occorre precisare, dopo la prima enciclica sulla carità e la seconda sulla speranza. Da buon teologo, ci si sarebbe dovuti   aspettare dal Papa una terza sulla fede.

E, per molti versi, in fondo, così è stato. La “Caritas in Veritate”, per essere capita, va riletta, anzitutto, sotto l’ottica di un’antropologia che crede la persona umana fatta ad immagine di un Dio comunione, Uno e Trino, che può raccogliere l’invito alla gratuità anche in questo mondo ed in questa disastrato ed egoistico sistema economico.

Sono, principalmente, tre le novità apportate dal fondamentale documento ratzingheriano: la centralità della persona, la ricerca di un legame fra gratuità e mercato e, soprattutto, il concetto di fraternità.

È quest’ultima parola, in sostanza, il “vero motore” del testo. Benedetto XVI, infatti, dopo aver affrontato ed esaminato i problemi mondiali legati allo sviluppo, alle disuguaglianze ed alle molteplici crisi connesse all’economia ed alla finanza, aveva invitato a porre la fraternità a paradigma e faro nelle scelte personali e collettive, aziendali ed istituzionali. E lo aveva  fatto partendo dall’inizio, ossia dalla scelta del titolo. “Caritasin Veritate” solo, apparentemente, singolare per una tematica di natura prettamente sociale.

Questi due termini, infatti, avevano costituito la base di tutta la relazione: “La carità nella verità” –scriveva il Papa emerito – “è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni personae dell’intera umanità, ma è anche una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva globalizzazione”. La Terra soffre “per mancanza    di pensiero” e chiede, chiaramente,“una nuova riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini”. Richiamo, questo, rivolto, coraggiosamente, a tutti: credenti e non.

Sarebbe occorso, quindi,  secondo Ratzinger, allontanare il diffuso senso d’impotenza e di fatalismo che impedivano (ed impediscono) lo sviluppo integrale di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

In questo modo il documento si  era presentato anche come “enciclica della speranza”, indicante la possibilità  di cambiare il mondo in meglio.

L’allora Pontefice, per “alimentare e tener viva questa speranza”, aveva interpellato, con forza, economia e finanza, politica e saperi, aiutando a cercare di riscoprire il senso ed il significato profondo della loro ragione d’essere.

È stata, questa, una grande lezione di storia, nel senso cristiano del termine. Il pur lento e contrastato cammino dell’umanità ha come traguardo la costruzione dell’unica famiglia planetaria. Scriveva ancora Ratzinger: “Lo sviluppo dei popoli dipende, soprattutto, dal riconoscimento di essere una sola famiglia”.

A tal fine, la globalizzazione aiuta, ma non basta, non è sufficiente.

La “Caritas in Veritate era diventata realmente un ‘enciclica per l’economia, il lavoro e la fede, guidata dal “motore” della fraternità. Per capirne ulteriormente il senso, Papa Benedetto aveva invitato tutti i credenti a  ritornare a “rispolverare” il concetto cristiano di “fraternità”,da cui dipendono la sussidiarietà e la logica del dono come gratuità. Tutti termini patrimoni unitari ed indivisibili del già ricordato pensiero sociale cattolico. Non solo, quindi,  Rerum Novarum, Populorum Progressio e Centesimus Annus, ma anche i padri della Chiesa.

La carenza di pensiero, causa principale del sottosviluppo economico, secondo questa visione, non è altro che promanazione di una più profonda mancanza di fraternità fra gli uomini e fra i popoli.

Veniva auspicata la riforma dell’Onu, ma si era andato anche oltre. Scriveva ancora Ratzinger:  “Urge la presenza di una vera autorità politica mondiale, riconosciuta da tutti e con poteri reali per garantire sicurezza, giustizia e rispetto dei diritti”.

In questo senso assumeva una centralità la società civile, al pari di Stato e mercato.

Questo grazie al principio di sussidiarietà, definito opportunamente come “un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi”.

L’altra “colonna portante” della “fraternità” era, appunto, la logica del dono, che “entra in gioco” dopo aver considerato la giustizia. Ancora il testo ci viene in aiuto: “I poveri non sono un fardello, ma anche una risorsa economica”.

Lo sviluppo economico e sociale, a questo punto, ha bisogno, per essere umano, di far spazio alla gratuità come espressione di fraternità.

Gratuità e mercato: un’altra, piccola, grande, rivoluzione del pensiero ratzingheriano.

Due parole, due concetti da sempre considerati antitetici ma che, invece, sono profondamente connessi tra loro. La gratuità, da non confondersi con gratis o filantropia, rimanda a charis (come, d’altronde, aveva ben  spiegato  il Papa),che è “grazia”, all’agape greco che i latini hanno tradotto con caritas, sottolineando, ancor di più , lo stretto legame tra l’amore cristiano e la charis, la grazia.

La gratuità è, infatti, grazia, poiché dono non solo per chi riceve atti di gratuità, ma anche per chi li compie.  È questo che il mercato capitalistico non conosce e che, invece, l’enciclica aveva invitato a mettere al centro dei rapporti economici, politici e sociali.  Rapporti da vivere “in una nuova economia di comunione”.

Per tale motivo, per Benedetto,  si sarebbe dovuta superare quanto prima la distinzione non-profit / for profit. Il profitto, infatti, non avrebbe potuto e non avrebbe dovuto essere lo scopo dell’impresa, ma solo uno dei tanti elementi, non il più rilevante.

Era questo,  sostanzialmente, il richiamo del mercato alla sua vocazione d’incontro tra persone libere ed uguali, con una critica radicale al capitalismo(termine mai usato in tutto il documento). Ed è questo anche il sagace ed appropriato giudizio con cui un grande ed autorevole storico economico come Giulio Sapelli ha accompagnato l’enciclica sociale ratzingheriana:  “La Caritas in Veritate indica che ci può essere una formazione economico-sociale oltre al capitalismo”. L’accademico torinese ha, poi, ricordato il contributo essenziale dato da Ratzinger con la denuncia della “finanza fine a se stessa, della speculazione e della disoccupazione”.  

Da qui, l’attenzione del Papa verso l’economia civile e di comunione, come “nuovi modi d’intendere l’impresa in rapporto al sociale”.

Concludendo, lo sviluppo, per Benedetto XVI, sarebbe dovuto essere integrale: dall’ecologia umana(rispetto della vita), a quella ambientale, dal rispetto delle generazioni future al senso dei doveri, dalla libertà religiosa alla crescita spirituale. Tutti aspetti, questi, che sono

patrimonio unico ed indivisibile della dottrina sociale della Chiesa e che aiutano a far maturare una nuova consapevolezza, più aperta, complementare ed indispensabile di quei valori che da essi promanano: vita, famiglia, sicurezza, sussidiarietà, equità sociale, solidarietà, pace ed intervento pubblico.

Su questa scommessa antropologica, quindi, vi è la speranza che l’economia annunciata possa non essere un’utopia (un non luogo), ma  un’eutopia (un buon luogo), il luogo dell’umano.

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Un commento

  1. Adriana Valenti Sabouret

    Grazie, Gianraimondo Farina, per questi interessanti spunti di riflessione.

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